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IO E LUI, IL RESTO NON CONTA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

24
MAG
2018

Quarantasei anni. Un matrimonio fallito alle spalle, alcune relazioni sbagliate o senza troppa importanza, un lavoro, una bella casa e alcuni amici fidati su cui contare. Tutto qui.
«E ti sembra poco?» Mi chiese mia madre, quando un giorno, sentendo il bisogno di sfogarmi, mi lasciai andare.
Non è poco, certo che non è poco, ma mi mancava quello che desideravo di più: una persona vicina, un uomo che mi amasse. Sposarmi con Massimo è stato il mio errore più grande, lo so, ma quando mi chiese di sposarlo mi sembrava di toccare il cielo con un dito. Invece avrei dovuto capirlo subito che non poteva funzionare, che quella fretta di entrambi non avrebbe portato a niente di buono. Mia madre non faceva che ripetermelo, ma come potevo ragionare, come potevamo ragionare, ci amavamo alla follia e volevamo amarci per tutta la vita. Ne ero innamorata pazza, come poteva mia madre chiedermi di ragionare, di aspettare per conoscerlo meglio?
Ho fatto quello che faccio ogni volta che cercano di mettermi i bastoni tra le ruote, ho chiuso gli occhi e sono andata avanti senza ascoltare nessuno. Ma i problemi sono iniziati in modo talmente rapido e subdolo che non sono riuscita nemmeno ad accorgermene.
Ora sì, ora mi tornano alla mente le sue mezze frasi, gli sguardi, i commenti buttati là come per caso, e quanto facevano male. Sono passati gli anni e ora finalmente riesco a essere obiettiva, a giudicarlo e a giudicarmi. La storia è sempre la stessa, malvagia e crudele anche nella sua banalità.
Avevo un buon lavoro, migliore del suo, in azienda ero apprezzata, avevo ottenuto una promozione e occupavo una posizione di prestigio e credevo che anche lui ne dovesse essere felice.
Ma non è stato così, Massimo non era dello stesso parere, si lamentava per i miei orari che mi tenevano fuori di casa tutto il giorno e per gli impegni che mi obbligavano a viaggiare spesso.
Cominciarono le discussioni, gli screzi, ma io chiudevo gli occhi e cercavo di farlo ragionare. Ma una sera, a casa di amici, qualcuno ebbe l’infelice idea di farmi i complimenti per quella maledetta promozione e Massimo perse letteralmente la testa.
Ricordo il silenzio improvviso intorno a noi, lui che masticava amaro, gli altri che cercavano di fingere indifferenza ed io che se mi avessero dato uno schiaffo in pieno viso avrei sentito sicuramente meno dolore. A casa abbiamo litigato, o meglio lui ha continuato a litigare, a urlare, io non ne avevo la forza. Sposarlo era stato l’errore più grande della mia vita, ma non l’unico. Pensavo a come mi aveva ingannato, a come mi ero ingannata, perché credevo che il suo fosse vero amore.
Abbiamo anche tentato di ricucire il nostro rapporto, di salvarlo, io di sicuro, ma lui ha continuato a rinfacciarmi il lavoro che facevo e a scaricare su di me l’astio e la rabbia per quella promozione che avevo ricevuto e che lui non riusciva a sopportare. Mi trattava come se lo avessi tradito. Ma forse lo avevo tradito davvero, perché non ero più la donna che lui voleva.
Ma anch’io mi ero illusa di avere accanto l’uomo della mia vita, quello che mi avrebbe amato per sempre, e invece ho scoperto che nei miei confronti provava solo disprezzo, rabbia e un rancore incomprensibile.
Ne sono uscita con le ossa rotte, perché ci credevo davvero, mi ero illusa e ancora adesso, che è passato tanto tempo, sento ancora una punta di dolore che mi trafigge l’anima quando penso che il mio matrimonio non mi ha lasciato niente, nemmeno un ricordo decente. Solo litigi, scenate, silenzi, scontri e offese gratuite.
