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Dante Spada/Io, Tex e i tamburi

Pubblicato da: Categoria: nuvolette

31
AGO
2017

Un artista del fumetto come lui, pugliesissimo ma proiettato nell'Olimpo delle "nuvolette", non disdegna la musica "praticata". E fra un personaggio e l'altro pensa a cosa farà da grande: magari il guardiano del faro

Nel settembre del 1997, esattamente vent’anni fa, sul numero 27 della serie antologica della Bonelli Zona X, veniva pubblicata la tua prima storia a fumetti. Si tratta di “La Strega”, su testo scritto a quattro mani da Federico Memola e Vincenzo Beretta. Cosa ricordi di quell’esordio?
«In verità il mio debutto professionale in Bonelli sarebbe dovuto avvenire sul primo numero della serie Storie da Altrove dal titolo “Colui che dimora nelle tenebre”, ma dopo averne disegnato circa una ventina di tavole, Alfredo Castelli, autore della storia, sospese la lavorazione per motivi personali. Nell’attesa, mi propose di passare a Zona X per disegnare “La Strega”, scritta da Memola e Beretta. Quindi, da una misteriosa storia ambientata nell’America del ‘700 con personaggi realmente esistiti come Benjamin Franklin e Thomas Jefferson, mi sono ritrovato in una Taranto popolata da normanni e avventurieri di ogni tipo, nell’anno domini 1048: un bel salto temporale».  

Federico Memola è il marito di Teresa Marzìa, fumettista anche lei originaria di Taranto, e “La Strega”, come hai detto, è ambientata nella Città dei Due Mari, ai tempi del Medioevo. Memola, in un’intervista rilasciata nel 2006, ha dichiarato che due dei protagonisti della storia sono gli antenati di altri due suoi famosi personaggi, Jonathan (Steele - ndr) e Jasmine. E ha aggiunto: “Quella, se trovassi un disegnatore disposto a riprendere in mano personaggi e storia, la rifarei e le darei un seguito”. Che ne pensi?
«La cosa non mi sorprende poi tanto, anzi, testimonia l’affetto di Federico per questa storia, un affetto condiviso anche da Vincenzo e da me. Nel corso degli anni abbiamo avuto molte occasioni di vederci e di sentirci per telefono, ripensando con nostalgia ai bei momenti trascorsi nel realizzare quella storia. Eravamo anche intenzionati a ripubblicarla, rivedendo i testi e modificando la composizione delle vignette all’interno delle tavole, ma il progetto non ha avuto sviluppi».

Facciamo un passo indietro. Nel 1993, a Bari, nel corso dell’edizione di quell’anno di Expo Comics, Alfredo Castelli, nume tutelare del fumetto italiano, rimane impressionato dalle tue tavole esposte “fuori concorso” al premio riservato ai giovani autori esordienti e ti chiama a casa. Ci racconti cosa è successo dopo?
«Ricordo che partecipai fuori concorso, per limiti di età -mi dissero- a quell’edizione di Expo Comics a Bari. In quella circostanza Alfredo Castelli, che si trovava lì per una mostra dedicata a Martin Mystère, mi telefonò; non solo per conoscermi e farmi i complimenti ma, con mio immenso stupore, mi propose di collaborare ad una nuova serie a fumetti che stava ideando. Dopo qualche mese iniziai -e continuo tutt’ora- a disegnare per l’editore Bonelli, contribuendo alla nascita della serie Storie da Altrove. Il passaggio quasi improvviso da aspirante fumettista a professionista per un’importante casa editrice, inizialmente provocò in me una certa “ansia da prestazione” che Castelli per fortuna, con la sua sconfinata esperienza, riuscì in poco tempo a dissolvere creando un clima di serena collaborazione.
Da ragazzo adoravo i cartoons. “Gli eroi di cartone”, “Mille e una sera”, “Gulp! Fumetti in TV”; programmi televisivi che la Rai, nei primi anni ‘70, dispensava con parsimonia a noi ragazzi. Quelle rare gocce di “meraviglie animate” generarono in me il desiderio sempre più crescente di compensare con i fumetti la scarsa proposta televisiva. Cercai quindi le gesta dei miei eroi preferiti tra le pagine degli albi de L’Uomo Mascherato, Mandrake, Flash Gordon, Tarzan, Batman, Superman, l’Uomo Ragno, Devil, Thor, Fantastici 4 e molti altri ancora. Di conseguenza ho avuto modo di apprezzare il lavoro dei diversi disegnatori come Burne Hogarth, Russ Manning, Steve Ditko, John Romita, Neal Adams, John Buscema, Gene Colan, Gil Kane e via dicendo. Ispirandomi all’opera di questi artisti, disegnavo per ore, sognando di poter fare anch’io, da grande, quel meraviglioso mestiere.
Avevo quattordici anni, quando inviai alcuni disegni e qualche tavola alla direttrice di allora della rivista Eureka, la leggendaria Maria Grazia Perini, che, inaspettatamente, mi rispose. Mi disse brevemente che le mie tavole a fumetti gli erano parse molto ben congegnate sia come disegno che come dialogo, e che “il nostro giudizio ti serva di sprono a fare sempre meglio, perché in questo campo la perfezione è difficile e lunga da raggiungere”. Stranamente quello “sprono” produsse uno strano effetto: smorzò la mia passione per il fumetto, a tal punto da dedicarmi per un lungo periodo, ad altri aspetti delle arti visive; sarebbero trascorsi circa vent’anni, prima di realizzare quella che ritenevo essere una delle mie più grandi aspirazioni: disegnare fumetti da professionista.
Intorno alla metà degli anni ottanta, sentii l’esigenza di ritornare a provarci con le storie disegnate. Realizzai alcune tavole e illustrazioni e le inviai ad alcune riviste d’autore come Il Grifo, non ricevendo in verità alcun risposta. All’epoca non ritenevo di essere adatto ad un editore come Bonelli, anzi l’idea di disegnare storie così lunghe mi atterriva... e forse mi atterrisce ancora oggi» (ride - ndr).

