MENU

IL CORSO DI CUCINA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

7
MAR
2017

Mia figlia Adriana è sempre stata una ragazza responsabile e matura. “Troppo”, ho pensato più di una volta. Non va in discoteca, non le piace la confusione, al massimo esce qualche ora con le sue amiche nei fine settimana e non rientra mai tardi. I due precedenti ragazzi che ha frequentato me li ha fatti conoscere e quando le storie sono finite, è successo che mi sono trovata in eredità un paio di “consuocere mancate”, con cui mantengo ancora dei buoni rapporti.
Dunque, non ho mai avuto motivo di essere una madre ansiosa e ossessiva. Anche perché ho sempre considerato una scorrettezza, un’invasione della privacy, intrufolarmi nella vita privata di mia figlia. Ma ora, devo ammetterlo, sono preoccupata e sento il bisogno di fare qualcosa per lei… sta soffrendo e vorrei aiutarla.
Era da un po’ di giorni che vedevo Adriana inquieta, tesa, scontrosa. E se le chiedevo il motivo, mi rispondeva a monosillabi o cercando di evitare di parlarne. Era chiaro che qualcosa era successo, ma non voleva dirmelo. Ma una sera che rientrò a casa con gli occhi arrossati dal pianto m’imposi e le chiesi cosa fosse successo.
«Perché stai piangendo?» e, anche se ero certa che non poteva esserne la causa, le chiesi se avesse avuto dei problemi sul lavoro; era stata assunta con un contratto a termine nello studio di un ingegnere, ma fino a quel momento tutto sembrava andare per il meglio, quindi, non poteva essere quello il motivo. Insistetti ancora e così, tra risposte elusive e parole strappate, capii che il lavoro non c’entrava nulla, ma che, invece, era la storia con il suo ragazzo che stava andando a rotoli.
Da un po’ di tempo Andrea non la riaccompagnava più a casa e la sera non si faceva più vedere. Fatto piuttosto strano pensai, ma alle mie domande discrete Adriana rispondeva sempre con un borbottio incomprensibile o, peggio, con scatti nervosi che mi facevano ammutolire, e questa situazione andò avanti sino a quando, una sera, Andrea si presentò a casa nostra esi andò a chiudere in camera con mia figlia.
Hanno subito iniziato a discutere e a volte le voci erano così alte che anche volendo non averi potuto fare a meno di sentire quello che si stavano dicendo. E così appresi che Andreasi stava trasferendo all’estero, in Inghilterra, dove aveva trovato lavoro come ingegnere in una fabbrica che produceva motori d’aereo e che, per questo motivo, stava lasciando mia figlia. “Le storie a distanza non hanno mai avuto fortuna e sono destinate a naufragare”, e ripeteva: “Meglio lasciarci ora e restare buoni amici”.
È solo una scusa, rispondeva Adriana, con la voce carica di rabbia e tra le lacrime, ma lui insisteva che lo faceva solo perun senso di correttezza nei suoi confronti.Non se la sentiva, insisteva, di trascinarla in una storia che sin da subito si sarebbe trasformata in un pour parler a distanza. E le ripeteva che non avrebbe avuto senso continuare, perchéil suo futuro sarebbe stato quello di vivere per sempre all’estero, senza nessuna prospettiva di riavvicinamento.
Lui andava a lavorare a migliaia di chilometri di distanza e le possibilità per un suo rientro in Italia erano inesistenti. “Inutile insistere”, le ripeteva.
Continuarono a parlare sino a che la discussione si smorzò in un silenzio carico di tensione, e solo quando l’ho visto andare via, salutandomi frettolosamente, ho avuto il coraggio di andare da mia figlia.
La trovai buttata sul letto, con la testa affondata nel cuscino, che singhiozzava.
Stavano assieme da due anni e avevano fatto dei progetti e pensato anche di andare a vivere assieme e adesso, improvvisamente, tutto svaniva e mia figlia sentiva il mondo crollarle addosso.
Non sapevo cosa fare, avrei voluto abbracciarla, dirle, come facevo quando era piccola, che sicuramente si sarebbe trovata una soluzione, che tutto si sarebbe risolto, ma mi trattenni. Adriana era una donna ormai, non potevo trattarla come una bambina e allora mi sedetti sul letto, accanto a lei e, accarezzandole i capelli, cercai di consolarla. Le dissi tante parole inutili, banali e forse anche senza senso, ma continuava a piangere, edio non potevo starmene lì a guardarla senza dire niente. Mi si straziava il cuore nel vederla soffrire in quel modo.
«Posso fare qualcosa per te?» Le chiesi, mentre continuavo ad accarezzarle i capelli.
«Adriana, rispondimi, per favore». Insistevo, mentre cercavo di scuoterla.
«Mamma lasciami in pace. Voglio restare sola. Ormai nessuno può farepiù niente!»
Mi rispondeva tra le lacrime, e senza neppure alzare il viso dal cuscino.
