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INTELLIGENZE

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

2
AGO
2018

Capita che le persone intelligenti facciano cose stupide e che le persone stupide dicano cose intelligenti. Questa settimana alle prese con i paradossi del comprendonio.

Di solito viene considerato intelligente chi manifesta delle competenze particolarmente apprezzate: chi sa esprimersi ed argomentare; chi capisce con facilità; chi risolve con successo problemi che i più ritengono abbastanza ostici. D’altronde anche la stessa concezione scientifica dell’intelligenza non si discosta di tanto dall’opinione comune, tant’è che le prove standardizzate di misurazione consistono per gran parte in quesiti riguardanti le già citate capacità verbali, di calcolo, di comprensione e di ragionamento astratto. Quesiti piuttosto scolastici! – sostengono i detrattori di tali misurazioni. E infatti il livello di scolarizzazione correla positivamente con l’intelligenza psicometrica, ossia quella misurata tramite tali strumenti testistici. Ciò significa che chi ha conseguito un titolo di studio tende a risultare – risultare non significa essere! – più “intelligente” rispetto a chi non lo ha conseguito. Ma, nonostante i loro limiti, tali rilevazioni costituiscono per il momento l’unico modo per stimare alcuni aspetti dell’intelligenza particolarmente utili in determinati ambiti di valutazione tecnica: in clinica possiamo quantificare, al netto della preparazione scolastica, l’efficienza di certe funzioni neurocognitive (memoria, attenzione etc.); in ambito lavoristico possiamo avanzare delle previsioni abbastanza attendibili su eventuali pre­stazioni (ad esempio: tanto maggiori le capacità logico-matematiche rilevate in un aspirante programmatore tanto più alto il suo potenziale rendimento lavorativo nel settore informatico).
Ma si tratta comunque di rilevazioni molto specifiche, che non colgono affatto l’articolatissima complessità del fenomeno in sé. Infatti l’intelligenza, lungi dal coincidere perfettamente con lo sviluppo di un bagaglio di competenze, risulta di fatto qualcosa di più. Gli evoluzionisti, per esempio, ne danno una definizione di più largo respiro, spiegandola come facoltà mentale atta soprattutto alla promozione di un migliore livello di adatta­mento. Ma, seppur vera, anche questa definizione si rivela abbastanza riduttiva nella misura in cui non sempre le persone intelligenti risultano adeguatamente adattate o, se magari lo sono, non sempre si comportano in maniera intelligentemente adattiva, poiché svariati fattori (contestuali, relazionali ed emotivi) possono condizionare, in un dato momento o in un dato periodo, il potenziale intellettivo di una data persona, limitandone o valorizzandone l’espressione. E questo ulteriore livello di complicazione rende l’intelligenza in sé ancora meno misurabile di quanto già non lo sia. E se l’intelligenza scientificamente intesa corrisponde con l’efficienza delle funzioni intellettive misurabili, indicatore presuntivo di un potenziale adattamento; l’intelligenza in sé rimane di fatto un’incognita.
Etimologicamente essa sarebbe la capacità di cogliere (con la mente) quel che c’è dentro («intel lego»), ossia ciò che si trova dietro la superficie. Così la persona davvero intelligente sarebbe quella capace di cogliere il senso ultimo delle cose. Senso ultimo, che non sempre coincide col senso comune. Quindi è una persona che porta avanti un discorso vero ma particolarissimo; suo e non di altri. Discorso, purtroppo, non sempre declinato in termini sufficientemente concreti e produttivi.



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