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AMARCORD/IL NUMERO NOVE STAMPATO SULLA PELLE, TOTO DE VITIS

Pubblicato da: Categoria: SPORT

14
GIU
2018

"In effetti sono pochi quelli che giocano come solevo fare io. Ultimamente  il calcio è cambiato in modo radicale. Ora si basa tutto sulla profondità di gioco, palla a terra. Attaccanti di razza ce ne sono sempre meno  perché  oggi la punta deve saper fare tutto, compreso il difensore, all’occorrenza”

 Totò De Vitis, leccese di nascita, numero nove stampato sulla pelle. Antonio, classe 64, bomber per eccellenza. A volte, fare tanti gol, non basta per raggiungere gli obiettivi che ti proponi. Da Salerno a Taranto, passando per Palermo, Verona e, soprattutto, Udine, Totò ha dato sempre spettacolo, giocando con le spalle alla porta come solo gli attaccanti di razza sanno fare. In riva allo Jonio aveva due "complici": Silvio Paolucci e Pietro Maiellaro. Con loro, andare in rete, era una semplice formalità. Con il suo sorriso conquistò immediatamente i tarentini che lo osannavano dopo ogni rete. Ma dovunque, da Udine a Piacenza, da Palermo a Salerno, vi diranno di lui un'unica cosa: è stato un grande centravanti. Con Antonio si possono ricordare, con piacere, le due gare di spareggio che valsero l’ultima  permanenza in B di quel glorioso Taranto: “Era un altro calcio e soprattutto c’era una società solida all’epoca, quindi quella permanenza fu frutto anche di quest’ultimo aspetto, senza nulla togliere alla risalita che facemmo da gennaio in poi. Oltretutto negli ultimi cinque mesi di quella stagione, dimostrammo di essere la compagine più in forma di quel momento e questo traguardo centrato ripagò i tanti sacrifici effettuati”. Totò De Vitis giocava spalle alla porta ed aveva un modo tutto suo di fare l’attaccante: "In effetti sono pochi quelli che giocano come solevo fare io. Ultimamente  il calcio è cambiato in modo radicale. Ora si basa tutto sulla profondità di gioco, palla a terra. Attaccanti di razza ce ne sono sempre meno  perché  oggi la punta deve saper fare tutto, compreso il difensore, all’occorrenza. Giocavo nei pressi dell'area di rigore e gli ultimi 16-18 metri, erano il mio territorio”. Il calcio non è più lo stesso.  "Semplice: bisogna riscrivere le regole. Non è possibile fallire dopo pochi mesi per mancanza di denaro. Troppi gli inesperti, ora, in questo mondo. E i ruoli, se esistono, devono essere occupati da gente esperta di ogni settore”.  Insomma: se aveva talento da vendere da calciatore, nel post attività,  De Vitis, resta dei fuoriclasse. E chi l’avrebbe mai messo in dubbio. Il calcio ha bisogno, ancora oggi della sua esperienza: ci piacerebbe rivederlo in ruolo che conta e non quello di semplice osservatore o consulente. Calciatori come lui, possono e devono dare di più perché il calcio è nel loro Dna.
 



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