MENU

Tonio Vinci, quando è esplosa la diga

Pubblicato da: Categoria: nuvolette

5
OTT
2017

Storia di un commercialista che passava tutto il tempo a pensare ai fumetti fino a quando non ha capito che una passione può diventare un lavoro. L'ultima fatica? Un fumetto che da’ del tu all’Ilva

Chi è Tonio Vinci?
Ci delinei una tua breve biografia?

«Sono nato a Mottola e cresciuto a Palagiano. Sono legatissimo alla mia terra, ma per capire meglio una cosa, è necessario allontanarsi da essa per vederla meglio, avere altre prospettive, e per questo sono voluto partire per andare a studiare a Bologna e da Bologna ho capito molte cose di Palagiano.
Mi sono laureato in economia aziendale con l’idea di diventare commercialista, cosa che ho fatto per diversi anni, ma passavo tutto il tempo a pensare ai fumetti. In pausa pranzo disegnavo; in bicicletta, mentre andavo in studio, pensavo ad un nuovo soggetto, alle inquadrature e ai neri pieni di Muñoz (José Muñoz, fumettista argentino - ndr). Allora mi sono iscritto alla Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia -nel frattempo mi ero trasferito in quella città- ed ho conosciuto persone che potevano vivere, avere figli e comprarsi una camicia disegnando l’Uomo Ragno. Poi la diga è esplosa ed ho cominciato a scrivere storie, disegnare vignette, contattare autori per chiedere consigli, pubblicare le prime vignette su Il Male di Sparagna, Animals, Agenda Ridens; i primi fumetti in volumi antologici di Kappa Editore; strip su Sbam Comics, per Su.go, e altre cosine importanti ma che ora non mi vengono in mente. Fino a che, con la cartellina di Nonni (è il titolo del suo primo fumetto - ndr) sotto al braccio, ho girato tre volte le Fiere del Fumetto d’Italia e sono riuscito a pubblicare il mio primo libro con la Tunué.
Ora vivo a Pescara perché volevo avvicinarmi alla Puglia, senza finirci dentro».

Come sei arrivato a realizzare una storia su Taranto e sull’Ilva?
«Non ci sono arrivato, ci sono nato. Mio padre è pensionato Ilva, mio fratello lavora al treno nastri e io non ci lavoro solo perché, come mi ha detto una volta Vittorio Giardino (uno dei Maestri del Fumetto italiano - ndr), guardandomi negli occhi: i matti non sono finiti con la sua generazione e ho seguito una strada che mi ha allontanato da Palagiano e mi ha portato ai fumetti.
Anni fa avevo disegnato una storia di due tavole sull’Ilva, pubblicata in un volume antologico con i finalisti di un concorso al festival Komikazen di Ravenna. Ad una fiera, poi, feci vedere alcuni lavori a Daniele Brolli (noto consulente editoriale - ndr) che mi suggerì di realizzare una storia sull’Ilva, e forse l’avrebbe pubblicata con la sua casa editrice (Comma 22, fondata a Bologna nel 2001 - ndr). Non riuscii a pubblicarla ed è rimasta nel cassetto per qualche tempo. Recentemente, una serie di eventi mi hanno messo in contatto con Marco Gastoni, curatore della collana Midi Fumetti per il Sud, e il resto è da leggere».

“’O Stablmend”. Un titolo efficacissimo per indicare proprio “quella industria”. Da dove ti è venuta l’idea?
«Devo essere sincero, non ho capito ancora bene da dove vengono le idee, probabilmente dal guardare il mondo ed avere una certa sensibilità, ho pensato che l’Ilva per noi non è una delle tante aziende, non è una delle tante industrie dove si potrebbe lavorare, ma è Lo Stabilimento per antonomasia. Non viene confuso, non ti sbagli, è lì che ti guarda arcigno; c’è sempre stato da quando sono nato. Il mio titolo è confidenziale, lo conosciamo così, con quel nome. Quando andavo a Taranto sentivo la gente che lo chiamava così ed è così che si doveva chiamare il mio fumetto. È un fumetto che da’ del tu all’Ilva».