Dopo la separazione lui aveva cominciato a chiamarmi e io non sapevo dire di no, non riuscivo a dirgli di lasciarmi in pace. Dopo Massimo, non c’è stato più nessuno e la solitudine mi pesava e certe sere pensavo che lui fosse comunque meglio di niente. Era inverno, fuori e dentro di me. Avevo sempre freddo, nel cuore e nell’anima, non so come spiegarlo. Un freddo glaciale che accompagnava le mie notti interminabili, le mie giornate e soprattutto tutto ciò che facevo. Mi sentivo sola, troppo sola, ecco cos’era, e lui mi faceva compagnia.
«Ma cosa stai facendo Nora, vi siete separati e continui a frequentarlo?»
«Sì mamma, adesso mi fa pena. Dice di essere cambiato e forse un certo riavvicinamento farebbe bene anche a me che non sopporto la solitudine. Restare da sola mi pesa».
«Ma quale pena? Quale cambiato. Pensa piuttosto a quello che ti ha fatto passare…»
Aveva brontolato mia madre, una volta che le avevo accennato che ero tornata a vedere Massimo. Figuriamoci se non lo sapevo che era impossibile che fosse cambiato, ma come ho detto, la solitudine è una brutta cosa e non la sopporto.
Ma quando meno te lo aspetti, succede qualcosa: nascono gli amori e si fanno le follie. E così, come un uragano, nella mia vita è entrato Pierangelo. Un ciclone che ha mandato all’aria tutte le mie certezze, dubbi e convinzioni.
«Domenica andiamo tutti al ristorante per festeggiare la laurea di mio figlio? Guarda che ci tengo, sei la mia migliore amica e non puoi mancare». Mi disse Giuliana, l’unica vera amica che ho.
«Ma si è già laureato? Mi sembra ieri che portava ancora i calzoncini corti».
«Tu è da un po’ che non lo vedi, ma vedessi come si è fatto… è diventato un ragazzone e adesso si è anche laureato e io sono la mamma più felice e orgogliosa del mondo».
Avevo accettato subito l’invito di Giuliana, perché con lei e suo marito mi sono sempre trovata bene e, a differenza di altri, non mi hanno mai messo sotto la lente di ingrandimento o subissata di consigli non richiesti.
Quel giorno, mentre guidavo verso il ristorante dove si teneva la festa, cercavo di ricordarmi qualcosa di quel ragazzo che avevo visto forse una decina di volte in tutto, e questo quando era ancora un liceale alto e timido, tutto preso dallo studio e che se riusciva a dire tre parole di fila era un miracolo.
Pioveva e per non bagnarmi tutta, arrivai trafelata davanti al locale.
Mi aspettavo di essere accolta dal marito di Giuliana, un omino con la pancetta, occhiali spessi sulla punta del naso e invece mi trovai davanti Pierangelo, un giovanotto moro, alto e bellissimo, che mi parlava come se mi conoscesse da sempre.
«Buon giorno Nora, sei venuta anche tu? Che piacere vederti. Vieni a salutare mamma e papà che non vedevano l’ora che tu arrivassi». Mi lasciai trascinare tra gli ospiti senza riuscire ad aprire bocca. Era sempre lui, certo, Pierangelo, ma il tempo aveva trasformato quel ragazzo timido, magro e allampanato in un uomo davvero affascinante. Stranamente mi sentivo quasi in soggezione, a disagio.
Mi sentivo una cretina. Ero una donna adulta, separata, non un’adolescente che arrossisce davanti al primo ragazzo carino che incontrava e poi, quanti anni poteva avere? Ventisei, ventisette? Che potevo temere? Su, smettila, mi ripetevo.
«Ciao Nora, hai visto come si è fatto Pierangelo?» Mi chiese Giuliana, salutandomi.
Certo che lo avevo visto, lo avevo guardato anche troppo, ma mi limitai ad annuire e a sorriderle.
Di quel pranzo, di quella festa ricordo poco, solo gli occhi di Pierangelo, la sua risata, il suo sorriso e il modo in cui mi guardava. Quello sguardo aveva qualcosa di sensuale. Mi guardava con certi occhi che mi facevano rimescolare il sangue, e l’emozione che provai quando le nostre mani si sfiorarono per caso mi è rimasta impressa nella mente. Mi ricordo tutto di Pierangelo e anche dell’ansia che mi prese quando si offrì di accompagnarmi alla macchina.
