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UNA STUPIDA SBANDATA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

7
DIC
2017

È la solita vecchia storia: l’ultra cinquantenne che per illudersi di restare giovane, si mette con una ragazza che ha l’età di sua figlia.
La mia compagna aveva ventotto anni, solo due più di mia figlia Barbara, e molti meno dei cinquantadue di Ada, la mia ex moglie che avevo lasciato per lei.
E io? Io di anni ne avevo cinquantaquattro, portati bene ma dichiarati malvolentieri. Di me si diceva che assomigliavo a un certo attore americano: stesso fascino marpione, capelli brizzolati e un sorriso da canaglia. In più potevo ancora vantare un fisico atletico. Facevo molto sport ed ero sempre abbronzato. Avevo una barca a vela e quando il tempo lo permetteva, andavo per mare.
Ma la mia poteva anche essere l’età giusta per diventare nonno, visto che mia figlia si era sposata da poco ed era in attesa della sua prima bambina, un po’ meno per mettermi con una ragazza che aveva poco più della sua età.
La differenza anagrafica, che all’inizio mi era sembrata irrilevante, dopo qualche tempo si era rilevata in tutta la sua enormità, tanto che avevo pensato di aver fatto un grosso errore a mettermi con lei, perché nel giro di poco tempo la nostra storia stava giungendo ormai al termine.
Quando l’avevo conosciuta e messo con lei, una ragazza con la metà dei miei anni, mi era sembrata la cosa giusta da fare, la cura ideale per superare la mia crisi matrimoniale e contrastare l’incipiente vecchiaia, anche se avevo sempre criticato gli uomini della mia età che si atteggiavano a eterni latin lover e che avevano lasciato la moglie per correre dietro a delle adolescenti. Ma poi era successo anche a me e, senza pormi tante domande né crearmi problemi, avevo seguito il loro esempio.
Prima di conoscere Stefania conducevo una vita tranquilla e regolare. Non mi ero mai sentito vecchio, anzi, mi sentivo come se avessi ancora tutta la vita davanti e contavo di trascorrerla per sempre accanto a mia moglie, come avevo fatto sino a quel momento. Ma al compimento dei cinquant’anni tutto era cambiato. Io quel compleanno lo avevo lasciato passare sotto silenzio, mentre mia moglie lo aveva annunciato con tanto di squilli di tromba.
Ada lo aveva festeggiato con una grande festa, mentre io, che li avevo compiuti due anni prima, mi ero limitato a portarla a cena fuori.
Avevo una bella famiglia e il mio lavoro mi piaceva. Non avevo grilli per la testa, non desideravo nessun’altra donna al di fuori di mia moglie, e mi sorprendeva quando diceva:
«Quella contro il tempo è una lotta impari, quindi preferisco essere in pace con me stessa e non in guerra con gli anni che passano. Tanto non ci si può fare niente».
Avrei dovuto ammirare il suo equilibrio, la sua saggezza, la sua serenità d’animo, invece non la capivo.
Proprio in quel periodo avevo incontrato Stefania. E a minare il mio equilibrio e le basi del mio matrimonio non era stata solo la ragazza giovane e carina che avevo conosciuto, ma anche i discorsi dei vecchi amici.
Stefania era giovane, bella e puntigliosa, sempre vissuta nella bambagia, servita e riverita. Una tipica figlia di papà, in tutto e per tutto, tanto che alla lunga aveva finito con lo stancarmi.
Suo padre era un industriale molto noto e non aveva fatto certo salti di gioia quando seppe che sua figlia si stava mettendo con uno più grande di lui. Ma quando ci incontrammo e ne parlammo, chiarimmo. Mi disse che in fondo sua figlia non era mai andata d’accordo con i ragazzi della sua età e che probabilmente io rappresentavo il male minore.
«In fondo preferisco vedere accanto a Stefania un uomo maturo e già arrivato come te, piuttosto che vederla con un ragazzotto senza arte né parte che si mette con mia figlia solo per essere aiutato a farsi strada e che aspira soltanto a spendere i miei soldi».
No, io non ero un cacciatore di dote, e per Stefania avevo proprio perso la testa. Anche perché non poteva essere più diversa da mia moglie. Ada sapeva sempre cavarsela benissimo in tutto. Stefania invece non sapeva nemmeno muovere un passo se non ero io a condurla per mano, a dirle come comportarsi. A differenza di Ada, era sempre allegra, sorridente, un vulcano d’iniziative contagiose, che per forza di cose io dovevo cercare di ridimensionare.
Mentre con mia moglie mi sentivo ormai un vecchio inutile e soprattutto sminuito nel mio ruolo di marito e padre, Stefania mi faceva sentire giovane, mi aveva fatto tornare ragazzo.
Ad Ada piaceva trascorrere i fine settimana in compagnia degli amici, mentre io preferivo starmene da solo. Avevamo interessi diversi. A me piaceva andare per mare, mentre Ada non condivideva la mia passione per la vela.
«Sono una donna con i piedi troppo per terra per apprezzare tutta quell’acqua». Scherzava, ma in fondo parlava sul serio. Stefania invece adorava il mare e le piaceva andare in barca. Mia moglie non amava volare, mentre Stefania non vedeva l’ora di andare in aeroporto e partire.
E così ho finito per tradire mia moglie, ma non con una sirena o con una maga Circe, ma con una ragazzina viziata, mai cresciuta, figlia di un uomo importante che le ha sempre permesso tutto e lasciato fare quello che voleva.
Cos’era successo, dunque, al mio matrimonio che credevo granitico e procedeva quietamente attraverso scogli e tempeste? Purtroppo, vuoi per la noia, vuoi per la monotonia quotidiana, si era semplicemente arenato sulla secca di tanti anni di calma piatta.
Tutto era iniziato durante una cena con i miei ex compagni di scuola che avevo ritrovato attraverso facebook, e assieme avevamo deciso di fare una rimpatriata e rivederci in occasione dell’anniversario della maturità. Di comune accordo avevamo deciso di non portare con noi mogli o compagne. Quella serata sarebbe stata tutta nostra, dedicata ai nostri ricordi, alle ragazzate fatte tra noi e per parlare degli innamoramenti di quel periodo.
Quella cena, però, fu estremamente insidiosa, perché fece affiorare alla mente ricordi e fatti che fecero rimpiangere i bei tempi andati.
Ero arrivato al ristorante in anticipo e così ho potuto assistere all’arrivo di Stefano, che a differenza mia aveva perso tutti i capelli; Massimo, che aveva messo su non so quanti chili di troppo; Francesca, che all’epoca del liceo era la più carina e corteggiata della classe, e che intanto si era trasformata in una signora di mezz’età, senza più fascino; Nicolò, quello che sembrava avviato verso una brillante carriera di avvocato, e invece si era accontentato di un posto da oscuro impiegato.
Poi c’era Mauro, che era stato il mio compagno di banco, nonché l’amico fidato nelle nostre scorribande e che ora, dopo tanti anni, ritenevo un uomo appagato, sposato con figli, invece no, mi stupì quando si dichiarò insoddisfatto.
In tutti questi anni non siamo rimasti amici, come avevamo sperato, e non ci siamo nemmeno mai frequentati. Ma forse veri amici non lo eravamo mai stati. E nemmeno adesso, si era rivelato un buon amico, perché si lasciò andare a certi discorsi…
Eravamo in quella fase della serata in cui, esauriti i convenevoli e le facili battute, ognuno faceva un po’ quello che gli pareva. Chi si alzava, chi prendeva sotto braccio l’amico che aveva accanto e si allontanava, e c’era anche chi ancora cercava di fare la corte a Francesca. Mauro ed io eravamo seduti vicino, e all’improvviso esordì:
«Ti sei mai chiesto, Anselmo, se veramente la vita è tutta qui, se veramente non c’è niente di meglio da ambire, da pretendere che un buon lavoro e una famiglia con i suoi noiosi tran tran?»
E tutto questo me lo disse con aria tra il rassegnato e il frustato.
«Tutti noi, qui, mi sembra, abbiamo avuto tanto dalla vita, molto di più di quello che ci potevamo aspettare quando andavamo a scuola, molto di più di tanti altri. Di che ti lamenti?»
Gli chiesi, abituato a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
«E allora perché adesso sono seduto qui accanto a te, a parlare di queste cose e tra un’ora sarò di nuovo a casa, con mia moglie, invece che stare su una spiaggia assolata in compagnia di una bella e giovane ragazza?»
Alla sua risposta un po’ banale e indecifrabile, gli risposi sorridendo, cercando di sdrammatizzare, ma pensando anche che avesse esagerato con il vino:
«Ma davvero in questo momento vorresti stare in compagnia di una donna che potrebbe essere tua figlia? Non ti sembra di esagerare? Non ti sentiresti a disagio, imbarazzato?»
«Il fatto di avere a fianco una ragazza giovane, servirebbe proprio a farmi sentire meno vecchio». Rispose.
«Perché è così che ti senti adesso? Ti senti già vecchio, per caso?»
«Non mi sento già vecchio, sono vecchio. E se ci pensi anche tu lo sei come me, perché hai la mia stessa età. Sai che quando abbiamo conseguito la maturità, l’insegnante d’educazione fisica aveva l’età che abbiamo adesso noi? Ma ci pensi?»
«Parli del professor Boschetti? Il matusa?» Gli chiesi, ricordando che gli avevamo affibbiato quel soprannome perché aveva la passione per il culturismo e che a cinquant’anni suonati si atteggiava ancora a super man, ma che noi ragazzi lo vedevamo semplicemente come un vecchio, incapace di saper invecchiare serenamente.
«Tutto è già stato fatto e niente d’interessante ci rimane da fare. A meno che, non si voglia fare come Sergio, che l’anno scorso si è messo con una che ha vent’anni. Non lo sapevi?»
E dicendo così, indicò uno dei nostri compagni, il solo che sembrava aver subito un’evoluzione inversa, rispetto a noi. Si presentava meglio adesso di quando era ragazzo. Allora era il classico sgobbone che pensava solo a studiare e aveva una personalità insignificante, mentre adesso era un uomo di polso, aveva fatto molti soldi e a cinquant’anni suonati ne dimostrava trenta.
«Tutto merito della sua compagna, che ha la metà dei suoi anni». Concluse Mauro.
Quando sono tornato a casa, mi sentivo più vecchio di cent’anni e mia moglie, senza volerlo, mise il dito nella piaga.
«Allora, com’è andata la rimpatriata. Com’è stato rivedere i tuoi vecchi compagni di scuola? Loro sono invecchiati bene, o si sono ridotti come te?» Ha scherzato.
Non le risposi ed ero andato a dormire, ma quella notte avevo faticato a prendere sonno, e decisi di incominciare a frequentare una palestra. Ed era stato proprio lì che avevo incontrato per la prima volta Stefania.
Stefania l’avevo notata subito: gambe affusolate, fisico statuario, occhi penetranti, sorriso accattivante. Mauro aveva ragione, dovevo riconoscere che davanti a una bella donna, non si pensa più all’età, ma solo alla ragazza che hai davanti.
Cominciammo a parlare, le dissi di me, che ero uno sportivo, che avevo una barca a vela, mentre lei non faceva nulla per dimostrarsi diversa da quello che era: la classica e annoiata figlia di papà.
Era iniziata così, tra me e lei. E il mio matrimonio stava per finire, e questo accadde mentre mia figlia annunciava la data delle nozze.
«Santo cielo. Potrebbe essere mia sorella». Era sbottata mia figlia, quando le dissi della mia intenzione di separarmi dalla madre per andare a convivere con Stefania. Sapevo che non sarebbe stato facile farle accettare la nuova situazione, ma non mi sarei mai aspettato una reazione così violenta.
Nei due anni successivi successe un po’ di tutto. Mia figlia si era sposata ed io mi ero definitivamente separato da mia moglie, e naturalmente non era stata una separazione indolore. Già che mi fossi messo con una donna così giovane, per Ada era stato un affronto difficile da mandare giù.