Beh, le cose sono andate diversamente: Alfredo Castelli, per fortuna, si è accorto di te, alla Bonelli ci sei arrivato e a disegnare “storie così lunghe” sei bravo davvero.
Settembre è il mese di un altro anniversario, questa volta triste: nel 2011 -sei anni fa- ci lasciava Sergio Bonelli. Un tuo ricordo.

«Ad una edizione di Lucca Comics -era il 2003, lo ricordo-, dopo la fiera, avevamo tutti appuntamento alla trattoria “Buca di Sant’Antonio” per la classica cena bonelliana. Arrivai in ritardo, insieme a mia moglie e mia figlia di quattro anni. Ci prepararono un tavolo in mezzo alla sala gremita di collaboratori, sceneggiatori e disegnatori della casa editrice. Mi accorsi di avere alle mie spalle Sergio Bonelli seduto a una tavolata piena di gente famosa. Non avendolo mai incontrato di persona prima di allora e in preda a una sorta di timore reverenziale, accennai soltanto un timido saluto, prima di sedermi. Un attimo dopo accadde qualcosa che non avrei neanche lontanamente immaginato: con mio immenso stupore, Sergio Bonelli si avvicinò al nostro tavolo per conoscere me e la mia famiglia, raccontandoci di come un tempo non si sottraesse agli inviti a matrimoni e battesimi dei suoi collaboratori e altri aneddoti, tranquillizzandomi quando gli confidai la mia apprensione per il lavoro su Tex che mi accingevo a cominciare. Lui era fatto così».

Credo che tu mi abbia letto nel pensiero, stavo proprio per chiederti di Aquila della Notte (il nome con il quale Tex è conosciuto tra le tribù Navajos - ndr). I tuoi esordi in Bonelli sono stati caratterizzati da racconti senza personaggio fisso, realizzati per Storie da Altrove, altra serie antologica -oltre a Zona X- collegata al personaggio di Martin Mystère. Fino a quando, dieci anni dopo “La Strega”, un personaggio del calibro di Tex Willer incrocia la tua strada. Che esperienza è stata?
«È stato un grande onore per me lavorare per Tex, ma anche un impegno notevole, e non avrebbe potuto essere diversamente vista la statura del personaggio, che mi accingevo a disegnare per la prima volta. Di conseguenza la lavorazione è stata lunga ed elaborata: l’aver prodotto 220 pagine nell’arco di 3 anni e mezzo circa, mi ha spinto a considerare l’opportunità di fermarmi un po’ prima di ritornare a “cavalcare” insieme al Ranger e i suoi Pards. Per il rispetto che ho per Sergio Bonelli, per Tex e i suoi lettori, e anche per me stesso, ho pensato che sarebbe stato meglio prendermi un periodo di pausa dal Signor Willer. Quindi, dopo una lunga e sofferta riflessione, sono giunto alla drastica decisione di restare per un po’ lontano da Aquila della Notte».

