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IL RACCONTO/LA MIA VITA DISASTROSA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

15
NOV
2018

Mio figlio si sta mettendo a letto e si lascia rimboccare le coperte ma quando gli faccio una carezza, lo chiamo amore e gli auguro la buona notte, risponde stizzito:
«Non sono amore. Mi chiamo Giorgio». Ma io non faccio più caso a questo suo modo di rispondere, ormai sono abituata.
«Vuoi che ti legga qualcosa?» Gli chiedo.
Lui mi guarda con i suoi occhioni neri e…
«Mamma, voglio dormire. Ho sonno». Lo so, troppe parole gli danno fastidio, poi, da quando è successo, si è chiuso in se stesso.
È ormai cresciuto ed è un bel ragazzino, ma il carattere si sta modificando: è diventato sempre più chiuso e taciturno. Da quando è scoppiata la bomba e mio marito è diventato il mio ex, Giorgio l’ha presa male e adesso ce l’ha sia con me sia con suo padre. Poi, in aggiunta, è successo anche dell’altro.
Avevo conosciuto il padre in un momento disastroso della mia vita. In quel momento in cui sentivo il bisogno di innamorarmi. Innamorarmi più dell’amore stesso che di un uomo e così, quando l’ho incontrato mi sono aggrappata a lui.
Ciò non toglie, però, che fosse veramente affascinante. Di due anni più giovane di me, aveva uno sguardo magnetico e accattivante. Sempre allegro, elegante e abbronzato, quando cominciò a farmi la corte, m’innamorai subito di lui e da quel giorno diventammo inseparabili.
«Certo, è un bell’uomo, sei stata fortunata, ma stai attenta». Mi ripeteva una mia amica ma, notando nelle sue parole una punta d’invidia, non feci caso. Invece lo diceva a ragion veduta, perché sapeva cose a me sconosciute e nemmeno immaginabili.
A dirla tutta, io non mi sarei nemmeno voluta sposare, non lo ritenevo necessario. Però ero così innamorata di quel bel ragazzo… e lui desiderava che ci sposassimo. Ci siamo sposati in primavera e subito dopo è nato Giorgio, ma di lì a qualche anno tutto è cambiato. Avevo scoperto, per caso sul suo telefonino, degli sms inequivocabili e che non lasciavano spazio a nessun dubbio.
Aveva una relazione con un'altra donna e il mondo mi cadde addosso. Ero rimasta lì, con il cellulare in mano a leggere e rileggere quei messaggi a cui non volevo credere. Ma alla fine ne dovetti prendere atto e le conseguenze furono disastrose.
Non avevo chiuso occhio tutta la notte e il mattino, mentre stavamo sorseggiando il caffè, gli ho messo davanti il cellulare e ho chiesto spiegazioni.
Abbiamo litigato, mi ha gridato che era tutta colpa mia, che non lo avevo mai capito, che con me non era mai stato felice e che, era certo, se avesse continuato a vivere con me non lo sarebbe mai stato.
«Non ti accorgi che stiamo solo recitando la nostra parte per Giorgio, per i parenti, per il vicinato, ma che la realtà è ben altra? La verità e che tra noi non c’è più niente. Non ti accorgi che non siamo più due coniugi che vivono insieme, ma solo due estranei che condividono gli stessi ambienti?»
E aggiunse che gli dispiaceva se avessi sofferto per colpa sua, ma che non poteva farci niente, perché amava un’altra. Dopo quella litigata e il burrascoso chiarimento, due coniugi non lo eravamo più davvero. Abbiamo resistito ancora due mesi, ma alla fine è uscito per sempre dalla mia vita e da questa casa.
Poi sono arrivati gli anni difficili, Giorgio cresceva, andava ancora alle elementari ma il suo carattere si stava modificando. Era diventato silenzioso, introverso, scontroso e se cercavo di parlare con lui, rispondeva a monosillabi, non rispondeva affatto e si limitava a un’alzata di spalle.
Finite le vacanze, per Giorgio era arrivato il primo giorno delle medie e quella notte non ho chiuso occhio. Avevo paura di non sentire la sveglia, di fargli fare tardi proprio il primo giorno di scuola e mi sono alzata quando fuori era ancora buio.
Ero nervosa, inspiegabilmente nervosa. Giorgio invece sembrava tranquillo, disse che aveva già frequentato la scuola e pertanto era abituato. Era solo seccato perché insistevo a volerlo accompagnare.
Quando andavo io alle medie, abitando in un paesino, non mi ha mai accompagnato nessuno e solo qualche volta l’ha fatto mia madre, ma solo perché doveva parlare con i professori o giustificare una mia assenza. E ricordo ancora quel mio primo giorno alle medie, quando mia madre mi dette i libri nuovi e mi raccomandò di mangiare la merendina che aveva messo nello zainetto.
Ma qui è tutta un’altra cosa, siamo in città e non mi fido: toppo traffico, troppi pericoli e, anche se il tragitto è breve, preferisco accompagnarlo io, almeno per i primi giorni.
Quando siamo arrivati, il cortile era già gremito di genitori e nonni che stavano accompagnando i ragazzi. Si erano formati dei capannelli, le persone si salutavano, sorridevano, parlavano amabilmente tra loro ed io, quasi smarrita, con lo sguardo cercavo un’amica, un viso conosciuto, e stavo per accompagnare Giorgio in classe, quando mi sono sentita chiamare.
«Ciao Anna. Anche tu qui? Da oggi si ricomincia. Bisogna portarli a scuola, correre in ufficio e poi tornare a riprenderli». Era Umberto, un amico che non vedevo dai tempi dell’università e che stava accompagnando anche lui il figlio.
«Ciao Umberto. Scusami ma non vedo più Giorgio». Ho risposto, e in fretta ho raggiunto mio figlio nel corridoio, dove si era fermato a parlare con i suoi compagni.
Anche se un tempo siamo stati amici, frequentavamo gli stessi circoli e avevamo le stesse idee più o meno rivoluzionarie, con gli anni ci siamo persi di vista. Non vedevo Umberto dai tempi delle lotte di classe, da quando pensavamo di cambiare il mondo con la rivoluzione studentesca, dai tempi dei cortei, delle bandiere rosse e delle magliette inneggianti a Che Guevara e a Mandela.
In quei giorni di fine ottobre le giornate erano ancora magnifiche o forse, dopo essermi fermata a prendere un caffè con Umberto, ero io che le vedevo così. Ho trentasette anni, vivo con mio figlio e ogni mattina mi alzo con la sola preoccupazione che Giorgio si svegli senza nessun malanno e vada tranquillamente a scuola (con il suo cellulare in tasca e il tablet nello zainetto perché, dice, di non poterne proprio fare a meno).
Dopo i quotidiani incontri davanti a scuola e i caffè presi al bar, con Umberto abbiamo iniziato a vederci anche di sera a casa mia. Suo figlio veniva a studiare con Giorgio e lui passava a riprenderlo nel tardo pomeriggio e spesso si fermavano a cena da noi.
A Umberto piaceva giocare con i ragazzi. Raccontare loro delle storie. Spesso li stupiva prendendo una matita e, trattenendola sul medio, la spezzava con l’indice e l’anulare, poi invitava i ragazzi a fare altrettanto.
Naturalmente tutto questo Umberto lo faceva per accattivarsi la simpatia di Giorgio e soprattutto la mia, ma dava l’impressione, non so perché, che fosse davvero una brava persona. Odorava di buono e sembrava buono davvero, tanto che, quando gli capitava di ascoltare qualcuno che gli raccontava una storia appena appena lacrimevole e che stesse vagamente in piedi, lui si commuoveva e immancabilmente lo aiutava.
Era separato come me. Raccontò che una sera la moglie ricevette una telefonata e andò a chiudersi in bagno con il telefonino. Quando ne uscì, prima andò nella cameretta del figlio per accertarsi che stesse dormendo, poi prese la valigia e, passandogli accanto, lo salutò dicendogli che se ne stava andando perché si era innamorata di un altro e aspettava un figlio da lui.
Umberto faceva di tutto per divertirmi, per compiacermi e, quando si fermava da noi, bastava che mi facesse bere un po’ di vino in più per diventare anch’io disinvolta e chiacchierona.
Ma non avrei mai immaginato di riuscire a sfidare il destino, i miei demoni, i miei errori e la solitudine che mi stava assediando da anni.
Infatti, fino a quel momento avevo preso solo batoste, sia dal mio primo fidanzato sia da mio marito. Ma devo dire che già da ragazzina, quando andavo alle feste, c’era sempre quella più bella di me, quella più corteggiata, quella più spigliata, quella più spiritosa, più brava e più disinvolta, tanto che a me non restava altro da fare che sedermi sul divano e confondermi con la tappezzeria.
Dopo aver trascorso anni difficili, anni di rimpianti e solitudine, Umberto ed io ci stavamo provando e una sera, a casa mia, mentre i ragazzi erano in gita scolastica, abbiamo cominciato a parlare e a guardarci in modo diverso.
La pioggia contro i vetri, la luce saltata a causa del temporale, noi due da soli e al buio, quella sera abbiamo fatto per la prima volta l’amore. E fu allora che iniziai a pensare che sarebbe stato bello poter unire le nostre due famiglie spezzate per crearne una sola e unita.
Credevo che il mio destino, contorto e avaro fino a quel momento, finalmente si fosse deciso a restituirmi un po’ di quella serenità che mi aveva sempre negato.
Quando mi vedeva preoccupata, Umberto mi diceva che non dovevo tormentarmi. Ripeteva che ero stata splendida a vent’anni, affascinante a trenta e che sarei rimasta irresistibile per tutta la vita. Che parole fantastiche mi sapeva dire.
