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PERCHÉ SIAMO QUI?

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

26
GEN
2017

Enzo pensò che non avrebbe dovuto darle appuntamento in un ristorante. Nei ristoranti non era mai andata bene. Non doveva invitarla fuori a cena, fuori da quelle mura domestiche dove lei era rimasta con i bambini. Sarebbe dovuto salire lui, tenersi per un po’ i bambini in braccio e poi, mentre Andrea e Loris guardavano un dvd di cartoni animati in camera loro, parlare con Alda. Con lei che indossava i pantaloni della tuta e lui senza nemmeno togliersi il giubbotto. Sarebbe stata una cosa veloce pratica. Ma Alda non lo fa più salire in casa, perché dice che i bambini soffrono quando lo vedono andare via. Ormai i figli sono diventati lo scudo da frapporre tra di loro.
Quel giorno Enzo aveva guardato i bambini addormentati, li aveva accarezzati e se ne era andato in silenzio. Gli occhi arrossati, offeso. Più che offeso, perché sentiva di non meritare quell’abbandono e sperava che con l’aiuto dei bambini alla fine ce l’avrebbero fatta. E invece non ce l’avevano fatta, perché non ce la si fa mai solo per i bambini. Ed era dura da accettare.
Le scuole avevano chiuso da poco. Erano cominciate le vacanze: il grande vuoto dei tre mesi estivi, e si erano dati appuntamento in quel ristorante con i tavoli all’aperto.
«Perché siamo qui?»
«Per parlare dei nostri bambini».
Alda ha ancora la borsa attaccata alla spalla, guarda il suo ex marito e sembra infastidita.
«Vuoi un po’ di vino?» Le chiede Enzo.
Lei fa ondeggiare la testa, in un gesto vago. Non è né un sì né un no.
Enzo l’ha attesa a quel tavolo, in mezzo ad altri tavoli pieni di gente. Alda si guarda intorno e vede una coppia anziana, seduta pochi tavoli più in là. Era lì che le sarebbe piaciuto stare, in quell’angolo più appartato. La schiena protetta, a ridosso del muro.
Enzo le versa da bere con un gesto ampio, ridicolo, e lei guarda il vino scendere con quel rumore caratteristico che in quel momento è del tutto fuori luogo. Non si recupera l‘amore con un sorso di vino. Gesti e soldi sprecati. I loro momenti migliori sono ormai lontani, altrove: una passeggiata con un cartoccio di castagne in mano, una pizza, un gelato. Ora si vedono solo per parlare dei figli.
«Come te la passi?» Gli chiede Alda, tanto per non iniziare subito a litigare.
«Me la passo abbastanza bene … sto in un residence, ma non posso restarci ancora molto. Faccio la spesa … mi sto organizzando».
A fine marzo si era trasferito in quel residence, ma confidava di restarci per poco, era sicuro che lei sarebbe andata a riprenderselo. Invece era arrivata la lettera dell’avvocato e in seguito, quando lui aveva chiesto spiegazioni, anche la scenata e le grida di Alda.
La cameriera intanto ha portato due bistecche con insalata e patatine fritte. Enzo smette di parlarle, impugna subito coltello e forchetta e si unge il mento di olio. Alda prende il tovagliolo,vorrebbe allungare la mano e pulirlo. Un riflesso automatico, condizionato, ma si trattiene.
«Pulisciti il mento». Si limita a dirgli.
Enzo si strofina, ma continua a pensare al più piccolo, a Loris. Gli manca. Prima lo portava in bicicletta al parco, sulle giostrine e se si addormentava,lo prendeva in braccio, si sedeva su una panchina e restava lì immobile sino a quando non si svegliava. Ma adesso Alda non glieli lascia più prendere i bambini.
Quando non era stato ancora deciso niente, lui faceva così. Citofonava.
«Posso salire?» Spesso era Andrea, il maggiore, a rispondere e allora chiedeva:
«Chiedi a mamma se posso salire».
