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MICROSCOPIO/IL LUNGO CAMMINO VERSO UN "VACCINO ANTINFLUENZALE UNIVERSALE"

Pubblicato da: Categoria: Curiosità

22
NOV
2018

Ogni anno negli ambulatori medici si ripete il rituale della profilassi vaccinale dei soggetti a rischio. Si potrà in futuro somministrare una dose che dia una copertura universale e duratura? Alcuni scienziati ci stanno lavorando

Quando arriva il mese di novembre puntualmente porta con sé influenza e quindi naso che cola, raffreddore, febbre e l’unica soluzione è stare tre giorni a letto al caldo oppure bisogna vaccinarsi, se si vogliono evitare i disagi della perdita di giorni di lavoro o le eventuali complicazioni dovute alle sovrainfezioni.
Di conseguenza, ogni anno, parte la campagna di vaccinazione antinfluenzale e i protagonisti sono i cosiddetti “soggetti ad alto rischio” ovvero cardiopatici, broncopneumopatici, diabetici, donne in stato gravidico, le persone istituzionalizzate, gli addetti ai servizi pubblici e gli anziani.
Si preferisce uno schema di vaccinazione mirato, evitando di introdurre l’obbligo all’immunizzazione di massa, sia per l’elevata spesa pubblica alla quale si andrebbe incontro per via del cospicuo numero di somministrazioni necessarie, sia perché l’immunogenicità del vaccino antinfluenzale non è perenne ma limitata alla stagione in corso.
Il virus dell’influenza possiede sulla superficie esterna due particolari proteine che determinano il suo potere antigenico e che rappresentano la causa dell’infezione. Grazie a esse riesce a eludere le difese immunitarie e agisce come un “Cavallo di Troia” perché inietta il proprio DNA nelle cellule umane e ne sfrutta i meccanismi riproduttivi per duplicare e diffondere copie di sé nell’organismo.
In sostanza, involontariamente, aiutiamo il processo infettivo del virus. Inizialmente siamo inermi, poi sopraggiungono le difese derivanti dall’immunità congenita e, successivamente, da quella acquisita che ci permettono di affrontare e sconfiggere la tanto detestata influenza.
Fin qui nessun problema, può capitare a tutti di ammalarsi e di superare con le proprie risorse l’infezione, anzi, in genere ci si immunizza per un lunghissimo periodo o per tutta la vita. Con l’influenza, purtroppo, ciò non accade anzi alle categorie a rischio il vaccino dovrebbe essere somministrato ogni anno perché il virus ha l’abilità di modificare, o meglio “mutare”, le sue proteine di superficie talmente tanto spesso e velocemente, che a volte, benché si sia vaccinati, si contrae comunque l’influenza. Bisogna tenere presente che, di conseguenza, i sottotipi virali sono talmente tanti che si può solo prevedere la tipologia di virus che si diffonderà l’anno successivo, pertanto non è escluso che si possa comunque restare vittima dell’influenza per incompleta copertura vaccinale, contraendola solo in forma lieve.
Il problema della mortalità provocata dalle epidemie influenzali, non riguarda tanto la malattia di per sé, quanto le sovrainfezioni a carico delle vie respiratorie che si possono sviluppare e che obbligano spesso all’assunzione di antibiotici. La scienza, però, non si ferma e il team dell’UCLA (Università della California a Los Angeles) sta studiando un nuovo tipo di vaccino che possa avere una maggiore immunogenicità. Con quello classico, composto da diversi ceppi di virus uccisi, si stimola solo l’immunità umorale, ossia la prima linea di difesa aspecifica che utilizza l’organismo e che copre solo per brevi periodi. Questi scienziati, invece, stanno implementando un vaccino che possiede come antigene un ceppo virale vivo, con grosse potenzialità di mutare circa otto volte, ossia di variare il proprio aspetto, e allo stesso tempo in grado di stimolare non solo una risposta immunitaria umorale ma anche cellulare.
La produzione di linfociti T CD8+, specifici contro il virus influenzale, infatti fa permanere più a lungo la copertura vaccinale, evitando di cambiare annualmente la composizione e dover sintetizzare un nuovo vaccino. In questo modo non si otterrà un “vaccino antinfluenzale universale”, ma sono improbabili i rischi di una recrudescenza della carica virale tipica dei vaccini a virus vivi e di una risposta eccessiva del sistema immunitario.
Un fenomeno curioso ha suscitato l’interesse del virologo ed epidemiologo Thomas Francis, che studiò una coorte di individui e dimostrò che la risposta anticorpale al primo ceppo di virus influenzale con il quale entravano in contatto nel corso della vita era la più forte, mentre era meno accentuata, anzi via via decrescente, nei confronti degli altri ceppi virali.
Tale fenomeno prende il nome di “imprinting” e genera una copertura immunitaria anche nei confronti dei ceppi in qualche modo imparentati con il primo, mentre lascia scoperti nei confronti degli altri. Ecco perché si sono avute le pandemie influenzali nel passato, che alcuni individui riuscivano a superare ed altri no.
Se gli scienziati del NIAID (National Institutes of Allergy and Infectious Diseases) riusciranno a capire quali siano le basi molecolari dell’imprinting e di una risposta così duratura, saranno in grado di realizzare un “vaccino universale” che evochi una copertura ad ampio spettro e che possa essere estesa anche ad altri tipi di somministrazioni vaccinali. Lo studio, ovviamente, verterà anche sulla ricerca di ceppi virali vivi adatti a provocare risposte immunitarie forti come “l’imprinting”.
Noiosissimi raffreddori, dolori muscolari, osteoarticolari, febbre, nausea e vomito avranno le ore contate se questi eminenti scienziati riusciranno a capire come le nostre cellule siano in grado di reagire così energicamente a un esserino microscopico e talvolta letale quale il virus dell’influenza.



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