Lo so, con le sue parole voleva colpirmi, dimostrarmi quanto fosse stata ingiusta e avara la vita con noi, e io, mentre lo ascoltavo, mi convincevo di essere la sola donna che potesse amare, che oltre me non ci fosse nessuna donna capace di esaudire i suoi desideri, i suoi sogni.
La mattina, mentre i ragazzi erano a scuola, spesso Umberto veniva a casa mia e, dopo aver fatto l’amore, parlavamo di noi, del nostro futuro, ridevamo, ci abbracciavamo, cercavamo continuamente quel contatto fisico che ci era stato negato per troppo tempo.
Mi diceva che ero una donna splendida, bellissima e queste parole mi facevano sentire straordinariamente bene e mi convincevo che con lui sarei stata felice.
«Tu sei una splendida rosa tra le spine della mia vita». Mi ripeteva, e sembravamo due adolescenti, sempre alla ricerca uno dell’altra e pronti a riscoprire insieme emozioni e sensazioni ormai scivolate nell’oblio.
Ma intanto c’era sempre quel sotterraneo senso di provvisorietà che mi eccitava e mi uccideva nello stesso tempo. E questo fino a quando, un giorno, sollecitato da me, Umberto mi disse che ancora non se la sentiva di legarsi definitivamente a me. Parlò del carattere del figlio, disse che temeva la sua reazione e soprattutto quella della madre, perché avrebbe potuto convincerlo a tornare da lei e, ciliegina sulla torta, aggiunse che non era ancora del tutto sicuro di voler affrontare un passo così importante.
Tergiversò, rimandò, ma naturalmente erano tutte scuse e alla fine ho scoperto che la verità era ben altra: aveva semplicemente un’altra. Era innamorato di un’altra donna ed io ero stata solo lo svago di una serata piovosa e di quelle sue mattinate vuote e noiose.
Ma quello che mi fece più male, quello che mi fece soffrire di più, fu capire che se avessimo proseguito a vederci ancora, naturalmente senza che io ne sapessi niente, lui avrebbe tranquillamente continuato a tenere il piede in due scarpe.
L’aver scoperto il suo travestimento, la sua menzogna, per me fu devastante. L’aver capito che non sarei mai diventare la sua compagna, mi fece crollare il mondo addosso.
A Umberto piaceva fare il poeta, gli piaceva essere il predatore romantico, ma in definitiva con me voleva solo divertirsi.
Dopo un’ultima e umiliante discussione lo cacciai e lui non si fece più vedere, o meglio, andò tranquillamente a rifugiarsi tra le braccia della sua compagna ed io, anche se insisteva per continuare a vederci, non lo feci più entrare in casa.
«Ti prego, ti prego, ti prego». Lo aveva ripetuto tre volte, come se fosse stato veramente e profondamente dispiaciuto per quello che era successo, ma io, stanca dei suoi inganni, non ne volli più sapere e tutto si disintegrò.
Ogni volta che mi trovavo a pensare a lui, rammentavo di essere stata felice tra le sue braccia, fantasticavo, sognavo, lo amavo, ma dovevo anche ammettere che mi ero lasciata andare.
Avevo stupidamente creduto che un uomo potesse provare gli stessi sentimenti di una donna, le mie stesse emozioni, invece, come tutti gli uomini, Umberto si è dimostrato insensibile e bastardo.
E ora? Ora eccomi qui, di nuovo da sola a rimuginare sul mio passato, sul mio matrimonio fallito, a pensare a tutti gli errori commessi, a quel giorno maledetto che ci siamo ritrovati davanti a scuola e a quando ho fatto l’amore per la prima volta con lui.
Sono a letto, in questo letto troppo grande per una donna sola, e ripenso a tutti i bastardi che ho incontrato nella mia vita, a tutti quelli come mio marito e Umberto, a tutti quelli che mi hanno fatto piangere e soffrire.
Ma loro non lo capiranno mai. Come potrebbero capire? Gli uomini sono troppo pieni di se, troppo presuntuosi ed egoisti per compenetrarsi nella sensibilità femminile.
Ci avevo creduto. Avevo pensato di aver trovato finalmente la persona giusta ma, a mia insaputa, Umberto mi aveva assegnato un ruolo diverso, secondario e senza pretese: quello dell’amante sottomessa e silenziosa.
Stupidamente avevo creduto di potermi fidare di lui, che sarei riuscita a rifarmi una vita e una nuova famiglia, invece…
Invece mi ritrovo qui da sola a dover affrontare la quotidianità di prima e la stessa vita di sempre, ma con un problema in più: un figlio che sta crescendo senza un padre, che sta diventando sgarbato, egoista, pieno di pretese e, peggio, io non riesco a farmi ascoltare.
Ora sta dormendo nella sua stanza, ma ho paura, perché non so se da sola riuscirò a superare questo suo periodo difficile. Questo nostro periodo difficile.



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