Sbagliava a mettere in mezzo i bambini, lo sapeva, ma a volte non poteva farne a meno, perché la voglia di vederli, di sentire le loro vocine, era più forte di qualsiasi ostacolo o veto.
«Non puoi fare come ti pare». Gli ripeteva lei, quando lui insisteva.
Poi, un giorno, si erano trovati in una stanza del tribunale, il giudice aveva assegnato a leila casa e a lui i giorni per vedere i figli, e in quel momento si sentì come se non fosse più il padre, ma un ladro di bambini.
«È così che ti fanno sentire, queste leggi». Le ripete, ma lei è categorica, non vuole che si presenti a casa con qualche regalo o un pacchetto di dolciumi, tanto per disorientare i bambini.
«È troppo facile venire, buttare una manciata di caramelle e andarsene. Poi diventano nervosi, strani, Non mi danno più retta».
Alda solleva una mano per mettersi i capelli dietro l’orecchio, ed Enzo si accorge solo ora che lei ha cambiato pettinatura, che si è schiarita e lasciata crescere i capelli.
«Vuoi ancora un po’ di vino?» Le chiede.
Lei mette la mano sul bicchiere e scuote la testa. Ha mal di stomaco e non vede l’ora che quella cena, quella farsa abbia termine. Non hanno niente da dirsi e quel poco che si sono detti è finito nella spazzatura.
Squilla il cellulare. Alda lo cerca nella borsa, lo prende, legge mamma e fa una piccola smorfia.
«Dimmi». Ma non la lascia parlare.
«Passamelo. Cosa c’è, Andrea?»
La voce del bambino è alterata, stridula, come un cancello arrugginito. Enzo si avvicina per sentire la voce del figlio,gli arrivano delle parole, ma gli sono incomprensibili.
«Poi ne parliamo. Ora andate a letto». Dice Alda, troncando la telefonata.
Enzo alza la mano, vorrebbe salutarlo, ma lei ha già riattaccato.
«Ah… mi spiace. Non gli ho detto che uscivo con te, non mi andava di illuderli».
«A quest’ora, ancora non dormono?» Chiede Enzo, tanto per abbassare i toni.
«È mia madre che combina casini». Gli risponde lei, buttando lo sguardo altrove.
«Se lo vogliono, compriamocelo il cane ai bambini, se vuoi, ci penso io».
«Ci manca solo il cane». Gli risponde con voce astiosa, Alda.
Su queste cose non sono mai andati d’accordo. Sono stati sempre di opinioni diverse.
Enzo intanto pensa ad Andrea, quando al mare lo buttava sott’acqua, lo lasciava e lo riprendeva. Lo tirava su tra gli schizzi e le loro risate.
Intanto la cameriera si è avvicinata e chiede se può ritirare i piatti.
«Vuoi qualcosa, dopo?» Chiede Enzo.
Ma Alda non ha nemmeno finito la sua bistecca e fa un cenno affermativo alla cameriera e intanto, istintivamente, si copre la mano, il dito dove per dieci anni ha tenuto la fede.
«Io prendo un dolce e tu?» Insiste Enzo, come se non lo avesse notato quel gesto di prima.
«Niente». Risponde lei, tagliando corto e volgendo lo sguardo a quel tavolo attaccato al muro, dove siede una coppia anziana. La donna ha i capelli attraversati da lievi sfumature bionde, le gambe accavallate sotto il tavolo e ai piedi scarpe costose. Lui in testa ha invece una nuvola polverosa, azzurrina, e stranamente le ricorda suo padre che è morto sei anni prima.
Anche il vecchio con i capelli azzurrognoli guarda Alda. Ma a lei stanno sulle scatole gli anziani danarosi e allora distoglie lo sguardo e intanto le sembra che la serata non abbia mai fine.
«Io porterei con me i bambini nella seconda metà di agosto, se a te sta bene». Butta lì Enzo.
«E dove li porti?» Chiede lei, cominciando a sudare e a preoccuparsi.
«Ancora non lo so. Forse al mare, forse in campeggio». Risponde lui, vago.