C’è un personaggio che ti sarebbe piaciuto disegnare? Con quale autore avresti voluto lavorare o vorresti lavorare?
«Non mi dispiacerebbe disegnare una storia di Batman ambientata tra il ‘700 e l’800 o fine ‘800... magari scritta da me».

Un Batman dell’800? Davvero curioso!
Ci racconti qual è il tuo metodo di lavoro? Dalla lettura della sceneggiatura alla tavola inchiostrata...
«Solitamente, dopo aver letto soggetto e sceneggiatura, ne discuto a voce con l’autore, per capire meglio il senso che vuole dare alla storia. Segue una ricerca della documentazione, oltre a quella fornita dallo sceneggiatore: foto, video, film e quant’altro; quindi faccio un bozzetto della tavola -delle dimensioni di 3,5 per 4 centimetri- sul foglio corrispondente della sceneggiatura. Per finire, disegno a matita senza passaggi intermedi direttamente sul foglio che andrò a rifinire a seconda della tecnica utilizzata… et voilà la tavola è pronta!».

“I fumetti? Roba per bambini!”. “Fare il fumettista? Bello, ma certo non ti dà da magiare!”. Ti è mai capitato di sentirtelo dire?
«Sì, purtroppo mi capita ancora oggi di sentire in giro affermazioni di questo tipo».

Il fumetto non è il tuo unico interesse artistico. Tra le cose che ti appassionano c’è anche la musica. Ce ne parli?
«Sì, la musica riveste un ruolo molto importante nella mia vita. In passato ho suonato come percussionista e batterista in diverse formazioni, spaziando dalla fusion, al jazz, alla new age, fino ad approdare, in tempi più recenti, alla musica d’avanguardia dei primi del ‘900 rivisitata per pianoforte a 4 mani e percussioni. Attualmente mi dedico alla conduzione di Drum Circle -letteralmente: cerchio di tamburi- in cui gruppi di persone, e di solito non si tratta di musicisti, suonando strumenti a percussione scoprendo il piacere di fare musica insieme divertendosi».

Oggi, se dovessi -per un motivo qualsiasi- cambiare lavoro, cosa ti piacerebbe fare?
«Beh, mi piacerebbe fare diversi mestieri: pittore, scultore, musicista, attore, etologo, fabbro, falegname, guardiano del faro e molto altro ancora» (fragorosa risata - ndr).

Se, invece, le tue figlie volessero intraprendere il tuo stesso mestiere, cosa diresti loro?
«In bocca al lupo» (altra risata - ndr).

Attualmente, stai lavorando ad un racconto scritto dal compianto Paolo Morales per la collana Le Storie. Hai cambiato stile e tecnica di disegno, da quello che abbiamo potuto intuire, sbirciando alcune tavole nel tuo studio...
A che punto è questo tuo nuovo lavoro? Quando potremo vederlo pubblicato?

«Quando ho letto la sceneggiatura di questa storia, l’ho immaginata come un vecchio sceneggiato Rai, quando la TV era ancora in bianco e nero. E quindi mi è sembrata una naturale conseguenza utilizzare la tecnica della matita e china diluita.
Dovrei finire entro l’anno in corso, ma la vedo difficile. Sarà pubblicata molto probabilmente nel 2018».

Davvero interessante l’ispirazione presa dagli sceneggiati Rai Anni ‘60 e ‘70. Mi ricordo, su tutti -anch’io bambino come te- “I fratelli Karamazov” con -tra gli altri interpreti- Corrado Pani, Umberto Orsini e Lea Massari. Non stiamo letteralmente nella pelle: vorremmo vedere pubblicato al più presto il tuo lavoro, per poter leggere la storia e apprezzarne i disegni.
Un’ultima domanda... Cosa c’è nel futuro di Dante Spada? Hai un progetto non ancora realizzato, un sogno nel cassetto?

«Bella la domanda ... Ardua la risposta. Spero che i progetti e i sogni da realizzare mi accompagnino per tutta la vita, e questo è un augurio che mi sento di estendere a tutti voi».

 



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