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LE DIFFICOLTA´ DI UNA NUOVA RELAZIONE

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

24
NOV
2016
Il mio matrimonio eraduratosette anni e novemesi. Hodue figli: Giulietta e Paolo, ma appena è nato Paolo, il secondogenito, le cose sono cambiate rapidamente e con mio marito si litigava per qualsiasi cosae continuare era diventato impossibile.
Giulietta e Paolo non dicevano niente, ma assorbivano tutto il nostro nervosismo e loro lo restituivano con capricci di ogni genere.
Avevamo sottovalutato la nostra situazione o forse pensavamo che tutto si sarebbe risolto col tempo, ma non è stato così e un giorno, dopo l’ennesima litigata, abbiamo capito che la nostra crisi era irreversibile e non si sarebbe più risolta. Mio marito si mise la giacca e disse che quella notte avrebbe dormito fuori. Io rimasi di sasso e forse farfugliai anche qualcosa, mentre lui sbatteva la porta, ma non ricordo cosa. I bambini ammutolirono,si vennero a stringere intorno alle mie gambe e scoppiarono in un pianto dirotto. Chi c’è passato lo sa bene quanta sofferenza si prova in certi momenti, senza sapere cosa fare, come comportarsi. 
Passai una notte d'inferno e la mattina ricevetti un suo messaggio: “Stasera dobbiamo parlare”. E la sera, quando tornò a casa,ci dicemmo cose cattive, che probabilmente non pensavamo veramente, ma che buttammo fuori insieme a tutto il veleno che avevamo dentro. Alla fine Alessio mi disse che se ne sarebbe andato per sempre edio ammutolii. Stavo malissimo e quando poi rimasisola,mi sentiiprecipitarein unpozzosenza fine,incapace di reagire a quella nuova realtà quotidiana. 
Ho sofferto, ho imprecato, ho maledetto e ho raccolto la solidarietà di tutti, amici e parenti, ma non è bastato. Per più di un anno mi sono chiusa in me stessa, nel mio dolore,senza riuscire a reagire, senza trovare una via d’uscita e senza capire. E questo perché capire,forse, significava anche dover accettare e ammettere le proprie responsabilità. 
Quasi due anni trascorsero prima che riuscissi a riaffacciarmi al mondo, e in quei due anni ho fatto un sacco di stupidaggini e creato tanti problemianche ai bambini. Il primo quando ho iniziato a frequentare Fabrizio.
Quando lo conobbi, per la prima volta e dopo tanto tempo,mi accorsi che stavo provando ancora interesse per un uomo. Era una sensazione strana, completamente nuova, ma non sono stata brava a gestirla. Dopo quattro mesi d’incontri clandestini, decisi di presentarlo ai miei bambini, che sciocchezza!Si sono visti piombare in casa un estraneo e hanno temuto che volesse portarsi via la loro mamma. È stata subito guerra. La devastante guerra che sanno scatenare i figli quando non vogliono accettare situazioni che loro non condividono o non comprendono.
Dopo essermi separata, avevoun tale senso di colpa nei loro confronti che in seguito tutto diventò più difficile da gestire e a questo andava aggiunto che Fabrizio non comprendeva la mia situazione. Lui non aveva figli e a parole era la persona più comprensiva di questo mondo, ma nei fatti era tutt’altra cosa.La storia con luidurò un anno e fu un periodo difficile, durante il quale mi sentivo tirare da tutte le parti, come se qualcuno avesse deciso che non dovessiessere più, non dico felice, ma nemmeno serena. Dilaniata dai sensi di colpa e in preda ad una rabbia repressa verso tutto e tutti, figli compresi, troncai la relazionee mi ritrovai di nuovo nello stesso pozzo senza finedi prima e tornatanella solitudine di sempre.
Dopo la storiacon Fabrizio, diventai molto più cauta. Cominciai a tenere separata la mia vita sentimentale da quella familiare e questo naturalmente poneva dei limiti alle mie relazioni e mi costringevaa rimanererelegata e compressa neii ritagli di tempo che una madre potevaconcedersi, cioè dopo il lavoro edurante i weekend, quando i ragazzi andavano dal padre. 
Questo delicato equilibrio, in verità molto fragile, spesso si spezzava e gli incontri inevitabilmente ne subivano le conseguenze e allora, anche se cercavo di comprenderecome si potesse sentire un uomo di fronte all’ineluttabilità di trovarsi in una posizione altalenante e comunquedi venire sempre dopo i figli della propria compagna, i malumori e i problemi erano sempre in agguato.
Ne parlaianche condelle amiche, separate come me, con figli più grandi dei miei escoprii che loro avevanogli stessimiei problemi,provavano le stesse sensazioni, vivevano le stesse ansie, e questo mi spaventò, perché non vedevo via d’uscita. 
Ma fortunatamente la vita qualche volta sa riservare anche liete sorprese e la mia si chiamava Matteo. Matteo, sempre allegro, sempre gioviale, senza mai essere superficiale, è stato l'uomo che ha saputo rendermi il sorriso. 
Lo conobbi alla presentazione di un corsod’ingleseche lui coordinava. Era un corso per adulti e a me interessava molto perché mi avrebbe aiutato nel mio lavoro.
Qualche giorno dopo, accompagnata Giulietta, lo incontraiin un bar vicino alla scuola.
«Ciao, ma tu sei l’organizzatore del corso d’inglese».Gli dissi.
«Si certo, e tu eri nelle prime file il giorno della presentazione, vero?»
Mi rispose, porgendomi la mano.
«Piacere, io sono Susanna». Risposi.
Sapete quando si ha la percezione di provare un’intesa immediata, senza imbarazzo, senza fatica, come se ci si conoscesse da sempre? Ecco, quella fu la prima sensazione che provaiquando cominciai a parlare con lui.
Nei giorni successivi, accompagnata Giulietta a scuola ci incontravamo nello stesso bar; prendevamo il caffè assieme, facevamo due chiacchere e poi ci salutavamo, ma una mattina Matteo ruppe gli indugi.
«Susanna. Ho due biglietti per il teatro. L’Amleto di Shakespeare, ci verresti con me?»
Misarebbe piaciuto moltissimo, ma con così poco preavviso sapevo che avrei avuto delle difficoltà a organizzarmi, pertrovare una babysitter. 
Ci conoscevamo da poco, ed eccoche c’era già il primo problema da affrontare. Avrei voluto conoscerlo meglio, avere più tempo, ma chi volevo ingannare? La mia vita era quella e tanto valeva dirglielo subito.
«Mi piacerebbe molto, ma con i bambini stasera è un problema, ho bisogno di un po’ di preavviso per organizzarmi».
«Ma lo spettacolo non è questa sera, è domenica».Mi rispose, sorridendo.
Dopo quella domenica cominciammo a vederci spesso, però sempre fuori di casa. Si andava a cena, al cinema, si passeggiava e intanto la nostra relazione stava prendendo forma, anche se al nostro rapporto mancavaqualcosa e cioè la possibilità di vederci senza che per forza ci fosse di mezzo un evento, un programma preciso e un giorno Matteo me lo disse chiaramente:
«Perché sabato sera non ci vediamo a casa tua e mangiamo insieme, così mi presenti i tuoi ragazzi. Potremmo farci tutti assieme una pizza. Che ne dici?»
Fare la pizza in casa era uno dei giochi preferiti dei miei bambini. Quando lo proponevo, sapevo di andare sul sicuro, però valeva per noi tre da soli, senza intrusi. Ed ecco che riemergeva il vecchio problema: una bella proposta subito diventata il mezzo per ricordarmi ciò che mi continuava a tormentare.
«Sarebbe bello, ma non credo sia possibile».Gli risposi.
«Perché, ai tuoi bambini non piace impiastricciarsi mentre impastano la pizza?»Chiese.
«Certo. Loro si divertono un mondo, ma ai miei bambininon piace vedere uomini intorno alla loro mamma. Sono gelosi e sanno diventare anchemolto ostili. Rovinerebbero tutto. Mi è già capitato. Che dovrei forse, infischiarmene? Ma come faccio? Vorrei vedere te!»
Risposi malamente, ma soloperché volevodifendermi da critiche che avevo già subito e conoscevo ormai bene. Critiche che Matteo però non mi rivolse. Anzi, mi guardòcon un sorriso dolce e comprensivo.
«Hai ragione, bisogna evitare di metterci in contrapposizione con loro. Però, prima o poi vorrei conoscerli. Anche perché, altrimenti,tu dovrai sempre fare iconti con questa situazionee, questo, oltre che rivelarsiseccante per entrambi, non porterà a nessuna soluzione. Non puoi provare a parlargliene delicatamente, con gradualità?»
Ecco, eravamo arrivati ancora allo stesso punto. Era stata la tecnica provata anche conFabrizio, ma non aveva funzionato perché, al primo accenno,i bambini avevano smesso di ascoltarmi e Giulietta mi si era rivoltacon parole di fuoco, ed era stata durissima.
«Non credo funzionerebbe. Ci ho già provato ed è stato un disastro».
Replicai e lui, mettendosi una mano sulla bocca, sembrò pensarci un pochino e poi rispose che un modo ci doveva pur essere per convincerli del contrario. 
E’ una parola, volevo dirgli. Come si fa a ragionare con dei bambini? Non è colpa loro se non hanno più una famiglia unita. E stavo tornando a scivolare verso i soliti cupi pensieri, quando sentii dire a Matteo:
«Ci sono. Però tumi devi dire se lo vuoiveramente che io conosca e i tuoi figli».
«Si che lo vorrei, ma…»
«Ma i tuoi figli pensano che io potrei portargli via la loro mamma, è così?»
«Si è così, ma non capisco».
«E tu la sera haidifficoltà a trovare unababysitter, è così?»
«Si ma… così cosa?»Lo interruppi, perplessa.
«Allora è fatta! Sarò io il loro nuovo babysitter».
L’idea mi era suonatacosìstrana che non riuscivo più a seguirlo, e allora chiesi:
«Ma se tu rimani a casa a fare il babysitter ai bambini, io che faccio? Con chi esco?»
«Tu vai a trovare le tue amiche, esci con loro. Vai al cinema, o a farti una pizza, io intanto cercherò di fare amicizia con loro, senza che si sentano minacciati».
Cominciai a capire. Era un’idea talmente assurda che avrebbe potuto anche funzionare e non riuscii a trovare obiezioni e così,per il sabatosuccessivo,organizzammo tutto: io sarei uscita con le mie amiche e lui sarebbe stato presentato, come il nuovo babysitter, a Giulietta e a Paolo.
«Perché un’altra babysitter? Perché un maschio? Perché non viene Marina?»
Mi investì Giulietta, sospettosa. Io le risposi che Marina doveva dare un esame importante. Doveva studiare e non poteva venire. Invece Paolo, a differenza sua, sembrò subito entusiasta.
«Che bello, un maschio». Si limitò a dire. 
Giulietta non era contenta e si capiva, ma niente a che vedere con il fuoco di sbarramento che aveva provocato le volte precedenti. 
Quando la sera suonò alla porta, il cuore cominciò a battermi forte. Paolo andò ad aprire e sentii la vocedi Matteo che salutava i bambini e poi, quando mi vide, inaspettatamente si rivolse dandomi del lei. Era buffo fingeredi non conoscersi, ma l’importante era che i bambini non si accorgessero di nulla.
«Te li presento: questi sono PaoloeGiuditta». Gli dissi.
«Piacere. Io sono Matteo».Rispose, chinandosi verso di loro.
Poi si rivolse a me e con tono professionale chiese:
«A che ora vanno a dormire i bambini?»
«Hanno già mangiato e alle nove di solito sono già a letto. A volte racconto loro una favola e alle nove e mezzo, al massimo, spengo la luce».Risposi sorridendo e non senza imbarazzo.
«Perfetto. Conoscete la storia del passerotto che era diventato amico di un gatto?» 
Chiese, rivolgendosi ai bambiniche intanto si erano andati a sistemare sul divano e lo stavano osservando con curiosità. 
«E lei signora, quando torna?»
Era strano e anche buffo quello che stava accadendo, ma tutto ciò mi divertiva e allora, per non dovermi tradire, lo salutai con una stretta di mano edissi che per le undici sarei stata di ritorno. Una volta sul pianerottolo però, non ho resistito e appoggiai l’orecchio alla porta per ascoltare quello che si dicevano.
«Allora, bambini, servono un foglio e un pennarello. Per raccontarvi bene la storia è necessario che disegni prima i personaggi».
Sarei rimasta lì, dietro la porta,ad ascoltarli per tutta la sera ma era arrivato l’ascensore a ricordarmi che dovevo recitare la mia parte.
La cena con le amichesi rivelò noiosissima e lunghissima. Tesa e preoccupata, non vedevo l’ora di tornare a casa per sapere com’erano andate le cose tra i bambini e il nuovo babysitter.
Al rientro trovaiMatteo sul divano che stava guardando la televisione e Giulietta e Paolo che dormivanonella loro cameretta.
«Com’è andata?»Gli chiesi, preoccupata eincuriosita, ma Matteo mi fece segno che sarebbe stato meglio continuare a recitare. Meglio non rischiare.
«Molto bene signora. Paolo e Giulietta sono due bambini splendidi e buonissimi. Ora dormono».
«Allora non mi resta che ringraziarti e pagarti. Ma ho un problema, mi sono accorta ora che con me non ho contanti. Scendiamo un attimo assieme, qui sotto c’è un bancomat…» Gli dissi, facendogli segno di seguirmi.
«Oh, ma non è un problema signora, può darmeli un’altra volta».
Mi rispose, ma io lo fulminai con lo sguardo e insistetti:
«No, no. Non se ne parla nemmeno, scendo un istante con te e te li do subito».
Matteo finalmente capìe scendemmo assieme e una volta giunti davanti al portone gli chiesi com’erano andate le cose. Lui mi rispose con un sorriso e mi abbracciò con uno slancio da adolescente e rispose che era andato tutto magnificamente.
«Allora,quando avrà ancora bisogno di me, mi chiami pure quando vuole, signora».Mi disse, strizzandomi l’occhio e uscendo. 
Nei mesi successivi rendemmo settimanale quell’appuntamento serale, poi una sera,in occasione del mio compleanno,l’ho invitai a cena. I bambini ne furono entusiasti così, perla prima voltaci trovammo tutti e quattro assieme,e fu un compleanno bellissimo. 
Restava l’ultima tappa, la più difficile. Dopo qualche altro mese, decidemmo di dire ai ragazzi che sì, insomma ci piacevamo.Io ero agitatissima e Matteo lo era anche più di me, ma tutto andò benissimo, splendidamente. E, inaspettatamente, in quell’occasione Paolo chiese a Matteo perché non voleva venire ad abitare con noi. Invece Giulietta, più misurata e controllata, si limitò a sorridere, ma si vedeva che anche a lei avrebbe fatto piacere vedere la sua mamma più serena e sorridente.
 


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