Intanto Stefania si rifiutava di crescere, di assumersi le responsabilità di una donna adulta e continuava a comportarsi come una bambina viziata e capricciosa. Pretendeva di uscire tutte le sere, mentre io avevo bisogno di riposare, di dormire, per essere in forma l’indomani sul lavoro. E poi c’erano i suoi amici che io detestavo. Una schiera di ragazzi che affollavano casa e ascoltavano musica assordante; che facevano discorsi da adolescenti imbecilli e che non riuscivano a fare un passo senza il loro aifon. Ma se qualche volta mi lamentavo con Stefania, lei rispondeva:
«Che barba… quanto sei noioso, è la musica che piace a noi giovani. Tra noi parliamo così. Tu non puoi capire».
Dopo qualche tempo cominciai a capire invece di aver fatto un grosso sbaglio e che solo Ada era stata la donna della mia vita. Ma la mia ex moglie aveva iniziato a frequentare un altro, un medico che noioso e pedante lo era veramente, e non solo per l’età, ma anche per il suo carattere.
Dopo qualche mese dal matrimonio, mia figlia Barbara ci annunciò che aspettava un bambino. Sarei diventato nonno, e allora mi chiesi sotto quale veste mi avrebbe visto Stefania. Forse ancora più vecchio di quello che ero?
Mi ero messo con Stefania per sentirmi più giovane, per allontanare da me la vecchiaia, ma francamente nessuno più di lei mi faceva sentire vecchio: superato nei discorsi, datato nel vestire e incapace di capire, tanto che piano piano mi stavo allontanando da lei. Eravamo troppo diversi, e i nostri caratteri si rivelarono del tutto incompatibili. Mentre, quando stavo con Ada, mi sentivo semplicemente me stesso, al passo con il nostro tempo, a mio agio con lei e con i panni che indossavo, che non erano certo i jeans stracciati e sfilacciati che indossava Stefania.
Dopo l’ennesimo litigio, mi resi conto che stavo rincorrendo una chimera, una seconda giovinezza impossibile da raggiungere, e allora decisi di farla finita. Volevo tornare da Ada, da mia moglie. Ma non sapevo se sarei riuscito a riconquistarla, anche se qualche segnale c’era stato. Lo avevo percepito quando capitava di incontrarci o a casa di nostra figlia, o quando ci sentivamo al telefono. Poi arrivò il grande giorno e ci incontrammo in clinica per la nascita della nostra nipotina.
«Lucio ed io ci siamo lasciati» Volle farmi sapere.
«Come mai?» Le chiesi, ma curioso di saperne di più.
«Diciamo che non eravamo fatti l’uno per l’altra».
«Anch’io ho lasciato Stefania».
Era accaduto qualche settimana prima, dopo l’ultimo burrascoso litigio, ma non lo avevo ancora detto a nessuno.
«Cosa? Come mai? Dicevi di stare così bene con lei».
«Non andavamo d’accordo su nulla. Stefania è solo una ragazzina, una figlia di papà, viziata, e crede di poter ottenere tutto con il denaro, che tra l’altro non le basta mai».
«Non capisco. Sembravi così entusiasta, dicevi di sentirti ringiovanito». Aggiunse, ma io colsi in quelle parole una vena sarcastica e compassionevole.
«Se vuoi te lo posso spiegare, se hai ancora la voglia e la pazienza di starmi a sentire, e magari di trascorrere qualche ora in mia compagnia».
«Accetto. Sì, perché penso che tu debba darmi tante spiegazioni».
Questo lo sapevo ed era evidente. Avevo scuse da fare, danni da rimediare, rapporto da ricucire, situazioni difficili da spiegare, ma la cosa importante era che Ada avesse accettato di ascoltarmi.
Per tutto il resto ci sarebbe stato tempo. L’importante era poter iniziare a ricucire il nostro rapporto, che in definitiva non si era mai interrotto del tutto.
 



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