«Finirai con parcheggiarli da tua madre, in paese, mentre tu sicuramente ti dedicherai ad altro». Si lascia sfuggire lei.
«Se andiamo al mare li porto in barca, in bicicletta, o a fare qualche picnic in collina».
Alda solleva il bicchiere colmo di quel vino dolce, e davvero lo beve tutto d’un fiato, come una medicina. Intanto si sente un botto lontano, rumore di metallo e di vetri che impattano violentemente. Un incidente notturno a uno di quegli incroci disgraziati. “Speriamo che non sia nulla di grave”, mormora Alda.
«Posso passare a prendere i miei vestiti? Quelli che sono rimasti da te?» Le chiede Enzo.
«Quando ti pare… quando non ci sono i bambini, però» Gli risponde Alda.
In realtà non gliene importa un accidente di quella roba, e pensa a quanto sia stato imbecille a farle la domanda. Avrebbe dovuto dirle semplicemente la verità, che aveva voglia di vedere i figli.
Si è fatto tardi. Se i bambini si svegliano, chiederanno di lei. Deve andarsene.
«Sei sola tu?» Le chiede Enzo, senza tener conto di quello che gli ha appena detto lei.
«Sì, sono sola, più sola di te». Anche se lei almeno ha i bambini. Ma in fondo sono proprio loro a farla sentire ancora più sola. Le riempiono le giornate, ma intanto le impediscono di pensare a se stessa. E non può fare a meno di chiedersi dove sia il padre, visto che lei vive con due orfani. Con gli orfani del loro fallimento. Magari un giorno un altro uomo si affaccerà a lei, a loro. Ma non sarà più la stessa cosa.
Enzo ha tirato fuori il libretto degli assegni e lei lo guarda sorpresa.
«Ce l’hai una penna?» Le chiede, e allunga una mano. Alda fruga nella borsa e gliela porge. Intanto il vecchio del tavolo accanto solleva un braccio e sventola la mano verso la cameriera per chiedere il conto, e Alda crede di vedere ancora una volta suo padre.
Enzo ha finito di scarabocchiare l’assegno e glielo passa assieme alla penna.
«Sei sicuro di averceli tutti questi soldi?» Gli chiede lei, dopo aver dato un’occhiata alla cifra. Lui dice di sì e ride, ma Alda lo sa, le ha dato più soldi di quello che si poteva permettere. Ha staccato quell’assegno solo per lasciarla di sale. Lei riguarda la cifra e sa già che per molto tempo non vedrà più niente.
Enzo ha la fronte sudata, come quella di un bambino dopo una corsa, e chiede:
«Tu non mi stimi, vero?» Lei scuote la testa e non risponde. Abbassa la testa, avvicina la mano al tovagliolo e poi lo abbandona sul tavolo. Intanto è arrivata la cameriera con il conto.
«Quand’è che abbiamo cominciato a non amarci più?» Le getta lì Enzo, appena la cameriera si è di nuovo allontanata.
«Non lo so. Avevi tanti amici. Frequentavi gente strana e non solo quella». Gli risponde.
«Ma non si possono giudicare le persone per la gente che frequentano: Giuda, ad esempio, aveva amici integerrimi, di tutto rispetto». Ribatte ironico Enzo, e prosegue a parlarle con metodo, con perfidia, provocandola, come se si trattasse di uno scherzo.
«Perché non abbiamo avuto la forza di aspettare? Forse le cose potevano cambiare, migliorare».
Adesso sorridono, per poco ma sorridono. Poi si girano e guarda noi due anziani del tavolo accanto che stanno facendo un brindisi. Forse loro hanno fatto pace. Chissà?
«Paga, così ce ne andiamo». Dice Alda, in quella calda sera di inizio estate, che a lei sembra una delle peggiori che abbia trascorso con lui.
Ero rimasta sola. Completamente stordita. Si era lasciata andare con una sua amica, un giorno che si era sentita particolarmente depressa.
“È quello che sanno fare gli uomini. Davanti alle nostre sofferenze, loro scendono a portare fuori il cane, e poi vanno al bar o in palestra”. Le aveva risposto questa.
«Dimmi che non mi ami più, Alda. Così me lo faccio scendere. Me ne faccio una ragione».
«Non ti amo, Enzo». Si sente rispondere, senza nessuna esitazione o inclinazione nella voce.
Intanto la coppia anziana si è alzata e sono lì, in piedi davanti a loro. Sorridono. L’uomo ha in mano la bottiglia e due bicchieri e chiede ad Alda e a Enzo se vogliono fare un brindisi alla vita, con loro, per loro.
«Per cosa dobbiamo brindare?» Chiede Alda, porgendogli il suo bicchiere.
L’uomo le versa lo spumante e poi finisce il contenuto della bottiglia in quello di Enzo. La moglie lo guarda pensierosa, non sorride, né dice niente. Il vecchio invece è un uomo loquace. Comincia a parlare e non la smette più. È in pensione, ha lavorato tutta la vita per trovarsi ora, alla vigilia dei settantotto anni, a doversi ricoverare per essere operato al cuore. Enzo alza il suo bicchiere, gli fa gli auguri ma non ne beve il contenuto. La moglie mette una mano sotto il braccio del vecchio marito e cerca di trascinarlo via. Gli dice che i loro sono problemi da vecchi e che non possono interessare i giovani. E aggiunge che ognuno ha i propri guai, che bisogna accontentarsi, saperli affrontare, accettarli.
Enzo e Alda hanno i loro di problemi, e non riescono a immedesimarsi in quelli dell’uomo che intanto è tornato a girarsi verso di loro e ride. Alla fine si allontana, alza un braccio in segno di saluto e poi scompare. La coppia se n’è andata. Ingoiata dalla notte.
Anche loro due si avviano. Enzo, accompagnandola alla macchina vorrebbe metterle una mano sulla spalla, prenderle lamano, ma si trattiene, o forse non sa più farlo. Giunti davanti alla vecchia Panda, Alda si lascia scivolare sul marciapiede. Enzo la fissa e si china su di lei. E intanto si sente davvero un imbecille.
«Che ti prende?» Le chiede, posandole una mano sulla schiena.
«Prego, per quel vecchio». Risponde Alda, chinando la testa e chiudendosela tra le mani.
Enzo vorrebbe chiederle cosa diavolo gliene possa importare a lei di quel vecchio, ma sta zitto e la lascia singhiozzare. Forse fa solo finta di piangere per quel vecchio e invece sta pensando alla loro assurda situazione, al naufragio del loro matrimonio, andato ad arenarsi su due isole deserte e distanti.
Alda singhiozza e intanto Enzo pensa ai loro figli, orfani di un padre che una legge assurda gli impedisce di vedere quando ne ha voglia, o quando loro chiedono divedere lui.
Alda finalmente si scuote, si alza e si siede in macchina. Mette in moto e intanto abbassa il finestrino per ringraziarlo dell’assegno.
«Non mandarlo subito all’incasso. Aspetta qualche giorno, lasciami il tempo di compiere delle operazioni in banca». Le risponde lui.
Ma Alda lo sa, e aspetterà sino a quando glielo dirà lui di andarlo a incassare.
Lei con un cenno della mano rinnova il saluto, ingrana la marcia e si allontana.
Enzo alza la mano per rispondere al saluto e aspetta che la Panda svanisca nel buio della notte. Poi rimane lì, immobile, sotto la pioggia improvvisa di quella finta estate. In quella notte che la sua ex moglie gli ha ribadito di non amarlo più. In quella notte che, come le precedenti, sta inghiottendo i suoi figli, Andrea e Loris.
Ha freddo, ma non per colpa della pioggia, è un freddo che si irradia da dentro e che lo fa curvare dal dolore. Un dolore atroce, inumano, perché provocato da leggi assurde. Leggi emanate da chi non sa niente della sua vita, da chi non gliene importa niente del bene che lui prova per i propri figli, e di quanto gli possano mancare in una notte come quella.
 
 



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