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SALUTE E SOCIETA´/INFORMAZIONE, COMUNICAZIONE E CONVERSAZIONE IN MEDICINA

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

17
OTT
2018

La relazione medico-paziente è in crisi, sia per il più facile accesso alle informazioni (più o meno esatte) sia per il venir meno del rapporto fiduciario: ora infatti vi è l’obbligo di informare e di ottenere il consenso per qualsiasi trattamento diagnostico o terapeutico

Il tempo della relazione medico-paziente deve essere tempo di cura, di terapia, ed è fondamentale perché permette sia al medico che al paziente di incontrarsi, di capirsi, di spiegarsi. Il cittadino sa molto poco di sanità, quindi una parte fondamentale della comunicazione è legata proprio alla semplicità e al linguaggio che viene usato. Usare un linguaggio difficile non permetterà a molti  pazienti di comprendere e si andrà a cercare qualcosa di più comprensibile anche laddove è distorta. Infatti, se manca o difetta l’informazione dominerà la paura e il “medical shopping” oppure il fai da te. Un incontro medico-paziente, una relazione vera tra il medico e il paziente, permette al paziente di affidarsi al proprio medico senza indugi e compromessi.
Fondamentale è la fiducia: la fiducia non si compra, la fiducia si conquista, si guadagna, e quindi bisogna incontrarsi e parlare. Quando il paziente vede che il medico lo ascolta, guarda il paziente negli occhi, a questo punto la persona – perché di persone si sta parlando – si sente considerata, si sente riconosciuta. Se ci fosse veramente una relazione valida, le cose negative, a partire dalla medicina difensiva, forse cadrebbero. Altra cosa importante, sempre dal punto di vista del cittadino, sono la relazione e la comunicazione tra i professionisti della salute e sembra che, con tutta la tecnologia che oggi abbiamo a disposizione, le persone paradossalmente si stiano allontanando. Invece, visto che le patologie aumentano e diventano croniche e che oggi la medicina è multiprofessionale, vale a dire molti professionisti si occupano dello stesso paziente, è importante che questi specialisti parlino tra loro, che si incontrino, perché il cittadino è uno, è una persona e ha bisogno di avere un riferimento, quindi c’è bisogno che ci sia qualcuno che lo aiuti a capire qualcosa della sua malattia e soprattutto che non lo faccia sentire solo, che lo faccia sentire accompagnato. Potrà guarire o meno, questo è un altro problema, ma il percorso non lo dovrà fare da solo.
Il terzo punto importante è relativo ai media, perché un altro grave problema è il disorientamento, che deriva dal fatto che si sente tutto ed il contrario di tutto. Quando l’informazione arriva al cittadino deve essere un’informazione non dico univoca, ma comprensibile. Altrimenti la fiducia è difficile poterla conquistare, perché il cittadino non è un medico, ha bisogno di chi fa informazione, spera in una giusta informazione. Quando si sta male si ha solo tanta paura, ed è difficile ricordarsi anche tutte le informazioni che si sono ricevute. Soprattutto se la malattia è grave. Spesso  si ha paura soltanto di morire.
La stampa ha una grossa responsabilità in questo. Oggi le fake news e le bufale sono  spesso accattivanti e fuorvianti, possono allontanare dalla realtà.
Non si può non comunicare. In medicina la comunicazione è quotidiana, imprescindibile; se ne volete delle testimonianze vi invito a leggere i c.d "racconti del dolore”, cioè le innumerevoli testimonianze dei malati o delle persone che hanno avuto un evento di malattia, che dicono che il grande problema spesso è stata la comunicazione con coloro che li curavano, perché hanno trovato delle difficoltà. Le informazioni le hanno avute, ma spesso in modo poco adeguato.
In passato in medicina l’informazione era univoca: le decisioni venivano prese in scienza e coscienza, per il bene del malato e lo sapeva il medico qual era il bene del malato, e, questo era perfetto  nell’ambito dell’etica medica. Le decisioni venivano prese in alleanza con i familiari, l’informazione era riferita a una benevolenza del medico ma non certamente a un diritto del paziente. Soprattutto le cattive notizie erano di competenza dei familiari, non certamente del malato stesso. Non solo. L’etica medica, cioè la buona medicina, autorizzava il medico qualche volta a dire mezze verità. Dal 1995 la situazione cambia. Il medico informa circa la diagnosi, le cure alternative, i rischi e benefici e  aspetta il “consenso” per intervenire. Dalla possibilità e capacità di informare si è passati all’obbligo di informare e di ottenere il consenso per qualsiasi trattamento diagnostico o terapeutico
Veniamo al tempo futuro anteriore: quando il malato sarà stato informato, allora  disporrà di tutti gli elementi per decidere. Questo è il nuovo scenario, qui abbiamo bisogno anche di confrontarci con gli esperti, con i giornalisti, su questo nuovo scenario, perché il medico non è più la sola fonte di informazione, perché la comunità attraverso la rete costituisce una fonte imprescindibile. Com’è la comunicazione internet dipendente? L’informazione al tempo presente, come si esprime? Ricevuta dal medico la diagnosi, prognosi, le prospettive terapeutiche, ecco l’opzione di poter fare una scelta insieme; oppure si va verso una medicina difensiva.
Terzo punto fondamentale, quello della conversazione.
Stiamo perdendo la conversazione come momento di socialità, quella che nasce dal guardarsi negli occhi, non dallo scambiare informazioni e notizie, quella che si prende il tempo e la cura. Questo tipo di conversazione ha anche un suo versante molto enfatizzato dalla medicina” narrativa”. Branca della medicina tanto sviluppata nei paesi anglosassoni, che non si riduce a fare banale conversazione con il malato, ma è la strategia per arrivare a decisioni condivise.
Conclusione: solo una formula strutturata, che parte da un impegno reciproco è la via giusta.
In tutti i percorsi di cura occorre comportarsi  da persone educate. Poi alla base di tutto c’è la considerazione pratica che il sanitario non è padrone, ma il malato non deve in alcun modo cercare di ridurlo a essere un puro esecutore dei suoi desideri. Da qui nasce e lievita il confronto e la condivisione delle decisioni.
Questo è il modo migliore di intendere e praticare la “buona medicina”, mandando in soffitta il paternalismo medico del passato. Con il consenso creare una medicina personalizzata e se possibile d’eccellenza, a partire dal medico e pediatra di famiglia.

 



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