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LOTTARE PER VINCERE

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

10
MAG
2017

«Ma che bel foulard hai in testa oggi!»
Esclama Valeria, indicando il fazzoletto fantasia che copre la mia testa calva.
«Sapevo che ti sarebbe piaciuto. Me l’ha regalato mia figlia. È venuta apposta a casa ieri sera per portarmelo». Replico, salutandola e rispondendo al suo sorriso.
Ma il suo sorriso si spegne quasi subito e mi dice:
«So che può sembrare assurdo da dire, ma… maè così, mi mancherete».
«Che cosa pretendi adesso? Che ti consoli perché hai quasi finito con la chemio, mentre Renata ed io dovremmo stare qui ancora un bel po’ con un ago infilato nel braccio?»
Le rispondo in tono scherzoso, ma dentro di me si stanno agitando emozioni contrastanti: Sono felice per lei, però sono sicura che quando non la troverò più qui mi mancherà tantissimo.
«A proposito, come mai Renata tarda tanto?» Mi chiede.
«È vero». Rispondo.
Renata è in ritardo, e non è mai capitato che arrivasse per ultima.
«È strano che non sia già qui. Per caso vi siete sentite in questi giorni?»Domandoa Valeria, e il mio tono tradisce la preoccupazione che provo per la nostra giovane amica. Renata ha ventiquattro anni, è una ragazza dolcissima e l’abbiamo quasi adottata.
Noi tre ci siamo conosciute proprio qui, nel reparto di chemioterapia, durante una delle mie prime sedute. A unirci è stato il destino comune, di cui avremmo volentieri fatto a meno: un tumore al seno che ci è stato diagnosticato più o meno nello stesso periodo.
Di noi tre io, con i miei cinquantadue anni,sono la più vecchia, Renata la più giovane e Valeria, che ha quarant’anni sta nel mezzo a fare da ponte tra le due generazioni. Senza la malattia le nostre strade difficilmente si sarebbero incontrate, anche se abitiamo nella stessa città. E nella sfortuna che ho avuto, l’aver conosciuto due persone straordinarie come Valeria e Renata è stato sicuramente un bene,un grande conforto. Senza di loro, senza il supporto reciproco, sarebbe stato molto più difficile affrontare questolungo percorso. Nelle nostre vite sconvolte dalla malattia, sapere di incontrarci in ospedale, sentirci al telefono, condividere la stessa esperienza e combattere la stessa battaglia,cida forza e anche un pizzico di serenità.
Noi tre ci capiamoal volo, senza doverci dire tante parole. Comprendiamo le rispettive ansie,i tormenti e i timori eanche le lacrime che scaturiscono improvvise e inarrestabili. La ricerca della normalità ela volontà di resistereci accomunanoe assieme troviamo la forza di andare avanti, di pensare al futuro. I nostri cari, nonostante la loro buona volontà, a volte non riescono a capire fino in fondo le nostre esigenze, le nostre pene e paure, i nostri sbalzi d’umore. Ci vogliono bene, ci stanno vicino, ma per quanto si sforzino, non possono comprendere appieno e sino in fondo quello che stiamo provando, i tormenti che viviamo tutti i giorni, giorno dopo giorno.
Quando mi hanno diagnosticato il cancro, sei mesi fa, stavo attraversando un momento di estrema serenità, se non addirittura di felicità, della mia vita: un marito ancora capace di farmi ridere e battere il cuore; una figlia sposata che mi ha regalato la gioia di un nipotino stupendo. Non avevamo preoccupazioni economiche, né di nessun altro genere, ed io vivevo le mie giornate dividendomi tra la famiglia, il nipotino e il lavoro, poi, all’improvviso, tutto è cambiato perché davanti a me si è aperta una voragine.
Quel giorno mi stavo sottoponendo ai consueti controlli di routine per la prevenzione del tumore al seno. Avevo già fatto la mammografia e stavo finendo l’ecografia, quando, dall’espressione del viso dell’ecografista, ho capito che c’era qualcosa che non andava.
«Cosa c’è?» Chiesi allarmata.
«Non si preoccupi. Sono sicuro che non sia nulla. Adesso riguardiamo anche la mammografia e poi magari consultiamo anche il senologo. Deve avere un po’ di pazienza». Mi rassicurò il dottore, ma il suo viso rimase serio.
“Ecco, ci siamo”,sentivodire a una voce dentro di me. Il cancro che si era portato via la nonna, mia madre e anche una giovane parente, ora stava aggredendo anche me. In fondo da un pezzo temevo questo momento,ma ugualmente rimasi immobilizzata dalla paura. Ricordo bene iprofondi respiriche feci e quel brivido freddo che mi percorse tuttala schiena. Indossai e tolsi il cappotto non so quante volte, mentre aspettavo che tornasse il medico con i risultati degli esami.
Lo specialista arrivò poco dopo. Aveva già visionato sia l’ecografia sia la mammografia e mi volle visitare ancora, e questa voltacon grande cura e attenzione. Alla fine fu molto gentile ma anche molto diretto. Mi spiegò che effettivamente c’era un nodulo, che si sentiva anche sotto i polpastrelli e che era necessario indagare a fondo, fare ulteriori accertamenti diagnostici: ago aspirato, biopsia e successive visite per capire esattamente di che natura fosse quel nodulo.
Nelle settimane successive sono stata risucchiata da un vortice di visite specialistiche, esami e prelievi, e dopo giorni di estenuante attesa in cui io, mio marito e mia figlia abbiamo cercato in tutti i modi di mostrarci calmi e ottimisti, anche se in realtà nessuno di noi lo era, è arrivato l’esito tanto temuto: carcinoma maligno al secondo stadio.
Non sono stati momenti facili, ma ho deciso sin da subito che avrei lottato, che non gliela avrei data vinta al male. Avrei lottato con tenacia sino a sconfiggerlo.
Non ho perso tempo e immediatamente mi sono sottoposta a intervento chirurgico per far asportare il nodulo e il tessuto circostante. Naturalmente in tutti questi mesi di alti e bassi, di speranza e sconforto, a darmi forza è stata mia figlia, il sorriso del nipotino e mio marito che mi è sempre stato vicino e mi ha sostenuto, macredo che sarebbe stato tutto più difficile se non avessi incontrato Valeria e Renata. Aver conosciuto due donne con il mio stesso problema, poter parlare tra noi liberamente, scambiarci opinioni, preoccupazioni e darci coraggioreciprocamente,è stato senza dubbio digrande aiuto.Grazie a loro non mi sono mai chiusa in me stessa.Con il loro aiuto ho cercato di non lasciarmi andare, di non sprofondare nello sconforto. Né ho mai nascosto il mio male a nessuno, perchéValeria mi ha insegnato che ammalarsi non è una colpa, che non ci si deve vergognare di avere il cancro.
Al principio ho rischiato di perdere la bussola, avevo paura di non farcela, è vero. Poi ho pensato al mio nipotino, a mia figlia e a mio marito e ho stretto i denti, anche se non è stato facile tenere sotto controllo il panico eil lungo cammino che avrei dovuto affrontare.
Quando ho incontrato Valeria per la prima volta, pioveva a dirotto. Io aspettavo il mio turno per la chemio e lei è arrivata bagnata dalla testa ai piedi.
«Per fortuna non ho più il problema dei capelli, se no con questa pioggia sai come si sarebbero ridotti». Poi aggiunse:
«Se ti capita una cosa così devastante, bisogna saper reagire, avere la forza di ironizzare e di lottare». Disse, sedendosi e togliendosi il foulard che le copriva la testa nuda. Mi è diventata subito simpatica.
Ero così abbattuta che al solo pensiero che avrei perso i capelli anch’io, fui assalita dall’angoscia. Era una sciocchezza, lo sapevo, così come sapevo che sarebbero ricresciuti, ma di notte, nonostante questa consapevolezza, al solo pensiero della mia testa calva, mi svegliavo angosciata. Ma quando è successo davvero, quando ho perso tutti i capelli, non ho voluto indossare la parrucca. Superato lo choc del primo momento, mi sono detta che quella che vedevo allo specchio ero io, sempre io, nel bene e nel male, e come tale mi dovevo accettare e volere bene. Allora ho scelto di indossare dei foulard dai colori vivaci, come quello che indosso oggi e che ha fatto sorridere Valeria.
Poi abbiamo chiacchierato per tutto il tempo della terapia. Mi ha raccontato di lei, della sua famiglia, dei suoi due bambini, un maschio di cinque anni e una bimba di tre, e che mai nella vitasi sarebbe aspettata di ammalarsi di tumore. Se non fosse stato per l’insistenza di suo marito, mi raccontò, sarebbero trascorsialtri mesi prima di sottoporsi a una visita preventiva. Alla fine le avevano detto che quel nodulo era un carcinoma maligno al primo stadio. Era piccolo, ma se non curato per tempo poteva diventare pericoloso.
Valeria si era sottoposta all’intervento chirurgico e poi aveva iniziato la chemioterapia.
«Non mi posso permettere il lusso di lasciarmi abbattere dalla disperazione e dalla paura di non farcela. Ho due figli ancora troppo piccoli che hanno bisogno di me». Mi disse quel giorno, trattenendo a stento le lacrime.
Se mi avessero diagnosticato il carcinoma quando mia figlia era piccola come i suoi due figli, sarei rimastapietrificataal solo pensiero della sua vita senza di me.
Ammiro Valeria per il suo coraggio, la sua forza d’animo, anche se so che dietro i suoi sorrisi e la sua ironia, si celano pensieri malinconici che spesso sfociano nel pianto e nel bisogno di sfogarsi,di conforto, di condividere con me e Renata le sue angosce.
«Sono un po’ preoccupata, Laura, Renata non si vede ancora».Ripete Valeria, e la sua voce mi riporta al presente.
Mi ero persa dietro i ricordi. È vero, Renata non è ancora arrivata e la nostra preoccupazione si evidenzia sui nostri volti. Con Renata il destino è stato più duro che con noi. A lei, il male ha fatto un danno smisurato, lasciandoleil segno indelebile e per tutta la vita.
Quando l’ho vista la prima volta nella sala d’aspetto, accompagnata dalla madre, ho avuto un colpo al cuore. Era pallida, smarrita, piccola, minuta e così giovane, che mi fece tenerezza. Si guardava intorno preoccupata e quando, per incoraggiarla, le sorrisi, ha abbassato la testa sul suo cellulare e si è isolata. Così giovane e già così provata dalla vita… alla sua età nessuno dovrebbe stare in ospedale con una flebo di chemio in vena.
Anche la madre che l’accompagnava sembrava non aver nessuna voglia di parlare. Solo quando la figlia si è allontanataun momento, si è rivolta a noi, volendola scusare per la sua scontrosità. Ci disse, parlando sotto voce e con le lacrime agli occhi, che mesi prima le era stato diagnosticato un carcinoma maligno ed era stata sottoposta a una mastectomia completa, perché il tumore era arrivato ormai a uno stadio avanzato e non avevano potuto fare altro che asportarle interamente il seno.
«Ha poco più di vent’anni e un intervento come quellol’ha annientata, anche se tutti continuano a dirle che ormai la scienza ha fatto passi da gigante e che ora dal tumore al seno si guarisce. Non si guarda più allo specchio, si vede mutilata. È convinta che nessun ragazzo potrà più innamorarsi di lei».
«Ma esiste la chirurgia plastica». Replicò Valeria, ma la madre scosse la testa e ci disse che non riuscivano a convincerla, a scalfire l’abbattimento che la stava annientando.Poi, quando vide rientrare la figlia si zittì, le sorrise e le fece cenno di sedersi accanto.
Quando Renata è arrivata qui, era convinta di non avere più un futurodavanti a se. Valeria ed io,sapendo che per lei sarebbe stato ancora più difficile continuare ad affrontare la situazione da sola, ci siamo scambiate uno sguardo e all’istante abbiamo deciso che avremmo cercato di aiutarla.
All’inizio non è stato facile entrare in sintonia con lei. Ma con tenacia e a poco a poco, siamo riuscite a scalfire la corazza di dolore che l’attanagliava e a riportare sul suo giovane viso un accenno di sorriso. In poco tempo siamo diventate amiche e ora siamo una per tutte, tre donne di tre generazioni diverse che stanno affrontando con determinazione la stessa battaglia.
Quando le sono caduti i capelli, l’ha presa malissimo. Ha pianto a dirotto. Disperata non voleva più proseguire con la chemio.
«Tanto non serve a niente!» Ci dicevasgomenta, ecercando di nascondere la sua alopecia tirandosi sin sotto le orecchie il cappellino di lana.
«Il male tornerà. Lo sanno tutti che ammalarsi alla mia età è ancora più pericoloso».
Ci siamo tolte i nostri foulard dalla testa, le abbiamo chiesto di guardarci,le abbiamo sorriso, le abbiamo parlato e con pazienza siamo riuscite a calmarla, a convincerla che doveva continuare la cura, che doveva affrontare una cosa per volta. Che doveva convincersi che sarebbe guarita, che avrebbe sconfitto il male.
Si è calmata e ha accettato di perdere anche i capelli, ma la settimana scorsa ci ha confidato che ha paura di ritrovarsi qui da sola, quando Valeria ed io avremmo finito il nostro ciclo di chemio, e non saremmo più venute in ospedale. A Valeria mancano solo tre sedute, ma io ne ho ancora per un bel pezzo, altri giorni da trascorrereancora con Renata, e per questo le ho detto che non doveva avere paura, io sarei stata ancora vicino a lei e Valeria sarebbe venuta a trovarci.
Mentre l’aspettiamo penso a lei, alla sua mamma e a tutte le ragazze come lei, a tutte le donne come me. Penso a come un nodulo di pochi millimetri possa cambiare per sempre la vita di una donna.Se soltanto non avessimo perso troppo tempo, Se avessimo fatto caso a quei campanelli d’allarme… ma con i se e con i ma non si va da nessuna parte.
E anche se ho sempre pensato che ognuno di noi ha un destino a cui non può sottrarsi, e che le cose devono andare così, perché così è stato deciso, adesso sono convinta che l’unica protezione che abbiamo noi donne sia la prevenzione assidua, la fiducia nella medicina e nella ricerca.
La porta si apre e vediamo entrare Renata. Le dico che ci stavamo preoccupando, ma lei ci rassicura, ci dice che ha fatto tardi perché la madre non sta bene, ha un forte mal di testa.
«Voleva alzarsi e accompagnarmi lo stesso… ma io non ho voluto. Quasi non si reggeva in piedi e le ho detto che sarei venuta da sola, che con voi vicino mi sento sicura, che posso farcela anche da sola ormai».E finisce la frasecon un tenero sorriso.
Sì, ne sono sicura, Renata vincerà la sua battaglia, come Valeria vincerà la sua ed io la mia. Scaleremo assieme la nostra montagna, in cordata, come testardealpiniste, fino a raggiungere la vetta che altre donne prima di noi hanno già raggiunto, e lassù ci abbracceremo e pianteremo anche la bandiera della nostra vittoria sul male.
Ne sono sicura, ci riusciremo perché siamo forti, perché abbiamo fiducia in noi stesse, perché, anche se l’aggressore è un nemico che vorrebbe annientarci, abbiamo capito che possiamo e dobbiamo vincerlo.Dobbiamo guarire per le tante persone care che ci vogliono bene, che ci stanno vicino e che ci amano. Dobbiamo guarire e dobbiamoriuscirci per noi stesse,per continuare la nostra vita che, ne sono sicura, ci condurrà in un futuro migliore,dove ritroveremo un'altra volta la serenità. Esapere di non essere da sole a lottare,cida la forza per continuare a combattere.
 



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