Non abbiamo parlato mentre camminavamo stretti sotto l’ombrello, le parole non servivano, mi teneva una mano sulla spalla ed io mi appoggiai a lui, e quella vicinanza mi turbò.
Qualche giorno dopo mi telefonò per chiedermi se potevamo vederci, magari per pochi minuti in ufficio. Si era fatto dare il mio numero dalla madre e io gli risposi di si e gli detti appuntamento per l’ora di pranzo. Mi parlò delle sue aspettative. Mi chiese qualche consiglio su come fare per potersi inserire in fretta nel mondo del lavoro, ma prima di salutarmi, ecco la sorpresa:
«Che ne dici se ci vedessimo ancora? Non qui, naturalmente, intendo dopo il lavoro. Magari per un aperitivo, per andare a farci una pizza assieme. Avrei ancora tante cose da dirti e chiederti, ma come vedo sei molto impegnata e il tempo è volato». Lui parlava ed era ritto davanti a me, ma io non mi decidevo ad alzarmi.
Ricordo che gli risposi di sì, e ricordo anche il bacio che mi dette sulla guancia prima di salutarmi, più intrigante di uno dato sulle labbra e, tornando in ufficio, stranamente mi sentivo felice. Felice ma anche piena di dubbi e paure, e mi chiedevo cosa mi stava succedendo.
Iniziammo a vederci così, ma sempre più spesso, soprattutto nei weekend. Veniva a casa mia e a volte restava con me sino al lunedì mattina. Quante volte mi sono chiesta cosa stavo facendo, quante volte mi sono detta che Pierangelo era poco più di un ragazzo ed io potevo essere sua madre. Tutti bei ragionamenti, che però svanivano automaticamente quando lo rivedevo, quando mi sussurrava ti amo. Ti amo. Nessuno me lo ha mai detto come lui. C’era tutta la sua passione e la mia gioia in quei ti amo.
Se cercavo di farlo ragionare, se gli dicevo che esserci messi insieme era stata una follia, che sua madre era la mia più cara amica e che non potevamo continuare, Pierangelo sorrideva e per zittirmi accostava le sue labbra alle mie. Con le mani, la sua voce e il suo sguardo che sempre, sempre, mi toglieva il fiato, ricacciava indietro tutti i miei buoni propositi. Restava solo lui, lui ed io, solo noi, tutto il resto non contava più. La sua bocca si attaccava alla mia. Chiudevo gli occhi e pensavo: “Oddio mi sta baciando”, poi gli riaprivo e lui era lì, a tre centimetri da me. Provavo a staccarlo di dosso, a dirgli di smetterla, ma era una piovra, aveva le labbra morbide. Incredibilmente morbide, e io non capivo più niente. Sì, una cosa l’avevo capita: mi ero lasciata andare, ma come potevo rimediare? Come potevo rinunciare a lui?
Non cambierei niente di quei giorni meravigliosi con lui, solo che avrei preferito dirlo io a Giuliana, prima che lo scoprisse da sola. Non è stato bello trovarcela dietro la porta di casa mia mentre suo figlio stava uscendo. Disse che era venuta a trovarmi, ma penso che forse aveva capito tutto. Già da un pezzo aveva intuito che tra me e suo figlio era nato qualcosa di troppo intimo, qualcosa di sconveniente. Ma noi non potevamo più nascondere che la nostra era molto di più di una semplice amicizia.
Da quel giorno con Giuliana non ci parliamo più e mi dispiace. Ed è stato per questo che a Pierangelo ho detto che era meglio smetterla di vederci, ma lui non ha voluto sentire ragione, non ha voluto ascoltarmi.
«Non tirare fuori la storia dell’età, Nora. Il problema non è questo. Tu mi devi solo dire se noi due stiamo bene o meno, insieme. Se anche tu provi per me quello che provo io per te.
Che ne poteva sapere lui di cosa provavo io, cosa poteva capire? Siamo andati avanti ancora un po’, continuando a vederci come due amanti clandestini, ma alla fine sono scappata.
Sono scappata per non lasciarmi andare davanti a lui, per non farmi vedere piangere. E per non tornare indietro, per non dirgli che lo amavo così tanto che per lui avrei buttato via tutto il resto. Mi sono inventata un viaggio di lavoro e sono partita, ma è mancato un niente che non tornassi sui miei passi, che gli dicessi che mi mancava, che lo volevo, che lo amavo e al diavolo tutto il resto.
Ma non l’ho fatto.
Massimo continuava a telefonarmi e io cominciai ad esserne quasi contenta, anche se capivo che stavo per compiere un altro sbaglio. Ma pensai che forse tornare a uscire con lui poteva aiutarmi a ritrovare un minimo di stabilità: in quel momento tutto era meglio che restare da sola e continuare ogni minuto a pensare a Pierangelo.
Un sabato, Massimo mi invitò a uscire con lui, mi chiese se potevamo andare a cena insieme, per parlare un po’, aggiunse. E io, stupida, la trovai una buona idea. Mentre mi preparavo mi imposi di non pensare ad altro se non al vestito che dovevo indossare e scacciai l’immagine di Pierangelo.
Non so cosa mi aspettassi da Massimo, magari solo che il tempo lo avesse fatto crescere, cambiare. Invece eravamo ancora agli antipasti e già avevo capito che davanti a me avevo la stessa persona di sempre, quella che in passato mi aveva ferito, offesa e fatto soffrire. Il solito bambinone mai cresciuto, insicuro e lamentoso, ma io non ero più disposta ad accettare di avere accanto un uomo che non mi stimasse, o che mi amasse a modo suo. E ancora oggi mi chiedo perché quella sera abbia accettato il suo invito. Ma forse è stata proprio quella cena a dissipare le mie incertezze e a creare i presupposti futuri.
La serata prese subito la solita piega. Incomprensioni e ripicche tornarono al centro dei suoi argomenti, i discorsi erano sempre gli stessi ed io non vedevo l’ora che tutto finisse per tornare a casa, stendermi al buio, pensare a Pierangelo e tornare a condividere la mia solitudine di sempre.
Massimo non la smetteva, nemmeno in presenza del cameriere zittiva. Insisteva che la colpa della nostra separazione era solo mia, che ero stata io a mandare all’aria il nostro matrimonio e lui in rovina. Parlava solo di se e a un certo punto non ce la feci più. Ho sbattuto il tovagliolo sul tavolo, mi sono alzata e sono uscita.
Si era fatto tardi, non sapevo come tornare a casa e allora presi il cellulare e chiamai un taxi, ma dietro di me sentii la voce di Pierangelo:
«Posso accompagnarti io, se vuoi?»
«Cosa ci fai tu qui?» Gli chiesi stupita. Ma non era importante, perché ne ero felice.
«Ero venuto a casa tua per parlarti. Volevo vederti, ma poi non me la sono sentita e sono restato seduto in macchina. Cercavo il coraggio di salire da te, poi sei scesa e ti ho visto salire in macchina e allora vi ho seguiti».
«Ero con il mio ex marito. Siamo venuti qui per chiarire alcune cose». Gli risposi. E dicendo così mi girai per indicargli il ristorante. Non mi lasciò il tempo di parlare, mi strinse tra le braccia e mi baciò, e in quel momento si decise tutto. In quel momento decisi di mandare al diavolo i pregiudizi altrui, di non pensare alla differenza d’età, di infischiarmene delle critiche e mi lasciai stringere da Pierangelo.
Non so cosa abbia potuto pensare Massimo, quando vide Pierangelo avvicinarsi, baciarmi e poi andare via insieme.
«Sarà un altro dei miei sbagli, sarà un salto nel buoi, non lo so, ma non mi importa se alla fine mi ritroverò di nuovo sola. Ora voglio stare solo con te e farò in modo che duri il più possibile». Gli dissi, tra le lenzuola di casa mia.
«Non sarai più sola Nora, perché io ti amo e non posso fare a meno di te. Siamo io e te, tu ed io e ti prometto che non resterai mai più sola».
Io mi strinsi a lui, all’uomo che mi ama, a colui che mi ha promesso che continuerà ad amarmi per sempre, all’unico uomo che sia riuscito a farmi perdere del tutto la testa.



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