Hai visto il documentario andato in onda su Raiuno “3x8 Cambioturno”? Molti tarantini si sono indignati per l’immagine che ha dato dell’Ilva che, alla fine, è risultata una fabbrica come un’altra, che dà lavoro a tanta gente. Qual è il tuo punto di vista?
«L’ho visto e non riesco ad avere una idea precisa. Per mia natura sono spesso guardingo e lievemente sospettoso e quando un’azienda come l’Ilva apre le porte ad una videocamera mi viene da pensare che lo fa per un tornaconto. Non so perché, alla fine il documentario è risultato essere benevolo nei confronti degli incidenti -con la giustificazione che in una città di lavoro gli imprevisti ci sono- e della malattia -c’è il cancro, ma il cancro c’è ovunque-. La negatività dell’Ilva in Cambioturno è raccontata, ma è  attutita dai commenti degli operai. Questa è l’impressione che ho avuto io da spettatore, che può essere condivisa o meno. Il perché di questo risultato? Non so se sia dovuto ad una poca onestà intellettuale o ad altro, e questo non lo voglio giudicare».
 
Dal tuo ’O Stablmend, invece cosa dobbiamo aspettarci? Ci dai una piccola anticipazione sulla storia che hai realizzato per la collana Midi Fumetti per il Sud?
«In ’O Stablmend ho cercato di essere il più sincero possibile. Penso delle cose sull’Ilva ed ho fatto quello che faccio sempre: raccontare storie. In ’O Stablmend racconto una grande storia, quella dell’Ilva, attraverso una piccola storia, quella di Michele.
Tempo fa, facevo parte di una band che si chiamava I Bagordi. Una volta siamo stati chiamati a suonare ad una rassegna nella Città Vecchia. È stata una esperienza magnifica: ho suonato in mezzo a mille bambini, nati e cresciuti vicino al porto. I loro genitori erano di una umanità folgorante.
A metà concerto vedo arrivare dei signori e le loro mogli, tutti vestiti di bianco, che si fanno largo fra la gente del quartiere, tenendo un atteggiamento di disprezzo. Erano dei parlamentari tarantini. Erano lì a chiedere voti. La cosa era così stridente, così ipocrita da parte loro...
Quando ho scritto ‘O Stablmend ho pensato sia a quei parlamentari che ai bambini che ho conosciuto quella sera».

Secondo te qual è il futuro di Taranto? Come immagini sarà, da qui a... quarant’anni?
«Non riesco a immaginare cosa succederà a Taranto tra quarant’anni. Nella vita ho capito che le cose possono cambiare in mille modi.
Ho conosciuto tanti siciliani, calabresi, lucani, che vivono al Nord e che hanno guadagnato tante cose: sicurezza, benessere, ma ne hanno perse altre. I miei amici di Catania, dopo tanti anni, hanno sempre un velo di tristezza, quando ricordano che da piccoli si immergevano nel mare della Sicilia.
Sono cresciuto a Palagiano, perché lì mio padre aveva un lavoro. Un lavoro che certamente deve essere a norma. Non si possono creare i posti di lavoro nell’illegalità e nemmeno nella quasi legalità; e mi riferisco solo al passato».

Torniamo a te. C’è un fumettista a cui ti ispiri? Ovvero: quali sono state le tue letture a fumetti, da bambino?
«Da bambino ho letto tantissimo Tex, Zagor e Topolino, poi, crescendo, ho letto tutto il possibile. Non amo molto i manga (fumetti giapponesi - ndr) ma probabilmente perché non gli ho dato la giusta attenzione. La validità di un fumetto, non si giudica dalla sua tipologia o dalla provenienza ma nella “qualità”. Da adulto ho studiato Magnus, Igort, Fior, Paco Roca... vabbè, a dir la verità, tutti. A Reggio Emilia abitavo di fianco alla biblioteca comunale e ho letto tutti fumetti della biblioteca due volte. Visto che il fumetto non è solo disegno ma è racconto attraverso il disegno, per me i più grandi, per il racconto, è Will Eisner e, per i disegni, José Muñoz che, purtroppo, non ho mai incontrato».

Beh, Will Eisner ci ha lasciato da tempo, ma per Muñoz potresti farcela, visto che lui oggi si divide tra Milano e Parigi...
Quando dici che realizzi fumetti, c’è qualcuno che crede che scherzi, o pensa che non sia una professione vera e propria?

«C’è una specie di dualismo nelle reazioni. Ci sono quelli che ti dicono: “Ah, vabbè è un hobby” e poi ci sono gli altri -i lettori di fumetti- che ti guardano come fossi una persona con degli strani poteri. Non mi ci sono ancora abituato e sfuggo da queste situazioni. Diciamo che caratterialmente sono... sfuggente» (ride - ndr).

Si va da un opposto all’altro, quindi.
Ci racconti qual è il tuo metodo di lavoro? Dalla stesura della sceneggiatura alla tavola finita...

«Solitamente traggo ispirazione osservando la gente, le situazioni, e mi immagino subito il finale della storia. Partendo dal finale, se mi convince, vado avanti con l’idea. Scrivo il plot di mezza pagina, poi scrivo un soggetto che divido in tavole, faccio lo storyboard completo di dialoghi e poi inizio a disegnare. Disegnando, molte volte, mi vengono in mente tavole che non ci sono nello storyboard e cerco di inserirle nella storia. Faccio delle matite molto abbozzate e disegno direttamente con la china. Se sbaglio non posso cancellare e allora uso le pecette. Le mie tavole sono piene di pecette, toppe, correzioni, ma mi sono sempre trovato bene così» (ride di nuovo – ndr).

Oltre il fumetto, c’è altro che ti appassiona?
«Mi appassiona suonare, andare al cinema, fare piccoli viaggi, la solitudine cercata, la mia famiglia -che è davvero appassionante- e non sapere cosa mi appassionerà in futuro».

Se tuo figlio volesse intraprendere la tua stessa professione, cosa gli diresti?
«Mio figlio deve fare tutto quello che vuole, l’importante è che la cosa sia studiata,“lavorata”. Può diventare ballerino d’opera o clown di strada, l’importante che lo faccia sempre con criterio. Chi nasceva a Palagiano, quando io ero piccolo, certamente non immaginava che si potesse vivere suonando il basso o insegnando yoga perché la realtà che vivevi era quella. Giustamente i tuoi genitori ti dicevano che dovevi fare un lavoro “normale”. Anche a Fellini lo dicevano, ma non tutti all’epoca avevano la forza di rincorrere il proprio destino o i propri sogni. Ecco, questa forza, secondo me, la si deve incrementare, perché la vita è breve per fare un lavoro che non ami. È anche importante avere sempre un’alternativa, una via d’uscita secondaria: non riesci a diventare una star del balletto? Puoi insegnarlo, aprendo una scuola di danza...».

A cosa lavori attualmente?
«Sto lavorando ad un fumetto di un uomo cinico e odioso che si trova inspiegabilmente a vedere la sua prospettiva cambiare e non posso dire di più.... Devo ancora mostrarlo al mio editore».

Hai un progetto non ancora realizzato, un sogno nel cassetto?
«Certo: ne ho cento. Un fumetto su un medico, uno su una coppia che sta per avere un figlio, uno su un cantante leggendario e i suoi pochi concerti degli anni ‘60, un fumetto per bambini. Sono tanti e ho la casa piena di cassetti» (risata – ndr).

Il volume “’O Stablmend - Storie di fumi, di lotte e amore a Taranto” esce nelle edicole di Puglia e Basilicata il 7 ottobre prossimo.
Domenica 8 ottobre, a Manuscripta Festival della Letteratura a Fumetti di Martina Franca, alle ore 12.00 presso l’Ospedaletto, ci saranno Donato Iacobbe (Gazzetta del Mezzogiorno), Gianni Miriandini (Hazard Edizioni) e l’autore Tonio Vinci che presenteranno l’intera collana “Fumetti per il Sud” con una occhio particolare per ’O Stablmend.

 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor