MENU

IN BIBLIOTECA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

2
FEB
2017

Tutti i giorni della settimana, dal lunedì al venerdì, la stessa storia, lo stesso percorso, il medesimo paesaggio. Quel bus che la mattina mi portava in città, al lavoro, ormai era diventato una noiosa consuetudine nella mia vita.
Come ogni mattina uscivo presto da casa. Era inverno e fuori era ancora buio e faceva molto freddo. Imbacuccata, mi avviavo a piedi e in una decina di minuti arrivavo al capolinea degli autobus. Interminabile quel tratto di strada, in quelle giornate così gelide e grigie. Finalmente salivo sulla corriera e mi andavo a sedere al mio solito posto e anche quella era un’abitudine, forse perché siamo un po’ tutti così, mantenere le stesse abitudini da un senso di sicurezza, di quotidiana tranquillità.
Mi andavo a sedere lì, vicino al finestrino, dal quale vedevo solo le luci dei paesini che punteggiavano il percorso. È stato così per anni. Sul bus era come trovarsi un po’ tra amici: dopo tanti anni da pendolari ci si conosceva un po’ tutti, si chiacchierava, ci si lamentava, si discuteva, si criticava. Si conoscevano le vite e i problemi degli altri, le famiglie di ognuno. Le solite cose insomma che, però, davano un senso di calore e rendevano meno noiosa quell’andata e quel ritorno quotidiani.
Il mio viaggio durava circa un’ora e negli intervalli, tra una chiacchierata e l’altra, chiudevo gli occhi e pensavo. Pensavo alla mia vita, ai miei cinquant’anni appena compiuti, alla solita routine. Si tirano, ogni tanto, i propri bilanci. Arrivavano e passavano veloci certi pensieri e tristezze, ricordi e rimpianti. E mi ritenevo anche fortunata perché avevo un lavoro, in mezzo a tanta crisi. Ma si sa, è chiaro, il lavoro non è tutto, e mi lamentavo perché passavo più tempo sui bus e al lavoro che a casa. Vivevo da sola, anche se ho una figlia, Sveva, ma lei è sposata e ha la sua famiglia, il suo lavoro.
Ero da anni vedova, un incidente stradale e mio marito se lo portarono via, non c’era più. Era stata una tragedia, ma cercavo di lasciarmela alle spalle.
Erano trascorsi ormai sette anni, avevo continuato a piangere giorno e notte e non potevo più continuare in quel modo, dovevo pensare a me stessa, a mia figlia soprattutto, all’unica cosa cara che mi rimaneva. Così mi decisi e mi rivolsi a uno specialista, uno psichiatra, e con il suo aiuto riuscii piano piano a riprendere in mano le redini della mia vita. Quel tanto che bastava per ricominciare a guardare avanti, ed è stato a quel punto che mia sorella si ritenne soddisfatta e smise di preoccuparsi per me. Per lei era tutto risolto, tutto a posto e, una volta, in un malinconico tentativo di consolarmi, mi disse che almeno io l’amore vero una volta lo avevo trovato, l’amore della mia vita lo avevo provato, mentre lei, anche dopo i suoi quarant’anni, continuava a passare senza interesse da una storia effimera all’altra. Magra consolazione, avrei voluto risponderle, ma lasciai correre.
Passai quei sette anni in solitudine e senza mai brillare per ottimismo, ma un giorno arrivò Maurizio e in qualche modo riuscì a tirarmi fuori da quella situazione stagnate che mi avvolgeva ormai da troppo tempo.
Lo conobbi in biblioteca, dove lavoravo da anni. Stavo alla mia postazione, davanti al computer, quando un uomo si avvicinò, mi fece un cenno di saluto e mi chiese se potevo aiutarlo nella ricerca di tre titoli riguardanti la storia medioevale. Presi il foglietto che mi stava porgendo e cercai nell’archivio digitale quei titoli e, una volta trovati, andai a prenderli e glieli portai. Lui prima li sfogliò con cura, poi si andò a sedere nella sala lettura e alla fine mi disse che andavano benissimo e che se li sarebbe portati a casa per qualche giorno. Terminate le formalità di rito, mi ringraziò, mi salutò e andò via con i suoi libri. Era stata un’operazione come tante, e lui una persona come le altre, e non ci feci più caso.
La settimana successiva tornò in biblioteca per restituire volumi e in quell’occasione mi spiegò che i titoli che gli avevo trovatosi erano rivelati utilissimi.
Era un professore universitario e insegnava storia medioevale. E siccome degli studenti, cercando di metterlo in difficoltà, lo avevano sottoposto a un fuoco di fila di domande sul basso medioevo. Lui, per non essere da meno, era venuto in biblioteca a cercare quei vecchi volumi che sapeva ormai introvabili e fuori commercio, e così, a sua volta, aveva lasciato quei ragazzi a bocca aperta.
Si presentò, si chiamava Maurizio e aveva all’incirca la mia stessa età, i capelli leggermente brizzolati e gli occhi chiari. Abbiamo iniziato a parlare. Scoprimmo di avere la stessa passione per la lettura e ci trovammo così bene a chiacchierare che fra noi si stabilì subito una strana alchimia, nonché un tacito accordo per il quale ogni settimana, sempre lo stesso giorno alla stessa ora, veniva in biblioteca e parlavamo di libri, di letteratura, di autori, ma con l’andar del tempo cominciammo anche a parlare del più e del meno e a cercare di conoscerci meglio.
Poi un giorno mi chiese se mi andasse di uscire con lui per prendere un caffè o un aperitivo. Io feci finta di non sentire e cambiai discorso, ma la volta successiva non mi feci trovare alla mia postazione. Mi andai a eclissare, con la scusa di dover fare alcune ricerche, in archivio, tra migliaia di volumi, tomi e tanta polvere.
Non gli avevo mai detto dove abitavo, né gli avevo dato il numero del mio cellulare, quindi non avrebbe avuto modo di trovarmi, di contattarmi. Meglio così, pensai.
Temevo, non so nemmeno io cosa, ma stavo provando delle emozioni contrastanti che mi mettevano l’animo in subbuglio e mi facevano agitare. Ma dopo tre settimane, che per non incontrarlo continuavo ad andare tutti i giovedì pomeriggio nei bassifondi della biblioteca, dovetti ammetterlo: mi interessava davvero molto quell’uomo. Avevamo gli stessi gusti e dialogare con lui lo trovavo rilassante, piacevole.
D'altronde Maurizio non aveva fatto assolutamente nulla di male, si era comportato sempre correttamente con me, anzi, per quel poco che ero riuscita a conoscerlo, potevo ritenerlo un’ottima persona. Educato, colto, ironico, cordiale, un sorriso aperto e sincero che metteva subito a proprio agio. Aveva aspettato mesi prima di farmi quella domanda, di chiedermi di uscire. Non si era avventato su di me come un falco sulla preda.
Certo, tutto vero, ma il problema, anche se può sembrare strano, era che Maurizio non era mio marito. Per quanto tempo fosse ormai trascorso e per quanto mi stessi rendendo conto di essere ancora giovane e di avere il diritto di rifarmi una vita, mi sentivo come se stessi progettando di tradirlo e provavo una sensazione angosciante, deprimente.
Non sapevo se fosse di nuovo amore quello che stavo iniziando a provare per Maurizio, ero stata colta di sorpresa e la cosa mi spaventava. Mi sembrava di non essere in grado di gestire quella situazione. Avevo una paura folle, sia di sbagliare sia di finire poi col pentirmi.
Ma al di là dei miei timori, delle mie ansie, era giusto che parlassi con Maurizio, che gli spiegassi perché ero sparita. Era una brava persona e non meritava per nulla al mondo di essere trattato in quel modo da me. E allora decisi che era giusto parlargli, dirgli quello che pensavo e dei timori che mi assalivano e assillavano, se cominciavo a pensare a lui, a noi. A un futuro assieme.
Quel giovedì pomeriggio, quindi, restai seduta alla mia postazione e aspettai tranquilla sino l’orario che di solito lui arrivava in biblioteca ma, passato l’orario e non vedendolo arrivare,cominciai a guardarmi intorno spazientita. Sentivo crescere dentro di me l’ansia, e al pensiero che forse non lo avrei più rivisto, cominciai a sudare e preoccuparmi. Avrebbe potuto anche stancarsi di venire in biblioteca per costatare che non mi facevo trovare.
Andai a guardare nella sala lettura, percorsi la biblioteca in lungo e in largo, andai a controllare persino nella sezione dei libri per ragazzi, ma mi dovetti arrendere e convincere che di lui non c’era proprio nessuna traccia.
Sconsolata e stizzita con me stessa, tornai allora alla mia scrivania e per tutto il resto della serata rimasi con la testa china sul monitor. Cercai di concentrarmi sul lavoro, senza pormi troppe domande e sforzandomi di non pensare a Maurizio. Poi si fece buio, arrivò l’orario di chiusura e con esso la solita stanchezza e la solita solitudine.
Arrivai in anticipo al terminal quella sera e per la partenza mancavano ancora una decina di minuti e allora presi dalla borsa la rivista che portavo con me e iniziai a sfogliarla, ma intanto stava per accadere qualcosa.
Ero seduta al solito posto, accanto al finestrino e stavo leggendo, quando mi sentii chiamare:
«Ilaria».
Un tocco leggero sulla spalla mi fece voltare e mi trovai davanti il sorriso un po’ tirato, ma sempre sincero e aperto, di Maurizio.
Mi salutò. Contraccambiai il saluto. Tutto normale. O forse no, avevo il cuore che mi batteva a mille.
«Buona sera Ilaria, rieccoci». Mi disse, sedendosi sul sedile affianco al mio.
«Buona sera». Gli risposi, e intanto sentivo che stavo diventando paonazza. E non sapevo decidermi se girarmi verso di lui o continuare a guardare fuori dal finestrino.
«Per poterla incontrare, ho deciso di diventare anch’io un pendolare». Mi disse, sorridendo.
«Bene, così scoprirà la gioia di questa snervante routine, ritardi compresi». Gli risposi, e intanto cercavo di nascondere il mio stato d’animo, la vergogna che provavo, ma comunque ero contenta che fosse lì, accanto a me. Volevo parlargli e alla fine pensai che fosse stato meglio così, incontrarci fuori dal mio ambiente di lavoro mi rendeva la cosa più facile.
«Le tolgo subito la curiosità, e le dico come ho fatto a scoprire che l’avrei trovata qui. Semplice. Non riuscendo più a incontrarla in biblioteca, ho chiesto di lei a una sua collega e così ho saputo delle sue abitudini».
«Perché l’ha fatto? Perché tanto interessamento da parte sua, nei miei confronti?» Gli chiesi, ben contenta e lusingata per quel gesto.
«Non riuscendo più a trovarla in biblioteca, e avendo solo quella mezza giornata del giovedì libera, ho pensato di venire qui per incontrarla».
Una volta ritrovata la calma, tirai un profondo respiro e scusandomi per il mio comportamento, per non essermi fatta trovare quando veniva in biblioteca, gli raccontai tutto, dall’inizio alla fine. Iniziando a dargli del tu,parlai di mio marito, dell’incidente che me lo aveva portato via e dell’amore che provavo ancora per lui.
«Scusami tanto, Maurizio, sei davvero una cara persona, mi piaci, e non immagini quanto mi abbia fatto piacere averti incontrato qui questa sera. Avere l’opportunità di parlare con te mi rende la cosa più facile, e ti devo dire che ti ho pensato molto, ma se cominciassimo a frequentarci sarebbe come se, se …»
A quel punto mi mancarono le parole ma Maurizio mi prese delicatamente una mano tra le sue e sottovoce cominciò a parlarmi:
«Anche tu mi piaci molto, Ilaria, non puoi immaginare quanto, ma non ti farei mai fare una cosa per cui tu non ti senti pronta. Se preferisci che restiamo amici, magari continuando a vederci qualche volta in biblioteca, io ne sarei contento lo stesso. Tu devi fare soltanto quello che ti senti di fare, ma voglio dirti una cosa, se posso permettermi. Non ho conosciuto tuo marito, naturalmente, ma da come me ne hai parli sono sicuro che sarebbe contento anche lui di vederti di nuovo felice».
Non risposi, ero confusa, e non trovavo nemmeno le parole che avrei voluto dirgli, e intanto lui proseguì:
«Lasciarsi andare alla possibilità di un nuovo sentimento, è naturale. Una nuova relazione non vuol dire rinnegare o dimenticare quello che hai provato per tuo marito, perché quel periodo, quell’amore, rimarrà per sempre dentro di te e ti ha reso la persona meravigliosa che sei ora. Fa parte di te, del tuo bagaglio, e niente potrà mai cancellare tutto questo».
Sentii le sue mani stringersi attorno alla mia e lo guardai. Fece un’altra breve pausa, mi sorrise e continuò:
«Non volevo essere invadente o salire in cattedra, perdonami se ti ho dato questa impressione. Ti sto parlando così, solo perché ho a cuore il tuo avvenire, e sinceramente anche il mio. Come ti ho già detto sono solo anch’io, non per scelta ma perché dopo anni di convivenza una malattia si è portata via la mia compagna».
Rimanemmo così, in silenzio per un po’, lui continuando a tenermi la mano, ed io a guardare le mie ginocchia.
«Adesso ti lascio tranquilla e proseguire il viaggio da sola. Se ti va bene, ci vediamo giovedì prossimo in biblioteca alla solita ora. Vorrei recuperare gli appuntamenti che abbiamo mancato, altrimenti capirò, non ti preoccupare».
Detto questo si alzò, mi sfiorò i capelli con una carezza leggera, mi salutò e appena l’autobus si fermò ad una fermata intermedia, scese.
Restai lì, seduta da sola per un tempo che mi sembrò infinito. Cercavo di districarmi tra quelle mille sensazioni contrastanti che provavo. All’inizio mi sembrava di avere la testa frastornata, confusa, ma poi piano piano qualcosa iniziò a farsi strada dentro di me. Le parole che mi aveva detto avevano toccato le mie corde più sensibili, i miei nervi scoperti. Ma oltre al sentimento, l’amore che sentivo ancora per mio marito, la sgradevole sensazione che provavo, come se lo stessi tradendo, Maurizio aveva ragione.
Avrei dato qualsiasi cosa per riavere al mio fianco mio marito, ma purtroppo era impossibile. Il destino aveva deciso altrimenti, ma intanto io esistevo, ero viva e con tanta strada ancora da fare, anche se con le ali ormai tarpate.
Quando l’autobus si fermò e si aprirono le porte, io non me ne accorsi. Ero talmente presa dai miei pensieri che una conoscente venne a darmi un colpetto sulla spalla per dirmi che eravamo arrivate, che dovevamo scendere.
E allora decisi di scuotermi. Di non parlarne con nessuno, nemmeno con mia figlia, ma di aspettare il prossimo giovedì per incontrare ancora Maurizio, perché non vedevo l’ora di rivederlo e dirgli che era stato così sensibile, che aveva trovato le parole giuste per farmi tornare a credere nel futuro, in me stessa, e che avevo deciso, con il suo aiuto, di tentare di rifarmi una vita, di proseguire il nostro percorso assieme.
 
 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor