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IL RACCONTO/SUOCERA INVADENTE

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

30
OTT
2018

Sono sotto il temporale e sto girando senza meta da più di un’ora, la visibilità è scarsa e mi fermo sul ciglio della strada per aspettare che il tempo migliori. Sto piangendo da quando sono uscita sbattendo la porta e ho anche un forte mal di testa. Abbasso il finestrino per prendere una boccata d’aria, la pioggia mi percuote il viso e le lacrime si fondono con essa.
Io sono affettuosa, accomodante e lo amo, ma purtroppo non riesco a fargli capire quanto mi pesi questa situazione. Stringo il volante, appoggio la testa sulle mani e continuo a singhiozzare.
Sono stanca dell’invadenza di mia suocera e non la sopporto più. E mi chiedo perché dobbiamo continuare a vivere in quell’appartamento, in quel palazzo, sullo stesso pianerottolo dove vive anche sua madre. E tanto ha insistito e tanto ha fatto che alla fine è riuscita a convincere il figlio a far abbattere la parete divisoria per creare un passaggio, una porta sempre aperta, tra il suo appartamento e il nostro.
«Ma cosa stai dicendo? Dammi solo un valido motivo, uno solo per cui dovremmo cambiare casa e andare in affitto, quando questa è casa nostra ed è grande e comoda?» mi risponde sempre Ivano, quando gli propongo di cambiare casa, di andare ad abitare anche in un piccolo appartamento in periferia, ma lontano da sua madre.
Purtroppo non riesce a capire il mio disagio, la mia sofferenza, il mio stato d’animo. Anche se sa benissimo perché glielo chiedo e di chi sia la colpa. Ma da bravo ragazzo, da figlio educato e rispettoso dei suoi voleri, minimizza il problema e dà per scontato che la madre debba intromettersi in ogni nostra discussione e decisione, che sia presente in casa nostra dal mattino a tarda sera, quando finalmente torna nel suo appartamento. Stando sempre bene attenta, però, che la porta venga solo accostata, mai chiuso né tantomeno a chiave. E la cosa che irrita di più è vederla la mattina entrare in camera da letto e portare il caffè, che solo lei sa fare, al figlio.
«Ti accorgi come mi tratta, come mi critica? Come continua a scuotere la testa per ogni cosa che dico o faccio? Per lei non né combino mai una buona ed è sempre pronta a rinfacciarmi qualsiasi cosa: come cucino, come mi vesto, come mi trucco, per le amiche che frequento. Non gliene va mai bene una». Quante volte ho cercato di farglielo capire?
Ma lui non sembra preoccuparsi, ascolta distrattamente, quasi con fastidio e ripete che la madre è anziana, che ha allevato quattro figli da sola, che da quando è morto il padre non è più la stessa, ma che comunque ha un sacco d’esperienza e s’intromette solo perché ci vuole bene e per darci buoni consigli.
«Sei la solita esagerata. Lo sai, ha il suo carattere. Ma non è cattiva e per noi è importante, una fortuna averla in casa. Lavoriamo entrambi e lei si occupa di tutto: della casa, della spesa, ci fa trovare il piatto pronto. Dagli tempo e vedrai che tutto si sistemerà».
Mi risponde stizzito Ivano, ogni volta che ne parliamo e subito cambia discorso.
Alzo la testa e tiro su col naso. Mi guardo nello specchietto retrovisore e mi vedo distrutta, spettinata, il trucco sfatto, gli occhi rossi e gonfi. Apro il cassettino del cruscotto, prendo dei fazzolettini e cerco di asciugarmi le lacrime, di togliermi il mascara che sta colando sulle guance.
Se mia suocera mi vedesse in questo momento, mi lancerebbe uno dei suoi sguardi fulminanti, disgustati e pieni di odio.
«Dalle tempo…» mi ripete sempre mio marito. Ma sono trascorsi quattro anni. Per quanto ancora dovrò sopportare le angherie di sua madre?
Il viso sempre accigliato, i modi sgarbati, le sue parole ostili, ormai non la sopporto più. Sono arrivata al limite, e non credo di riuscire a sopportare oltre la sua presenza in casa mia.
«Se tua suocera si comporta così, la colpa è di Ivano, perché è succube di una madre autoritaria, impicciona e invadente. Ma il peggio è che per nessuna ragione al mondo riuscirebbe a contradirla. E discutere con lui è tempo perso. È tua suocera che devi affrontare, prendere di petto. Devi farle capire che non sei più disposta a sopportare la sua invadenza. Zittiscila, gentilmente ma zittiscila, anche in presenza del figlio. Fatti sentire. Oppure vai via per qualche giorno, vieni a stare un po’ da me o vai a trascorrere una settimana in un centro estetico, visto che ne parli sempre, e poi vediamo cosa succede», mi ripete mia sorella, quando vado a rifugiarmi a casa sua o la chiamo al telefono.
«È tuo marito che deve cambiare atteggiamento, capire di non essere più un bambino che ha bisogno della mamma. Ora sei tu la sua famiglia e deve lasciar perdere la madre, deve dirle di farsi un attimo da parte, di fare un passo indietro e lasciarvi vivere la vostra vita, con tutti gli sbagli che potreste fare» mi ripetono le mie amiche, quando mi sfogo con loro.
E io, cosa dovrei fare? Mandare a monte il matrimonio perché ho avuto la sfortuna di ritrovarmi in casa una suocera invadente? Centinaia di volte ho cercato di far ragionare mio marito, di dirgli che sono stanca, che non sopporto più la presenza ossessiva della madre, né tantomeno le sue occhiatacce. Le sue continue critiche. Ma lui fa sempre orecchio da mercante. Si chiude in un mutismo ostinato e non risponde. E se quando siamo soli o a letto, provo a intavolare il discorso, va su tutte le furie e non parla per una settimana e oltre.
Rispondo così a chi insiste a volermi dare consigli sull’argomento. Non capiscono che non è di questo che ho bisogno, ma di essere compresa, ascoltata, capita.
E sarà una mia impressione, ma quando capita qualche discussione tra me e lui, mia suocera diventa ancora più odiosa e insopportabile. Qualche volta ho provato a seguire i consigli di mia sorella. Mi sono armata di coraggio e con pazienza una volta l’ho affrontata, e ho avuto anche la forza di esprimerle il mio risentimento, il mio malessere, ho cercato di farle capire che continuando di questo passo, comportandosi in questo modo, metteva in crisi non solo il rapporto tra suocera e nuora, ma anche l’unione tra suo figlio e me.
Quando ho finito di parlarle, si è alzata in piedi, ha preso la sua tazzina di caffè, è andata alla finestra, ha guardato fuori, poi si è voltata e ha sbottato:
«Hai finito? Ti sei sfogata abbastanza o ti è rimasto ancora qualcosa da vomitarmi addosso? E poi, cosa pensi di aver ottenuto con questa sfuriata? Niente. Posso parlare io adesso? Posso dirti come stanno veramente le cose e perché non ti sopporto?» chiese, e tornò a sedersi di fronte a me con un ghigno che le storceva le labbra.
«Il tuo modo di fare non mi piace e non mi è mai piaciuto, lo sai. E questo perché sei… sei troppo diversa da come ti volevo, e visto che siamo in argomento ti dico che avrei preferito che mio figlio sposasse un’altra, perché lui avrebbe meritato molto di più. E se mi chiedo perché abbia scelto proprio te, non so darmi una risposta, né mi capacito. Sì, sei giovane, anche un po’ carina, ma nulla di più. E già che ci siamo voglio dirti che non ti sopporto perché non sei riuscita nemmeno a dargli un figlio, a renderlo padre».
Le sue parole mi risuonano ancora nella testa e mi chiedo come abbia potuto dirmi certe cose. Ma come ha osato? Ma come si è permessa. Ma che ne sa lei di cosa ho passato io, di come mi senta io, a cosa mi sia sottoposta pur di tentare di avere un figlio? Quella donna è la cattiveria personificata, uno stillicidio, una spina nel fianco che ogni giorno mi fa stare sempre più male.
I ricordi e la rabbia continuano a invadere i miei pensieri e ricomincio a piangere.
«Tesoro, mamma ci aspetta, sbrigati, se no faremo tardi e lo sai che ci tiene a essere puntuale. Non sei ancora pronta? Ma cos’hai? Perché stai così?»
E non capisce che se sto male è proprio per colpa della madre. Tutto quello che indosso per lei non va mai bene, e nemmeno l’abito che avevo scelto quella sera le piaceva. Non andava bene, non era adatto alla serata e lo dovevo cambiare.
«Avrai capito male. Come il solito esageri sempre o fraintendi quello che dice. Lei vuole solo darti dei consigli. E poi hai l’armadio pieno di abiti eleganti, puoi anche cambiarlo».
Insisteva mio marito, e tutto sembrava un tacito accordo tra lui e la madre. Ed io, trattenendo la rabbia ma non le lacrime, come una cretina sono andata a cambiarmi.
Sbatto ripetutamente le mani sul volante, anche se è il mio viso che vorrei prendere a schiaffi, e mi ripeto che sono una scema, perché avrei dovuto reagire subito, contraddirla, ribattere ogni sua accusa sin dal primo giorno, invece sono rimasta sempre zitta.
Sento riaffiorare le lacrime agli occhi e avverto un senso di vertigine, di nausea. Abbasso il finestrino e respiro profondamente, mentre una rabbia incontenibile mi sta devastando. Ma come ha potuto? Coma ha potuto dirmi tutte quelle cattiverie e rinfacciarmi la mancata maternità? Ma cosa ne sa lei. E perché Ivano, quando ne hanno parlato, perché sono sicura che ne hanno parlato, non le ha detto come stavano realmente le cose? Perché non ha avuto il coraggio di dirle la verità?
Accendo il telefonino e trovo i messaggi di mio marito: chiede dove sono, cosa sto facendo, cosa sta succedendo e domanda quando torno a casa.
Non ha capito niente e non cambierà mai.
Chiamo mia sorella e le dico che sto andando da lei, poi cambio idea e torno a casa, e questa volta con la ferma intenzione di farmi sentire. Voglio dirgli che non sopporto più la madre, che ho bisogno di serenità, di tranquillità, che deve risolvere da solo il problema e che intanto io andrò per una settimana in un centro benessere. D’altronde è da tempo che ci volevo andare, e questa è la volta buona. Decida. Deve scegliere tra me e la madre e al ritorno farmi sapere con chi ha intenzione di continuare a stare.
Sono stata un fiume in piena. Gli ho detto quello che si meritava e questa volta, stranamente, la madre non è intervenuta, non ha aperto bocca e ora, dopo aver superato le perplessità di mio marito, più le occhiatacce ostili di mia suocera, eccomi qui, in questa SPA in Montenegro.
Ho prenotato tutto il programma completo: maschera d’argilla, fanghi, doccia emozionale, massaggi circolatori e drenanti, impacchi depurativi alle alghe, idromassaggi al sale e piano alimentare personalizzato con dieta dimagrante e sequenza nutrizionale.
Ed è stato andando a fare il primo massaggio che ho conosciuto Gabriele, il massaggiatore. Ero imbarazzatissima, avrei preferito una donna, perché dovermi togliere l’accappatoio davanti a uno sconosciuto e rimanere nuda sul lettino, o con un semplice lenzuolino addosso, non è da me. Ma in fondo che importa, l’importante è che sia bravo, e mi sono spogliata.
Mi ha cosparso la pelle di olio profumato e ha cominciato a strofinarmi la schiena e le cosce. Fa scorrere le mani sul mio corpo. Mentre massaggia, parla, fa delle domande. Mi chiede di dove sono, se è la prima volta che vengo in questo centro benessere. Improvvisamente cambia discorso e mi chiede di mettermi supina. Io mi vergogno e rimango ancora bocconi, poi mi faccio forza e mi giro.
Il suo sguardo, anche se non lo vuol dare a vedere, va subito lì, poi mi cosparge d’olio profumato e continua a massaggiarmi; le sue mani si attardano oltre misura su certe parti del mio corpo e, anche se non sono un’esperta, sono sicura che si stia prendendo qualche libertà di troppo.
Terminato il massaggio, vado a farmi la doccia, ma prima di andare via torno a salutarlo e lui sorride. Per tutto il resto della mattinata passo da un reparto all’altro e adesso sono qui, assieme ad altri commensali, in attesa di essere servita dal solerte cameriere che mi sta elencando il ricco menù, ed ecco che me lo ritrovo alle spalle.
«Guarda che hai sbagliato settore, questo è il ristorante. Tu hai chiesto il trattamento completo, compreso il dimagrimento e dovresti spostarti nell’altra sala, dove servono solo piatti dietetici». Mi dice sottovoce Gabriele. E mi chiedo perché mi stia dando del tu.
Io alzo gli occhi e lo guardo perplessa, ma proprio non ce la faccio a lasciare tutto questo ben di Dio nel piatto, e gli dico.
«Ti prometto che da domani farò la brava, ma per oggi lasciami tranquilla qui. Ho voglia di trasgredire un po’».
«Fossero tutte queste le trasgressioni…» Risponde sorridendo, e si allontana. In effetti, è un bel ragazzo, ha qualche anno meno di me, ma non molti, forse ventotto o trenta, non di più.
Aspettando l’ora di cena sto passeggiando nel parco e lo vedo. È in compagnia di due suoi colleghi ma, quando si accorge di me, dice loro qualcosa e si avvicina.
«A meno che tu non abbia voglia di trasgredire ancora, ricordati che per la cena devi girare a destra, reparto dietetico, e non a sinistra. Se vuoi ti accompagno». E mi sorride.
Gli rispondo con un altro sorriso e torniamo indietro. Non mi piace il silenzio e forse lui non sa cosa dire e allora gli chiedo da quanto fa questo lavoro, lui risponde e poi chiede di me: se sono single, se sono sposata. Parliamo un po’.
Il mattino seguente, quando sono sul lettino e comincia a massaggiare, non mi dispiace sentire le sue mani che si attardano su certe parti del mio corpo, e intanto mi vengono strane fantasie. E penso che fare l’amore con lui sarebbe solo un’altra piccola trasgressione e che non mi dispiacerebbe lasciarmi andare. Lo guardo e lui sorride.
Finito il massaggio, come il giorno precedente, vado a farmi la doccia e poi, prima di andare via, torno a salutarlo.
«Se oggi hai voglia di trasgredire ancora, non scendere per pranzo, aspettami nella tua stanza, penserò io a portarti qualcosa». Lo guardo stupita, scuoto la testa ed esco. Non era quello che volevo, non era così che doveva succedere.
Che senso ha farlo con uno sconosciuto che ha la delicatezza di un elefante? E poi, perché continua a darmi del tu?
Sono sposata e ho un marito che forse… e mi sta aspettando, ma intanto, quando penso a lui mi torna in mente anche la madre, e allora mi dico che la trasgressione non è altro che la voglia che uno si vorrebbe togliere senza farlo sapere a nessuno. E mi viene in mente quel vecchio adagio che recita: “Occhio non vede, cuore non duole”.
Salgo in camera mia, corro a farmi la doccia, lascio scivolare un po’ di profumo nella fessura dei seni e decido di non scendere per il pranzo. Aspetterò Gabriele. Sono curiosa di scoprire se mi dovrò accontentare di un pasto dietetico, se mi proporrà qualcosa di meglio e se sarà il caso di lasciarmi andare.

 



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