Rimasi con lei ancora per qualche minuto e poi uscii dalla stanza per lasciarla sola.Ma era chiaro che quello di Andrea era stato solo un pretesto per chiudere il loro rapporto. Per ricominciare da zero e senza legami la sua nuova vita. Ma questo non ho avuto il coraggio di dirlo a mia figlia.
Con il trascorrere dei giorni e dopo la partenza di Andrea la situazione non migliorò, anzi, andò sempre più precipitando, tanto che Adriana era sull’orlo della depressione.
Andava come sempre a lavorare e riprese anche a frequentare le sue amiche più care. Nella quotidianità si sforzava di ritrovare un po’ di serenità, ma si vedeva che soffriva e non poteva continuare così, e allora presi la decisione e andai a parlare con un medico, uno psicologo, che sirese subito disponibile per parlarle e aiutarla.
«Non voglio vedere nessuno, né tantomeno parlare con un medico». Mi rispose, quando cercai di convincerla.
Intanto i giorni passavano, la situazione non accennava a migliorare, ed io mi sentivo impotente, confusa. Ero disperata, perché non sapevo più dove andare a sbattere la testa. Ma intanto mi convincevo sempre più che non potevo starmene lì senza fare niente e anche se non sapevo cosa fare, dovevo inventarmi qualcosa per aiutarla.
Un giorno venne a trovarmi una mia amica e con lei mi lasciai andare a raccontarle di Adriana, di quanto stesse male per colpa di Andrea e di quanto soffrissi io nel vederla così. Lei mi ascoltò, mi lasciò sfogare e poi volledarmi un consiglio:
«Perché non la convinci ad andare in palestra, oppure partecipare a qualche corso di perfezionamento? Non so… di una lingua straniera, l’inglese per esempio? O magari frequentare un bel corso di cucina. È importante che si distragga, ricominci a guardarsi intorno, che veda gente nuova, che si scuota, che si interessi ad altro».
Andata via l’amica, cominciai a rimuginare sul suo consiglio e scartai subito l’ipotesi della palestra, perché ad Adriana non era mai piaciuta l’attività sportiva e scartai anche il corso d’inglese: ci mancava solo quello. Ad Adriana era sempre piaciuto, invece, mettersi ai fornelli e cucinare per le sue amiche e seguiva volentieri anche le trasmissioni televisive che parlavano di quell’argomento, e allora cominciai a fare delle ricerche su internet e digitai: corsi di cucina e poi aggiunsi il nome della nostra città. Sul monitor comparve subito un lungo elenco di nomi più o meno fantasiosi. Corsi professionali e amatoriali di cucina cinese, francese, vegetariana, vegana.Pasta, riso, arrosti, cacciagione, verdure, dolci, eccetera. E vidi, tra l’altro, che uno dei corsi si sarebbe tenuto proprio vicino a casa nostra. Presi nota e poi chiamai per chiedere delucidazioni sul corso e sulle modalità per l’eventuale iscrizione.
I titolari della scuola erano un ragazzo e una ragazza pieni d’entusiasmo, diplomatisi all’alberghiero e figli di ristoratori. Due giovani intraprendenti che avevano aperto la scuola da due anni e che stavano portando avanti il loro progetto: ”Cuciniamo e gustiamo”, come lo avevano definito, per divulgare la buona cucina, per stare in compagnia di amici e con loro farsi tante risate, mi disse la ragazza, quando chiamai.
Avute tutte le notizie che cercavo, andai alla scuola e, assicuratami della professionalità di quei due ragazzi, non ci pensai due volte e iscrissiAdriana al corso che stava per iniziare di lì a una settimana.
Il problema, ora, era quello di convincere mia figlia. Lo sapevo, non sarebbe stato facile, e allora, prima di andare via, mi consultai con la giovane insegnante del corso e spiegai il motivo per il quale stavo iscrivendo mia figlia a quella scuola.
«La cucina può essere un ottimo antidoto contro le pene d’amore, signora». Mi disse la ragazza e poi aggiunse:
«Per tutti valga l’esempio di Audrey Hepburn nel film Sabrina, spedita dal padre a impratichirsi di cucina a Parigi, proprio per curarsi dalle pene di un amore non corrisposto».
Così ci mettemmo a parlare e assieme architettammo uno stratagemma per riuscire nell’intento.
Il giorno dopo, come stabilito, arrivò la telefonata che aspettavo. Era il momento più delicato di tutto il piano e, con questa consapevolezza e tanta preoccupazione, andai a bussare alla porta della sua stanza.
«Adriana, ti vogliono al telefono» Dissi, sperando che non si accorgesse della mia ansia, che cercavo maldestramente di celare.
«Chi è?» Mi chiese, e aggiungendo un poco promettente…
«Non voglio parlare con nessuno». Ma ormai ero decisa e non mi lasciai scoraggiare e insistei:
«Adriana, c’è una persona al telefono, e chiede di parlare proprio con te. Dice che ha una comunicazione importante da darti».
«Non mi interessa». Rispose lapidaria, e senza nemmeno girarsi verso di me.
«Per favore vieni un minuto e parlaci tu. Io non so cosa rispondere. Questa ragazza dice che è la titolare di una scuola di cucina e che ti deve parlare per un corso gratuito che inizierà a giorni».
