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IN FUGA DALLA PAURA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

16
MAR
2018

Quella sera Diego aveva cominciato con l’insultarmi, poi perse del tutto la testa e iniziò a picchiarmi. Con una sberla mi fece saltare gli occhiali e con uno spintone finii a terra. E quando ero a terra, continuò a colpirmi con calci e pugni, tanto da lussarmi le costole e lasciarmi piena di lividi, poi, continuando a minacciare e urlare, se ne andò sbattendo la porta.
Non so per quanto tempo rimasi rannicchiata in un angolo, dolorante e soprattutto con la paura che potesse tornare per ricominciare a picchiarmi. Dopo un tempo imprecisato mi feci forza e cercai d’alzarmi, presi il cellulare e chiamai mia sorella che dalla morte di nostra madre, avvenuta quando io ero piccola, mi ha sempre fatto da mamma.
Quando le dissi quello che era successo e che avevo bisogno d’aiuto, Alba non fece domande e in meno di venti minuti era già a casa mia. Quando arrivò, mi trovò dolorante, piena di lividi e con gli occhi pesti. La guardai e dall’espressione del suo viso capii come doveva essere ridotto il mio corpo. Lei mi prese tra le braccia, mi strinse forte e disse:
«Dobbiamo andare via di qui».
«Andare… e dove?» Le chiesi confusa.
«Prima di tutto in ospedale. Devi essere medicata e farti fare i raggi al torace».
«No. In ospedale no. Se rilevano che le lesioni sono state provocate da percosse dovrò dire la verità e i medici saranno costretti a denunciare l’accaduto».
«E allora cosa intendi fare?» Tornò a chiedermi.
«Non lo so. Sto troppo male in questo momento e non riesco a pensare». Le risposi.
«Allora andiamo a casa mia, lì sarai almeno al sicuro».
«Se torna e non mi trova qui, verrà a cercarmi a casa tua». Le risposi, sempre più confusa e preoccupata.
«Intanto andiamo via. Prendi soltanto l’essenziale, le tue cose personali e per il momento vieni a casa mia, poi ci organizzeremo meglio. Tutti i giorni si sente parlare di maltrattamenti, di mariti che ammazzano le mogli e arrivano a fare del male anche ai figli. Non vorrai fare la stessa fine? Spero». Insistette Alba.
Ero terrorizzata. Avevo paura che lui tornasse e ricominciasse a picchiarmi, ma non riuscivo a persuadermi che dovevo lasciare mio marito e fuggire per sempre.
Mi aiutò a raccogliere le mie cose, le sistemò in un borsone, mise tutto nel bagagliaio della sua macchina e lasciammo in fretta quella casa in cui da troppo tempo continuavo a subire violenze verbali e di ogni altro genere. Ero stanca e mi doleva tutto il corpo, così, strada facendo, appoggiai la testa al finestrino e chiusi gli occhi. Per strada, Alba ebbe un ripensamento. Si fermò in un’area di servizio, scese dalla macchina e fece alcune telefonate. Quando tornò mi disse che il programma era cambiato. Non saremmo più andate a casa sua, ma mi avrebbe portato in una villetta sulla litoranea.
Era la casa al mare dei genitori di suo marito. Lo aveva chiamato e pregato di chiedere loro se potevano farci questo favore, almeno per qualche giorno, e loro avevano acconsentito.
Passammo dai suoceri di mia sorella, Alba spiegò loro cos’era successo e il motivo della richiesta, poi prese le chiavi e ci dirigemmo verso il mare. Per strada si fermò ancora ed entrò in una farmacia per acquistare pomate, unguenti, garze e anche un busto elastico per alleviare il dolore lancinante che avevo alla schiena e poi proseguimmo veloci verso la villetta.
«Qui tuo marito non potrà trovarti». Disse Alba, aiutandomi a scendere dalla macchina.
«Ma sicuramente verrà a casa tua a chiederti dove sono andata a finire» Le risposi.
«Non preoccuparti per questo. Per il momento tu resta qui».
«E cosa ci faccio qui da sola» Le chiesi.
«Qui starai bene e hai tutto il tempo per riflettere, per ragionarci su, e spero che questa volta tu capisca che non puoi più andare avanti così. Deciditi. Prendi una decisione, e spero che questa volta sia quella giusta: devi denunciarlo e chiedere la separazione. Non avete figli e tutto sarà più semplice, vedrai».
Mi aiutò a sistemare le mie cose, mi adagiò sul letto e mi disse che sarebbe andata a fare la spesa e che per qualche giorno non sarebbe tornata, e questo per evitare che Diego la seguisse e scoprisse dove mi nascondevo.
Mentre mia sorella era fuori per le compere, controllai il mio cellulare, credevo che Diego mi avesse chiamato o scritto per scusarsi, come faceva spesso dopo le sue sfuriate, ma non trovai nessun messaggio, nessuna chiamata, così deposi il telefonino sul comodino e cercai di riposare.
Una volta tornata con le provviste, mia sorella m’indicò i posti dove avrei trovato le cose necessarie e prima di andarsene, con il cellulare volle fotografare le mie contusioni, i miei lividi, e mi disse di togliermi anche la maglietta perché voleva fotografare anche le ecchimosi sul petto e sulla schiena, dove avevo ricevuto i pugni e i calci.
Mi disinfettò e medicò le ferite, mi spalmò della pomata sulla pelle dolorante, mi aiutò a indossare il busto e poi disse che doveva lasciarmi e che sarebbe tornata di lì a qualche giorno.
«Tieni il cellulare sempre acceso e chiamami quando vuoi. Io farò altrettanto. Andrà tutto bene, vedrai». Mi assicurò Alba, poi mi dette un bacio sulla fronte e mi strinse forte, tanto che dovetti trattenere un grido di dolore.
Rimasta sola, mentre all’orizzonte il sole stava tramontando, mi guardai attorno, controllai l’ora e il cellulare, accesi la televisione, ingoiai una compressa di analgesico e tornai a stendermi sul letto. Ero confusa, stremata, ma altrettanto certa che la mia vita fosse ormai arrivata a una svolta. Diego, lo sapevo, me lo aveva già detto, non mi avrebbe mai permesso di lasciarlo, di divorziare da lui, ma io non potevo più tollerare la sua aggressività, i suoi scatti d’ira e la sua violenza.
Per tutta la notte dormii male, ma al mattino mi sembrava di stare un tantino meglio e il dolore non era più lancinante come il giorno prima, e lo dissi anche a mia sorella. Ma quando cercai di alzarmi per prepararmi la prima colazione, ero ancora frastornata, indolenzita e con un forte mal di testa. Fatta colazione, lavai le stoviglie, tolsi dal borsone i miei indumenti e li riposi nell’armadio, presi un libro che trovai su una mensola e andai a sedermi in veranda.
Trascorsi quel primo giorno così, dolorante, piena di paure e ansie, ma ancora incapace di prendere una qualsiasi decisone, e mi accorsi che non riuscivo nemmeno più a piangere.
Nel pomeriggio tornai a coricarmi e mi assopii, ma subito venni svegliata dal rumore della porta d’ingresso che qualcuno stava aprendo. Sentii dei passi che si stavano avvicinando e balzai in piedi. Gridai di paura e mi addossai alla parete. Non riuscivo a vedere il volto dell’uomo che stava venendo verso di me, ma ebbi la forza di urlare:
«Chi sei? Che vuoi?»
«Potrei chiederti la stessa cosa». Mi sentii rispondere, in tono calmo e pacato.
«Cosa vuoi? Vattene». Tornai a gridare, sconvolta dalla paura.
«Questa e la villetta dei miei nonni, e io ho sempre avuto le chiavi».
«I tuoi nonni? E tu…tu chi sei?» Chiesi con un filo di voce.
«Lorenzo». Rispose. Ma quel nome non mi diceva niente, e lui lo capì.
«Sono Lorenzo e vivo a Roma. Sono arrivato oggi e sono venuto subito qui. Pensavo di trovarci i nonni e volevo fare loro una sorpresa, ma vedo che sei stata tu a sorprendere me».
Con il suo modo di fare riuscì a calmarmi e mi spiegò che era il figlio del fratello del marito di mia sorella. Non me lo ricordavo. Lui e i suoi genitori risiedevano a Roma da anni e mi era capitato d’incontrarlo raramente, e quando era ancora un ragazzo.
