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IL RACCONTO/UNA NOTTE SULLA SPIAGGIA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

27
SET
2018

Finalmente sono arrivato in aeroporto. A causa del traffico ho fatto tardi, e ora davanti a me ho una fila lunghissima, che non finisce mai. La postazione del check-in è là in fondo, ma sembra lontanissima. Mi guardo intorno. L’aeroporto a quest’ora sembra un enorme formicaio e brulica di gente che va di qua e di la, che va e viene trascinandosi dietro carrelli pieni di bagagli.
Guardo l’orologio. L’aereo parte tra mezz’ora e io devo ancora oltrepassare i metal detector di sicurezza. Faccio un rapido controllo mentale delle cose che ho buttato nel borsone prima di uscire di casa e mi accorgo di essermi dimenticato di portare con me il necessario per radermi, ma non importa, acquisterò dei rasoi usa e getta appena arrivo a destinazione. La fila davanti a me scorre lentamente, ogni tanto si inceppa, si ferma e non si muove più, ma poi ricomincia a scorrere e finalmente riesco a fare il check-in. Prendo il biglietto, stringo l’impugnatura del borsone e mi avvio verso la zona imbarco. Altra fila e altra attesa, poi finalmente mi trovo a bordo dell’aereo.
Sono dovuto partire all’improvviso, senza preavviso. L’azienda per cui lavoro mi sta mandando a Milano per sostituire il collega che stava seguendo il progetto su cui avevamo lavorato assieme, ma che per problemi personali è dovuto rientrare prima del previsto. E ora eccomi qui, con il mio borsone a tracolla, le copie del progetto in una cartella e tanta voglia di fare bene e così dimostrare che io non sono da meno degli altri.
Il posto che mi è stato assegnato si trova verso la metà dell’aereo, alla lettera E, accanto all’oblò. Meno male, proprio come speravo. Quando viaggio in aereo, mi piace affacciarmi al finestrino e guardare fuori per vedere le nuvole e il mondo che scorre sotto di me. Percorro lo stretto corridoio stando attento a non colpire con il borsone chi è già seduto e arrivo al mio posto, il 14 E, ma… Sul sedile, placidamente seduta e con la testa appoggiata all’oblò, c’è una ragazza.
La osservo qualche istante. Da una prima occhiata giudico che dovrebbe avere trent’anni, più o meno la mia stessa età, ma lei non sembra accorgersi di me. Continua a starsene con la testa appoggiata all’oblò e a guardare fuori. È carina, ma resta il fatto che quello è il mio posto e non si gira.
«Scusa». Le dico.
Lei sembra ridestarsi dal suo torpore e mi fissa confusa. Le mostro il mio biglietto e le indico il sedile su cui è seduta.
«Scusa, ma quello è il mio posto».
«Oh, scusami». Risponde, ma sembra non aver capito e allora le ripeto che lei è seduta nel posto assegnato a me.
Finalmente si è decisa, fa cenno di volersi alzare ma poi si ferma con le ginocchia piegate e mi guarda, come se ci stesse ripensando.
«Ti dispiace se resto seduta qui?» mi domanda.
«Se proprio ci tieni…» Le rispondo. Ma dentro di me sono abbastanza contrariato.
«Sì, grazie. Durante il volo preferisco tenere la testa incollata al finestrino. Ho paura di volare e guardare fuori mi distrae. Capisci?»
Anche a me piace guardare fuori durante il volo e quel posto è stato assegnato a me, ma cosa posso risponderle? Mi sforzo di apparire cortese e le sfodero un sorriso mieloso.
«Anche a me piace guardare fuori, ma se le cose stanno così, se hai paura di volare e guardare fuori ti aiuta a non pensare, resta pure seduta dove sei». Le rispondo, e intanto prendo il borsone e lo sistemo nel bagagliaio sopra le nostre teste, poi mi infilo tra i sedili e mi vado a sedere accanto a lei e mi allaccio la cintura.
Cominciamo a muoverci e l’aereo va a posizionarsi sulla pista per il decollo. La ragazza cerca la mia mano e me la stringe forte.
«Scusa, ma questo è il momento che odio di più e ho bisogno di sentire il contatto di qualcuno, una mano che mi faccia sentire protetta». Io la guardo e avvolgo la sua mano tra le mie.
«Tranquilla. Ma sappi che quando volo divento il peggior pessimo esempio che tu possa avere». Rispondo e le sorrido.
I motori sibilano, un leggero scossone, una breve rincorsa ed eccoci in volo. Dopo qualche minuto la ragazza sembra rilassarsi, fruga nella sua borsa, ne estrae un libro e si mette a leggere.
Non guarda più fuori dall’oblò, non mi degna di uno sguardo, non dice una parola e continua a leggere. Dovrei fare altrettanto, ignorarla, ma non ci riesco. Con la scusa di sbirciare oltre l’oblò, continuo a girarmi verso di lei e la guardo.
«Cosa leggi?» Le chiedo. Lei alza la testa, mi guarda e sorride, mette un dito tra le pagine per non perdere il segno e chiude il libro.
«Niente d’impegnativo: Il maestro e Margherita, di Bulgakov». E me lo mostra. E io mi chiedo come possa una ragazza della sua età leggere un libro simile.
«Lo conosci?» Insiste.
Le rispondo di sì, ma aggiungo che non sono riuscito a leggerlo fino in fondo perché l’ho trovato noioso, a tratti incomprensibile, non mi è piaciuto e le chiedo se a lei sta piacendo.
«Ancora non lo so. L’ho acquistato qui in aeroporto, prima della partenza. Ho letto solo due pagine». Risponde.
«Io mi chiamo Carlo. Piacere». Le dico, e le allungo la mano.
«Io Daria. Il piacere è tutto mio». E mi porge la mano che io torno a stringere titubante.
Toglie il dito che teneva tra le pagine, rimette il libro nella borsa e mi chiede:
«Ti fermi a Milano o prosegui?»
«Mi fermo a Milano. Ci sto andando per lavoro». Rispondo.
«Io invece faccio solo scalo, poi proseguo per Monaco di Baviera e di lì, in treno, raggiungo Salisburgo».
«Ti sta aspettando il tuo ragazzo a Salisburgo?»
«Nooo. Una mia amica. Lavora lì e mi ha invitata a trascorrere qualche giorno con lei. Non ci sono mai stata, e così ho preso qualche giorno di ferie per andarla a trovare e visitare la città».
Mi risponde e torna a guardare oltre l’oblò.
Faccio lo sprovveduto e le chiedo cosa ci sia di bello da vedere a Salisburgo.
«Questo ancora non lo so. Ma ci sono molti musei e la mia amica ha detto che sebbene sia una città un po’ austera, è anche molto bella. Non molto lontana da Vienna, così, se riusciamo, mi porterà a visitare anche quest’altra città».
La guardo e scruto per un istante i suoi occhi verdi, chiari e profondi. È proprio una bella ragazza. Lei continua a parlarmi di Salisburgo, mi dice che la città è attraversata dal fiume Salzach, che sul monte Festungsberg, raggiungibile in funicolare, sorge una fortezza medioevale e che da lì si può ammirare tutta la città, un panorama stupendo. Mi parla del centro storico, della casa natale di Mozart e della cattedrale. E mi spiega che tutte queste notizie le ha apprese documentandosi su internet. Io continuo a guardarla e devo confessare che è veramente piacevole starla a sentire.
Mentre chiacchieriamo, l’aereo comincia la fase di atterraggio, lei cerca di nuovo la mia mano e dopo un po’ sentiamo le ruote del carrello che toccano la pista. Ce la prendiamo comoda e lasciamo defluire gli altri passeggeri, poi ci alziamo anche noi e ci avviamo verso l’uscita. Ora siamo qui, nel terminal, ed è giunto il momento di salutarci. La guardo e non riesco a staccarle gli occhi di dosso, dal suo viso.
Ho l’impressione che sia un angelo venuto sulla terra per farmi compagnia durante il volo. Lei mi raccomanda di non annoiarmi troppo durante le riunioni di lavoro ed io di rimando le auguro buon proseguimento del viaggio e di trovare un’altra mano amica da stringere durante il decollo, nonché di trascorrere una felice vacanza con la sua amica a Salisburgo.
Non capisco perché la stia facendo tanto lunga. Alla fine che me ne importa di questa ragazza e di dove stia andando? Di questa ragazza che ha occupato il mio posto, che legge Bulgakov e che sta andando a Salisburgo a trovare una sua amica?
Siamo ancora fermi, uno di fronte all’altra. Faccio per salutarla, ma poi ci ripenso e le chiedo:
«Ti trovo su facebook?» E subito dopo mi sento uno stupido. Come un adolescente alla prima esperienza. Lei però non sembra minimamente accorgersi del mio imbarazzo e risponde:
«Certo che mi trovi».
«Ti chiami Daria, giusto? E come fai di cognome?». Chiedo, e lei me lo dice. Ma intanto non capisco perché riesca a mettermi così in agitazione.
Armeggio velocemente col mio smartphone, le chiedo l’amicizia e lei accetta. Adesso entrambi sorridiamo. Finalmente mi sto rilassando. Da ora in poi a tenerci uniti c’è questo filo sottile, invisibile che ci unisce, e non so perché sono felice.
«Se vuoi potremmo scambiarci anche il numero dei nostri cellulari». Mi dice.
«Non osavo chiedertelo, ma sono prontissimo a farlo». Le rispondo.
Il volo diretto a Monaco di Baviera parte tra due ore, cosi decido di restare con lei e farle compagni sino alla partenza.
È ormai ora di pranzo e la invito a mangiare qualcosa in una tavola calde dell’aeroporto. Lei fa cenno di sì e tirandosi dietro il suo trolley mi segue. Troviamo un self-service e ci andiamo a sedere in un posticino tranquillo e appartato. Appartato per modo di dire, perché qui è un continuo via vai di passeggeri e di gente in attesa del proprio volo o dell’arrivo di qualcuno.
Sembra preoccupata, come se si stesse facendo tardi. Scruta continuamente l’orologio e il display del suo cellulare e allora le chiedo se ha premura, se deve sbrigare qualche commissione prima di imbarcarsi.
«No no. Quale commissione dovrei sbrigare qui a Milano, e in aeroporto poi?»
«Così, chiedevo. Dai l’impressione di stare sulle spine». Le rispondo, ma lei mi dice che è solo una mia impressione, che è tranquillissima, non ha nulla da fare se non aspettare il suo volo, e che forse è proprio questa attesa e la paura di volare che la rende nervosa e impaziente.
«Tu sei pugliese, vero?» Le chiedo, anche per stemperare il momento d’impasse che si è venuto a creare tra noi.
«Sì, certo che lo sono, come te del resto, vero?»
«Sì, anch’io sono pugliese e devo dire che sebbene sia solo un’ora che mi trovo qui a Milano, già mi manca il mare. Figurati tu che vai a finire tra le montagne austriache, come ti mancherà».
«Mi mancherà, certo che mi mancherà, ma ci resto solo una settimana a Salisburgo, e per una settimana credo di poter resistere. Quando ritorno avrò tutto il tempo per godermi il mio mare».
«Allora, quando ritorni, potremmo sentirci per trascorrere una giornata assieme. Che ne dici? Per disintossicarci, io dalla nebbia di Milano e tu dalle montagne che sovrastano Salisburgo».
Le butto lì al volo.
«Non sarebbe male, ma devo pensarci. Prima lasciami andare a trovare la mia amica e al ritorno ne riparleremo. Dammi il tuo numero». Glielo do e lei fa squillare il mio cellulare per farmi memorizzare il suo.
Guarda il suo orologio e mi dice che è ora, che si è fatto tardi e deve avviarsi.
Il tempo è volato, e mentre l’accompagno continuiamo a parlare. Ma ora siamo arrivati davanti all’area riservata ai passeggeri che si devono imbarcare e ci fermiamo. L’accompagno sino al posto di controllo, ma qui siamo costretti a separarci e la saluto.
«Allora ci conto. Aspetto che tu torni per poi passare una bella giornata insieme in Puglia, al mare». Le dico, stringendole la mano e sfiorando le sue guance con le mie.
«Sì. E allora perché non trascorrere anche una bella notte sulla spiaggia?»
Mi chiede ironicamente, e sorride.
«Non sarebbe male, sai. Una notte sulla spiaggia, solo noi due davanti al mare, con la luna e le stelle sopra di noi. Potrebbe diventare una notte infinita, fantastica».
«Ho detto così per dire, ma ci posso sempre ripensare». Alza il braccio, sventola una mano e sparisce dietro la pesante porta scorrevole.
Sono di nuovo solo, mi sento a disagio, vorrei attendere la partenza del suo volo, ma a cosa servirebbe? Mi avvio verso l’uscita e sono alla ricerca di un taxi, quando sento arrivare un whatsApp sul mio cellulare.
“C’ho pensato e credo che sia una buona idea quella di trascorrere insieme una giornata al mare. Per la notte non ho ancora deciso, ma potremmo parlarne assieme quando torno”.
Cerco di chiamarla, ma il suo cellulare risulta irraggiungibile. Evidentemente dopo avermi mandato il messaggio lo ha spento, e allora le invio un sms che troverà al suo arrivo a Salisburgo:
“Carissima Daria, due ore fa non ti conoscevo nemmeno e adesso, che non sei ancora partita, sento già la tua mancanza e non vedo l’ora di rivederti. Buon viaggio. Appena atterri, fatti sentire per favore e dimmi com’è andato il volo”.

 



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