Mutismo, silenzio che si poteva tagliare con un coltello, poi, quando ormai stavo per perdere le speranze, la vidi muoversi e, fissandomi sospettosa, si alzò per andare a rispondere. Ma intanto in fondo ai suoi occhi scorsi un interesse che sino a quel momento non aveva mai dimostrato.
Sperando nelle capacità di persuasione della giovane insegnante, le passai la cornetta e intanto feci gli scongiuri.
Avevamo concordato di dire ad Adriana che aveva vinto la partecipazione al corso di cucina grazie all’estrazione a sorte che la scuola aveva organizzato per raccogliere fondi per una casa famiglia, dove tenevano anche dei corsi gratuiti per mamme e bambini. Era una mezza verità che, conoscendo la sensibilità di mia figlia, poteva riuscire a coinvolgerla in quel progetto.
Adriana rispose, come faceva sempre ormai, solo a monosillabi e intanto aspettavo con trepidazione e con il timore che potesse rifiutare, di conoscere la sua decisione. Ma alla fine la sentii dire: d’accordo. Sì, okay. Passerò a parlare con voi.
Non ci potevo credere! Già questo mi sembrava un piccolo miracolo…ma fino all’ultimo restai col dubbio: Adriana ci sarebbe andata davvero? O alla fine avrebbe scelto di restare nella clausura che si era imposta?
Ma ecco, dopo essere tornata nella sua camera, la porta si riaprì e, anche se aveva ancora gli occhi arrossati, Adriana si era tolta la tuta, con la quale ormai viveva in simbiosi, ed era tornata a indossare i jeans e la sua amata felpa di lana.
Mi fece un cenno di saluto e poi si avviò verso la porta d’ingresso ed io, per non rischiare di rovinare tutto, non le dissi nulla, né le chiesi nulla, ma avrei voluto abbracciarla, stringerla a me, come quando era bambina, ma mi limitai a dirle solo:
«Ciao. A più tardi».
Quando rincasò, qualche ora più tardi, cercai di leggere nell’espressione del suo visoimpenetrabile il risultato del colloquio, e non so cosa avrei dato per sapere com’era andata a finire, ma mi trattenni anche dal telefonare alla scuola. Avevo il timore che potesse sentirmi. E allora mi costrinsi ad avere pazienza: sarà lei a parlarmene, se vorrà.
Adriana incominciò a frequentare il corso, ma era sempre taciturna e quando tornava a casa, si rinchiudeva nella sua stanza e non diceva una parola.
Poi, un pomeriggio, di ritorno da un giro di compere, aprendo la porta di casa fui accolta da un profumo delizioso. Corsi in cucina e sul fuoco scorsi delle padelle scoppiettanti, nelle quali soffriggevano, melanzane tagliate a striscioline, patate e peperoni rossi. E davanti ai fornelli, concentrata sulla cottura, c’era proprio lei, Adriana, assieme ad unsuo amico.
«Allora, questa sera per la cena ci pensi tu?» Chiesi sorridendo.
«Veramente abbiamo invitato qualcuno. Due nostri amici,una coppia, nostra compagna di corso». Rispose.
Oddio, ho rovinato tutto pensai, ma lei si rivolse con il sorriso dei suoi tempi migliori, che non vedevo da tempo, e disse che non avrei dovuto preoccuparmi, perché sarei stata invitata anch’io e che mi avrebbe fatto assaggiare dei manicaretti che avevano imparato a cucinare al corso.
«Questo, mamma, è Valerio, siciliano, che ho conosciuto al corso e che sa preparare degli arancini fantastici, e non puoi immaginare quanto siano buoni i suoi cannoli alla ricotta».
«Piacere». Mi limitai a rispondere, ma dentro di me il cuore ricominciò a battere di felicità.
«Pensavo che potremmo mangiare tutti assieme. Così conoscerai anche gli altri nostri amici, mamma. Spero non ti dispiaccia. Forse avrei dovuto avvertirti prima». Concluse.
Io mi sentivo così felice che non riuscii nemmeno a risponderle. Le feci solo un cenno d’assenso con il capo e mi andai a eclissare in un’altra stanza, ma intanto capii, da come aveva pronunciato il nome del suo amico:“Valerio”, che quel ragazzo doveva essere più che un suo amico. Manon volevo correre troppo, per il momento a me bastava averla vista un’altra volta sorridere e serena.
La sera, quando suonarono alla porta e andai ad aprire, mi trovai davanti una coppia di ragazzi allegri e simpatici.
«Buona sera signora. Siamo stati invitati da Adriana e Valerio». Mi dissero, sbirciando oltre le mie spalle.
Cenammo tutti assieme in allegria e mi convinsi, dal modo in cui si guardavano, che quel Valerio lì era molto di più che un semplice amico per Adriana. Finito di cenare lasciai i ragazzi soli e me ne andai in cucina a lavare la pila di piatti che Adriana aveva usato e che mi stavano aspettando nel lavello.
 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor