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IL RACCONTO/UNO STRANO MODO D´AMARE

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

12
DIC
2018

Tutto è cominciato tre anni fa. Anche se in qualche occasione mi era già capitato di incontrarla. La prima volta la vidi al centro commerciale: era in compagnia di una sua amica e per un motivo o per un altro attrasse la mia attenzione. Un’altra volta l’ho incrociata per strada ed era da sola: camminava spedita e ricordo che mi sono fermato a guardarla mentre attraversava la strada. Poi, sorprendendomi, la incontrai al matrimonio di una mia cugina. Al termine della funzione religiosa uscimmo tutti dalla chiesa e sul sacrato, tra battimani, foto, abbracci, lancio di riso e colombe svolazzanti, incrociai il suo sguardo e allora mi feci coraggio e mi presentai.
«Ciao. Io sono Claudio, il cugino della sposa. Piacere».
«Piacere… Io Alessandra, e sono una sua collega, nonché amica» rispose.
Mi ricordo ancora quel suo sguardo: un misto di altezzosità, seduzione e dolcezza. Poi si avvicinarono altri invitati, si misero a parlare con lei e la persi di vista. La rividi al ristorante, era seduta in compagnia di colleghi e amici di mia cugina ed io, forzando il protocollo, mi andai a sedere accanto a lei.
«Posso stare qui con voi? Sono solo e proprio non mi va di andare a finire al tavolo di tutta la mia lunga parentela: nonni, zii e nipoti compresi, che per altro molti non vedo da anni».
A volte per capirsi basta poco e in quella circostanza i nostri sguardi si dissero tutto quello che c’era da dire, come se ci conoscessimo da sempre. Conversammo piacevolmente per ore, ballammo, ci lasciammo fotografare insieme e più passava il tempo più in me cresceva la voglia di conoscerla meglio, di continuare a stare con lei, così, a fine serata, mentre gli sposi stavano salutando tutti e lei si stava alzando per andare via, l’accompagnai alla macchina e le chiesi se le avrebbe fatto piacere rivedermi.
«Se ti va di sentirmi e magari rivederci, mi faccio dare il tuo numero da mia cugina, così ti chiamo». Le dissi.
«Non c’è bisogno che lo chieda a tua cugina, te lo posso dare io il mio numero. Anzi, dammi il tuo così ti faccio uno squillo e lo memorizzi». Rispose, e intanto stava già armeggiando con il suo cellulare.
Lasciai trascorrere un paio di giorni prima di chiamarla, poi, tralasciando i convenevoli, le dissi subito con franchezza che mi piaceva, che in quei due giorni avevo spesso pensato a lei e che mi avrebbe fatto piacere rivederla. Lei lasciò trascorrere qualche interminabile secondo e poi rispose che era capitato anche a lei di ritrovarsi a pensare a me e che, certo, le avrebbe fatto piacere rivedermi.
La prima volta ci incontrammo di mattina e andammo a prendere un aperitivo. La seconda ci vedemmo di pomeriggio e dopo un caffè ci mettemmo in macchina e restammo nel parcheggio a parlare per ore. Volevamo conoscerci meglio e parlando dei nostri trascorsi scoprimmo che avevano incredibili analogie. E ci fece sorridere scoprire che a causa delle disavventure sentimentali cui eravamo andati incontro, adesso eravamo entrambi single e preferivamo restare così, piuttosto che avventurarci in altre storie sbagliate.
Infatti, tutti e due venivamo da esperienze sfortunate. Entrambi avevamo sofferto per essere stati coinvolti in storie che poi si erano rivelate disastrose. Tanto che quelle esperienze avevano contribuito a farci chiudere in noi stessi e a non credere più nell’esistenza dell’amore vero. Quell’amore che, quando ci si trova in quello stato di grazia, ti fa battere il cuore e toccare il paradiso con un dito.
Insomma, in quel pomeriggio, seduti in macchina, parlammo molto e ci dicemmo e chiarimmo le cose che ci stavano a cuore e alla fine scoprimmo che in fondo tutti quei discorsi non sarebbero nemmeno serviti, perché ci accorgemmo di pensarla allo stesso modo e condividevamo le stesse idee, tanto che quando ci separammo, eravamo ormai d’accordo su tutto.
Sentivamo di stare bene assieme e in quel pomeriggio stesso iniziammo a mettere le basi per intraprendere una nuova storia, questa volta insieme. Naturalmente non ce lo dicemmo esplicitamente, non ce ne fu bisogno. Entrambi eravamo single, reduci da storie finite male e con un gran desiderio di ricominciare. In più avevamo anche una gran voglia di sconfiggere la iella che sino a quel momento ci stava perseguitando.
La terza volta che ci incontrammo era un sabato e la portai in un ristorante sul mare e finimmo la serata a casa mia, a letto. E tutto successe come se quell’amplesso fosse il semplice coronamento di una relazione lunga e consolidata. E ancora non mi sto rendendo conto come questo possa essere accaduto così in fretta e con così tanta naturalezza. Come se fosse del tutto naturale finire a letto dopo esserci frequentati tre volte e dopo aver cenato una volta al ristorante. Ma alla fine ritenni che non fosse il caso di pormi tante domande e così, da quel giorno, cominciò ufficialmente la nostra storia.
Dopo quasi un anno che ci frequentavamo le chiesi di trasferirsi da me, di venire a vivere a casa mia. In fondo lei abitava da sola e il mio appartamento era grande e sarebbe andato benissimo per entrambi, ma lei, donna dallo spirito libero e indipendente, trovando la scusa che abitava a due passi dal suo posto di lavoro, preferì declinare l’invito e continuò ad abitare nel suo piccolo appartamento.
«Quando ci dobbiamo vedere, preferisco che mi venga a prendere tu e poi mi riaccompagni a casa» rispose una sera che avevo insistito forse troppo col chiederle di trasferirsi da me.
Un venerdì pomeriggio andai a prenderla sul lavoro e dopo essere passati dal centro commerciale per la solita spesa settimanale, andammo a casa mia e trascorremmo tutto il fine settimana insieme. La domenica sera, dopo averla accompagnata a casa, mi accorsi che sul sedile posteriore della macchina aveva dimenticato la sua agenda e la curiosità mi spinse a sbirciarci dentro. Ho iniziato a sfogliarla, a scorrere la sua scrittura minuta e ho scoperto cose che non mi sarei mai aspettato di leggere.
Siamo senz’altro diversi, e purtroppo non ci sforziamo molto per rendere i nostri caratteri completamente compatibili o smussare i difetti che ci rinfacciamo, ma in fondo stiamo bene così, anche se a volte mi chiedo se Alessandra sia veramente felice con me, se sia contenta della nostra storia, oppure la stia trascinando come le sue precedenti, in attesa di trovare quella giusta.
Il giorno dopo ripresi l’agenda e feci quello che la sera prima non avevo avuto il coraggio di fare: scavare a fondo nel suo intimo per saperne di più sul suo privato. Anche se mentre lo facevo mi sentivo a disagio, se non proprio un verme.
Stavo violando la sua privacy, ma andai avanti e lessi tutte le pagine, una dietro l’altra fino alla fine, e tra gli appunti di lavoro, gli appuntamenti col dentista e scarabocchi incomprensibili, trovai delle righe sottolineate in rossa e dirette a un certo Valerio. Poi trovai delle pagine fitte fitte di pensieri rivolti a un uomo di cui però non menzionava il nome. Insomma, quell’agenda era una specie di diario segreto, dove tra l’altro ho trovato scritto: Ho letto quel libro e a trentotto anni ho scoperto che la persona che pensiamo di amare non è quella che amiamo per davvero, e che l’amore non è solo fine a se stesso, ma è il mezzo con il quale cerchiamo disperatamente la felicità…
Oppure: Il sentiero della vita mi ricongiunge a te e ancora mi sorprendono i tuoi abbracci e i tuoi baci. In questo autunno splendente di tenui colori, foglie cadenti e piogge snervanti, mi sento sperduta. Ma la tua devozione e il tuo amore è così sincero e intenso che mi commuove e ho deciso di restare con te.
E qui mi sono bloccato. Che voleva dire? Per chi aveva scritto quelle righe? Per me o per chi altro?
Abbandonai l’agenda sul letto, mi alzai, accesi il computer e andai sulla sua pagina facebook e lì trovai altre poesie, altri pensieri, altri appunti. Uno in particolare mi colpì e parlava di un viaggio fatto a Firenze, forse assieme a questo Valerio, perché gli diceva che in futuro le avrebbe fatto piacere poterlo ripetere.
L’interlocutore, senza fare menzione a quel viaggio, le chiedeva se avesse letto il libro che le aveva consigliato e lei, a sua volta, rispondeva che quella raccolta di poesie le era piaciuta, ma che la più bella era senz’altro quella che parlava di un amore tormentato, e la trascrisse.
Quando mi dai la tua piccola mano che tante cose mai dette esprime, ti ho forse chiesto una sola volta se mi vuoi bene? Non è il tuo amore che voglio, voglio soltanto saperti vicino e che muta e silente di tanto in tanto mi tenda la mano. Poi, tra parentesi, indicava il nome dell’autore: (Hermann Hesse).
Sono andato a letto con una sensazione d’inquietudine, disorientato e, non riuscendo a prendere sonno, sono tornato al computer e ho continuato la mia ricerca, e questa volta ho letto:
Non ti amo come si ama davvero, ma ti amo come si amano certe cose tenebrose, segrete, racchiuse e celate tra l’intelletto e l’anima.
Poi sotto: Non sono contenta in questo momento. Sento il bisogno di avere accanto a me un uomo che sappia sostenermi e capirmi, e tu non lo fai. Il nostro, lo sappiamo entrambi, è solo un fuoco di paglia.
E ancora oltre: Ho la sensazione di aver capito tutto della vita e nello stesso tempo di non aver capito niente. Un giorno, molto presto, sono sicura che tutto questo finirà e noi saremmo costretti a lasciarci. Si possono amare molte persone nella vita, ma mai come uno vorrebbe amare veramente, ma farò di tutto pur di risparmiarti questo dolore.
Non sapevo cosa pensare. Provavo rabbia e sconcerto, ma intanto mi sentivo anche in colpa. Ci saranno milioni di coppie che si trovano nella nostra stessa situazione e mi stavo chiedendo se noi saremmo riusciti a trovare il giusto equilibrio per continuare a percorrere la stessa strada insieme. Domande destinate ovviamente a restare senza risposta.
Qualche anno fa frequentavo una bellissima ragazza, ma la nostra storia è naufragata perché lei era ancora troppo giovane e finì con l’innamorarsi di uno della sua età. Poi ci sono state altre storie, più o meno coinvolgenti, ma tutte finirono miseramente una dopo l’altra senza una ragione precisa. E ora? Ora scopro che la mia compagna attuale è diversa da come credevo che fosse, e non so come affrontare l’argomento. Cosa potrei dirle? Cosa potrei chiederle?
Il pomeriggio del venerdì successivo, con Alessandra tornammo al centro commerciale e poi andammo a casa mia, e in quell’occasione le restituii l’agenda.
«L’hai dimenticata sul sedile posteriore della macchina quando ti ho riaccompagnato a casa l’altra sera». Le dissi.
«Scommetto che hai anche avuto la tentazione di sbirciarci dentro». Mi rispose, mentre la faceva scivolare nella sua borsa.
«No. Perché avrei dovuto? Di cosa ti preoccupi? Forse lì dentro non trascrivi solo gli appunti e gli impegni di lavoro?» risposi, cercando di non far trapelare il mio imbarazzo, ma forse avevo un tono di voce troppo carico di insinuazione e lei se ne accorse.
«Certo: impegni di lavoro, appunti. E poi ci scrivo i pensieri che mi passano di tanto in tanto per la testa. Tutto qui. Ma se non l’hai aperta, non è il caso che ora ti tedi io, leggendoteli».
Lasciai cadere l’argomento e buttai lì, più per cambiare discorso che per l’effettiva voglia di restare a casa:
«Non ho voglia di uscire questa sera, facciamo venire le pizze e ceniamo qui?».
«Vada per la pizza, ma poi voglio tornare subito a casa perché domattina devo alzarmi presto per accompagnare mio padre in clinica. Deve sottoporsi a degli esami cardiologici e mi ha pregato di accompagnarlo». Rispose.
«Va bene. Ordiniamo le pizze, due coccole, e poi ti accompagno subito a casa». Conclusi.
«Comunque, potevi avvisarmi che l’agenda stava qui. Io pensavo di averla persa, ed ero preoccupata perché avevo trascritto degli appunti importanti e dentro c’era anche il resoconto, biglietti, scontrini, fatture e spese del viaggio che ho fatto a Firenze per conto della ditta, e senza quella documentazione non avrei più potuto chiedere il rimborso spese al ragionier Valerio».

Sono le quattro del mattino. Sopra e attorno a noi incombe il nero pece della notte che avvolge tutta la città. Le strade sono deserte, i semafori lampeggiano monotoni e inducono alla prudenza. Tutto è silenzio e lungo il tragitto incrocio solo i fari di una macchina e un uomo in motorino. Chissà? Forse un metronotte che sta facendo il suo giro e un fornaio che sta andando al lavoro.
Guido tranquillo e accanto a me ho Alessandra. La sto riaccompagnando a casa dopo la notte trascorsa con me. In grembo ha il suo computer e nella borsa l’agenda. La guardo. Scruta la notte attraverso il finestrino e i lampioni le stanno illuminando a intervalli regolari il viso.
È stanca, ha sonno, ma è sempre bellissima.
Svolto in una strada laterale, siamo arrivati e scendo con lei. Ci abbracciamo, ci diamo un ultimo bacio e ci auguriamo la buona notte. La seguo con lo sguardo sino al portone, dalla borsa prende le chiavi di casa e prima di entrare si gira verso di me e sventola una mano, ed io le mando un ultimo bacio.
Salgo in macchina, metto in moto e faccio a ritroso la strada di casa. Il cielo sta ormai schiarendo, è quasi l’alba e io mi sto chiedendo se una relazione come la nostra potrà durare ancora a lungo. Sono trascorsi già tre anni e sono tanti, ma prima o poi dovremmo prendere una decisione, senza aspettare che la nostra storia si bruci e si trasformi in cenere, come un ceppo nel caminetto.
Eppure, chi può dirlo? Ora tutto si confonde e magari tra vent’anni mi ritroverò ancora qui a riaccompagnarla a casa, proprio come ho fatto questa notte: io con i capelli grigi e lei sempre bellissima e con il suo sorriso dolce.
Mi immagino la scena e ho un sussulto. Ma forse ho solo bisogno di riposo, di andare a dormire.



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