Vedendomi così confusa e per tranquillizzarmi, prese il cellulare e chiamò mia sorella Alba. Si scambiarono un breve saluto e poi le disse che si trovava nella villetta dei suoi nonni e che ci aveva trovato una sconosciuta. Rise, poi mise il vivavoce e così tutto si chiarì in pochi minuti.
Mia sorella gli spiegò che aveva chiesto le chiavi ai suoceri e che per il resto poteva chiedere a me, se voleva sapere di più su cosa fosse successo.
«Come mai hai il numero di mia sorella?» Chiesi, quando ripose il cellulare.
«Ci scambiamo gli auguri; la chiamo per sapere dei nonni. I miei vivono a Roma con me».
Lorenzo si avvicinò, e guardandolo negli occhi mi sentii rassicurata. Era un bel ragazzone alto, gioviale, educato e di buone maniere.
«Be’, come ha detto tua sorella, te la senti di dirmi cosa ci fai qui?» Chiese.
«Mio marito…» Mormorai, ma rispondendo abbassai gli occhi per la vergogna.
«È stato lui a ridurti così?» Chiese, vedendo le mie ecchimosi, ed io annuii con un cenno del capo.
«Per questo sei venuta qui? Per nasconderti?»
«Mi ha portato qui mia sorella. Casa mia è diventata pericolosa e da mia sorella sarebbe stato il primo posto dove sarebbe venuto a cercarmi, e sarei stata costretta a tornare con lui». Lorenzo mi guardò incupito, mi disse che era un medico e che poteva aiutarmi.
«Grazie, ma non ne ho bisogno». Ribattei, quasi seccata di dover tornare a parlare delle mie lesioni e contusioni.
«Quanto tempo ti fermi?» Chiese, forse per cambiare discorso.
«Non lo so, non ho fatto progetti. Ci devo ancora pensare, devo parlare con mia sorella e poi dovrò prendere una decisione, ma non è semplice. Mio marito è un violento, beve e in casa tiene anche una pistola. E tutto questo mi fa paura. Voglio allontanarmi per sempre da lui, e questa è l’unica cosa della quale sia certa, ma ho tanta paura di lui e delle conseguenze».
«Ogni anno vengo qui, all’inizio della primavera. Mi piace andare a pescare, ma adesso non so nemmeno se sia il caso che resti qui. Comunque cercherò di darti meno fastidio possibile».
Preparai la cena e intanto continuammo a parlare. Avendo un uomo vicino, anche se quasi un estraneo, mi faceva sentire più sicura, più tranquilla e protetta, e così lo pregai di fermarsi.
«Ti va di raccontarmi quello che è successo?» Tornò a chiedermi mentre cenavamo.
«Non mi sento di parlarne. È tutto così triste e ingiustificabile». Risposi.
«Mi dispiace. Non volevo sconvolgerti». Si scusò.
Finimmo di cenare in silenzio e poi andammo a sederci in veranda.
«Non ne ho mai parlato con nessuno». Mormorai senza guardarlo, e poi continuai:
«Eravamo compagni di liceo. Era un ragazzo carino, sempre allegro e a me piaceva. Ci siamo sposati forse troppo presto, solo un anno dopo il diploma, e subito ci siamo scontrati con tutti i nostri limiti e abbiamo anche scoperto che il mondo se ne infischiava di noi. Continuare a studiare era fuori discussione e così ci dovemmo trovare un lavoro. Eravamo poco meno che poveri, ma ci volevamo bene e per un po’ di tempo mi ero illusa che bastasse l’amore per risolvere tutti i nostri problemi. Ma non è stato così. I primi tempi lavoravo anch’io, ma poi sono stata licenziata. Diego cominciò a bere. Provocò anche un incidente con la macchina che ci aveva prestato mio padre e litigarono. Quando persi il lavoro poi, le cose precipitarono. Più beveva e meno soldi avevamo, e se gli dicevo qualcosa rispondeva che la colpa era mia perché non sapevo amministrarli. Ogni occasione era buona per litigare, per prendersela con me. Un giorno, quando sono rincasata con un paio di scarpe nuove, mi ha preso a schiaffi, mi ha urlato che non dovevo buttare i soldi dalla finestra e a nulla valsero le mie giustificazioni, che le avevo acquistate al mercatino rionale. È cominciato tutto così, ma credevo che la situazione sarebbe migliorata, invece è solo peggiorata. Ecco, vedi, questo è il risultato di quello che mi ha fatto ieri». E gli indicai i lividi che avevo sul viso e sulle braccia.
Finito di parlare, cercai il mio bicchiere di tè che avevo lasciato sul tavolo, ma al suo posto trovai la sua mano. Istintivamente gliela strinsi forte e restammo così, per qualche minuto in silenzio, poi Lorenzo si alzò.
«Sono stanco e adesso vorrei andare a letto». Mi disse, con un tono di voce incolore.
Gli augurai la buona notte e lui, chinandosi, mi sfiorò le labbra con un bacio.
«No, ti prego. Sono sposata». Gli dissi, allontanandolo.
«Mi dispiace, ma sei così bella che non sono riuscito a trattenermi». Rispose.
Gli sorrisi e, andata nella mia stanza, sentii Lorenzo che si stava sistemando nella camera accanto alla mia. Non chiusi la porta a chiave, stranamente mi sentivo tranquilla, sicura che non poteva succedermi nulla di peggio di quello che mi era già successo.
Stavo per prendere sonno, quando sentii Lorenzo bussare alla mia porta.
«Avanti». Gli dissi, mettendomi a sedere sul letto e coprendomi con le lenzuola.
Aveva il cellulare in mano e disse che suo zio, il marito di mia sorella mi voleva parlare, che non era riuscito a mettersi in contatto con me e aveva chiamato lui. Io preoccupata presi dalle sue mani il telefonino e dissi pronto.
Mio cognato mi chiamava dall’ospedale, dove Alba era stata ricoverata. Mio marito era andato a casa loro per farsi dire dove mi ero nascosta, ma non ottenendo risposta l’aveva malmenata sino a spezzarle un braccio e fratturarle il setto nasale.
Lorenzo mi accompagno in ospedale e quando arrivammo, trovammo mia sorella con un braccio ingessato, piena di ecchimosi e cerotti sul naso.
«Cos’è successo?» Chiesi a mio cognato, e lui rispose che mio marito era andato a casa loro e l’aveva picchiata perché non gli aveva voluto rivelargli dove mi trovassi. Aveva subito un intervento chirurgico per tamponare un’emorragia e adesso stava riposando.
«Tuo marito, quando ha capito che Alba non gli avrebbe mai detto dove ti trovavi, ha cominciato a picchiarla e avrebbe potuto farle ancora più male se lei non fosse riuscita a scappare e a chiedere aiuto. Quando sono arrivato, l’ambulanza era già sotto casa e il medico ha detto che doveva essere ricoverata».
«E lui dov’è, adesso?» Chiesi.
«È stato fermato dai carabinieri per tentato omicidio e lesioni gravissime», e dopo un momento di silenzio, come in uno sfogo, aggiunse:
«Se tu finalmente ti decidessi a fare quel passo che io e tua sorella ti consigliamo di fare da un pezzo, queste cose non sarebbero successe».
Gli stavo per rispondere che aveva ragione, ma sentimmo mia sorella gemere e allora ci avvicinammo al letto. Alba aprì gli occhi e rispose al mio saluto con un sorriso soffocato, ma capì che ero decisa a fare quel passo che da tempo lei mi suggeriva di fare.
Usciti dall’ospedale, e non volendo più interporre tempo in mezzo, pregai Lorenzo di accompagnarmi dai carabinieri e sporsi denuncia contro mio marito.
Trascorsa una settimana, Lorenzo doveva tornare a casa e m’invitò a trascorrere qualche giorno con lui, a Roma. Ne parlai a mia sorella, che intanto era stata dimessa, e lei ne fu felice.
Ora sono quattro anni che vivo con Lorenzo, e sono anche quattro anni che non vedo e non sento parlare del mio ex marito.
Ora mi trovo qui a Roma, a casa nostra, con Lorenzo, dove abbiamo convissuto per tre anni e poi ci siamo sposati. Abbiamo avuto due splendidi gemelli che sono la nostra gioia e di Diego, dopo aver seguito il processo e la sua condanna, non ne ho voluto più sapere niente.



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