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L´AMANTE PERDUTA

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

22
GIU
2017

Il mattino era incerto. Banchi di nubi sostavano sul mare, come se una vecchia locomotiva fosse passata di lì e avesse lasciatola sua biancascia di vapore. Le montagne della Sila, lontanissime, apparivano di un vago grigiore-azzurrognoloe le vette, ancora imbiancate,riverberavano della neve non ancora sciolta.
Mentre facevo la doccia, colpito dai raggi del sole che penetravano dalla finestra spalancata econ l’acqua che mi scivolava lungo i fianchi, lasciai che la mente andasse vagandoe mi ritrovai a pensarea Bianca, ed ero così immerso nei miei pensieri che non so dopo quanto tempochiusi l’acqua e mi asciugai.Poi guardai là fuori, il mattino, ancora caliginoso sul mare e mi rimisi a oziare sul letto. Era ancora presto e a me è sempre piaciuto avere quel po’ di tempo in più davanti, prima di iniziare la giornata, e così lasciai scorrere i ricordi.
Figlia di aristocratici, bellissima, io l’avevo amata fin da ragazzo, anche seall’epoca ero troppo acerbo e timido per riuscire a conquistarla. Frequentammo le stesse scuole sino al liceo, poi lei si trasferì in un’altra città per frequentare l’università e quando fece ritorno a casa, alla fine dei suoi studi, sposò un ufficiale di marina. Un tipo piuttosto bello, sul genere attore hollywoodiano, ma presuntuoso e ottuso come un mulo.
Anni dopo, quando infine riuscii a fare breccia nel suo cuore e lei mi accettò come amante, me ne parlò.
Il marito era un buon partito, di una famiglia che da sempre annoverava tra i suoi avi alti ufficiali di marina.Aveva un carattere forte e un’innata attitudine al comando e per questo aveva goduto di una solida reputazione tra le massime autorità militari,che gli avevano affidato compiti e missioni di massima importanza, ma in privato...
«La notte di nozze? Rimasi distesa sul letto a contare i fiori della carta da parati, quanti ce n’erano per ogni fila. Mi sono annoiata a tal punto…» Esordì Bianca, poi continuò:
«Era intelligentissimo, possedeva doti straordinarie e aveva un fisico atletico, conosceva tre lingue, era un patito dello sport e sapeva incantare la gente. Cose queste che possono apparire ottime, se viste da una certa distanza, ma che, dovendoci convivere, si dimostrarono tediose oltre ogni sopportazione».Aggiunse che il marito era una specie di mostro e che la trascurava, sebbene non in modo oltraggioso.
«Praticamente mi trattava come se fossi stata un suo sottoposto in divisa».
A completamento del quadro, mi raccontò che il maritooltre a rovinarsi con i debiti di gioco, quando sovraintendevaalle forniture di tutte le mense militari e alla ristorazione degli ufficiali, a causa di spese e appalti poco chiari, perse la stima dei suoi superiori,futrasferito e deferito all’autorità giudiziaria.
«Le autorità hanno trovato un capello nella minestra?» Chiesi ironicamente.
«Un capello? Una treccia intera, ne hanno trovato». Rispose seria.
Bianca ebbe il primo figlio subito e dopo un altr’anno un altro, poi basta. Disse al marito che non ne voleva più.
Il suo matrimonio, già traballante, piano piano entrò definitivamente in crisi e lei stava pensando di lasciarlo, ma il marito, già coperto di critiche e travolto dalle inchieste,le chiese di aspettare per salvare almeno le apparenze.Lei accettò, ma essendo una splendida e giovane creaturache non aveva nessuna intenzione di ammuffireal suo fianco, o di starsene da sola nel suo elegante appartamento vista mare, iniziòsubito a frequentare quel mondo di gente ricca e altolocata che prima, a causa della gelosia del marito,le era sempre stato negato. Da quel mondo, da quella piacevole atmosferane fusubito risucchiata e, circondata com’era da ammiratori e spasimantiche non persero tempo a corteggiarla, ne fu travolta e cominciò a farsi degli amanti.
Alla fine giunse ad amare un poco anche me, anche se penso che lei non abbia mai amato veramente nessuno,o almeno non sia mai riuscita ad amare un uomo come avrebbe desiderato. Non credo che abbia mai avuto una vera attrazione per un uomo, e penso che sia rimasta con me, in questi ultimi tempi, solo per non dover tornare a frequentare quell’ambiente che in definitiva a lei nauseava e dove si sentiva rifiutata dalle donne e l’ossessionante oggetto del desiderio degli uomini.
Io invece l’amavo, ma forse mi sono dimostrato anch’io inferiore alle aspettative.
«Hai mai amato gli uomini che hai avuto?» Le chiesi un giorno.
Lei fece spalluccia, mi guardò, e con appena un’ombra di delusione sul viso, rispose:
«Li ho amati? Forse… sicuro è che alla fine me li sono messi tutti in saccoccia».
Quando mi disse così, ero steso sul letto e mi domandai se alla fine anch’io sarei finito nellastessa saccoccia, assieme al suo borsellino, al suo profumo, al suo rossetto e alle sue chiavi.
Sarebbe stato quasi una liberazione, dopo esserci lasciati travolgere dalla passione, ma io sentivo d’amarla con tutta l’anima,e non era quella la fine che volevo fare.
Avrei dovevo darle di più, farle provare più piacere, cercare difarla innamorare perdutamente di me. Maper tenerla per sempre legata a me, avrei dovuto inventarmi l’impossibile.
Una mattina, quando mi svegliai,lei non c’era a fianco a me. Aveva scarabocchiato un biglietto e lo aveva lasciato sul suo cuscino.
“Buon giorno Ernesto, dormi così profondamente che mi dispiace svegliarti. Continua a sognarmi, intantoio esco, vado a fare delle compere”.
Quando nel primo pomeriggio tornò, improvvisamente sentii la porta della stanza spalancarsi e le mie inquietudini svanire. Bianca entrò sorridendo, era così bella, spontanea e allegra che guardandola l’adorai. Indossava un abito di pizzo trasparente, che dalle spalle le scivolava lungo i fianchi sinuosi, calze nere e un paio di stivali, alti sin alle ginocchia. Completava quel bizzarro abbigliamento un cappello a larghe tese, enorme e foderato di rosso. Lotrovai uno sproposito sulla sommità della sua spudoratezza.
Mi guardò, mi sorrise epoi andò direttamente verso lo specchio.
«Ti piace il mio cappello?» Chiese.
Mentre i raggi del sole facevano risaltare i suoi seni perfetti, lei,consapevole soltanto del suo cappello, continuòa rimirarsi allo specchio. Aveva le spalle nude e attraverso il fine ordito dell’abito,potei cogliere tutte interele sue provocantiforme.
«Ti piace il mio cappello?» Ripeté.
Poiché non le risposi, si girò a guardarmi e accorgendosi che non stavo guardando il suo cappello ma il suo corpo, con cipiglio che dileguò in una risata, tornò a chiedermi:
«Non ti piace?»
Mi alzai dal letto, lasciai cadere l’accappatoio per terra, mi sistemai sulla testa il mio berretto e poi, nudo com’ero, salvo il berretto, avanzai verso di lei e chiesi:
«Ti piace il mio berretto?»
Lei mi guardò con i suoi occhi verdi e fu presa da un eccesso di risa. Abbandonò il suo cappello su una sedia e, sempre scossa dalle fragorose risate, si lasciò cadere sul letto. Di tanto in tanto sollevava la testa, mi gettava uno sguardo e poi tornava ad affondare il volto nel cuscino. Io rimasi in piedi davanti a lei, vestito solo del mio berretto e mi sentii uno stupido. Un ridicolo uomo, uno dei tanti che aveva amato per una notte, e poi messo in saccoccia.
«Sei perfetto! Sei perfetto! Uno schianto». Gridò, continuando però a ridere. Poi si precipitò su di me, mi calcò il berretto in testa e mi baciò.
«Non lo togliere. Non te lo togliere. Io ti amo per questo, per la tua stravaganza, per la tua spontanea infantilità».Mi disse, poi, continuando a baciarmi, mi trascinò sul letto. Mi guardò ancora e scoppiò di nuovo a ridere e,stranamente,la cosa cominciò a divertire anche me.
«Con quanti altri uomini l’hai fatto?» Chiesi.
«Cosa?» Domandò.
«Entrare nella loro stanza vestita solo di nebbia trasparente, perpoi andare davanti allo specchio a provarti un cappello nuovo». Lei tornò a chinarsi su di me, mi baciò, e poi rispose:
«Non molti. Non sono mai stata così totalmente in confidenza con gli altri. Con te è diverso. Prima non era così».
«Comunque, non importa», risposi. Ma forse la lieve amarezza che filtrò della mia voce la colpì, e allora aggiunse:
«Non voglio lusingarti o farti credere che tu sia il primo che io abbia davvero… davvero…» ma non finì la frase. Poi mi fissò con un’espressione severa, come a volermi dire che forse non era quello il momento giusto per certe riflessioni.
«Ho sempre saputo di essere un amore pro tempore e che la nostra storia non potrà durare ancora allungo». Le risposi.
«Ti rammarichi di te stesso? Di cosa hai paura? Tutto nella vita ha un inizio e una fine».
Mi canzonò. Io feci spalluccia, la guardai negli occhi e, anche se le sue parole mi provocavano tormento, le risposi che non sarei arrivato al suicidio se mi avesse lasciato. Poi aggiunsi:
«Quando ripensi alle tue relazioni, e lo so chesono state tante, cosa provi? Cosa ti è rimasto di esse?»
«Non sono state poi molte. Non esagerare. Ma ciascuna di esse mi ha lasciato qualcosa, mi ha comunque arricchito e mi ha fatto provare delle emozioni nuove, diverse. Certi uominisono davvero straordinari e terribilmente affascinanti». Sospirò.
«Comunque, per te gli uomini sono edizioni tascabili che alla fine, quando ti stanchi, metti tutti in saccoccia». La canzonai di nuovo.
Lei rise, e aggiunse che non aveva nulla di cui vergognarsi. Poi, fattasi seria,prese a tirare il cordoncino di seta che attraversava le asolesul petto e subito le rotondità del suo seno balenarono come avorio antico davanti ai miei occhi e da quel momento ci lasciammo andare.
Quando si accese una sigaretta, era già buio. Soffiò un pennacchio di fumo sul mio viso e non so per quale motivo, volle tornare a raccontarmi di suo marito e di una delle sue avventure.
«Scoppiata l’inchiesta sugli appalti,mio marito venne trasferito e io lo seguii. In attesa di trovare casa risiedemmoper qualche tempo in hotel, e questo mi procurò un certo godimento. Mi sentivo per metà una gran signora e per metà una piccola preda…Non ti devi irritare se ti dico queste cose, e guardami mentre ti parlo perché voglio essere sincera con te. Voglio che tu sappia tutto di me. Ero sempre sola, e lui si trovava lì, nello stesso albergo, era un imprenditore molto giovane e bello, e mi piaceva molto. Al ristorante, dove uomini disgustosi si piazzavano dietro le spalle delle loro mogli per lanciarmi sguardi osceni, spesso cenavo da sola e lui era lì. Una mattina, mio marito non c’eraperché tornato nella vecchia sede chiamato dai giudici, scendendo per la prima colazione mi sentivo beatamente libera e attraente.Quando lo vidi, mancò poco che gli andassi a sbattere contro. Oh sì! Era quel giovane imprenditore, alto ed elegante. Che splendida creatura. Quando lo guardai negli occhi, fui attraversata da una scarica elettrica. Mi guardò anche lui. Ah se mi guardò!Poi s’inchinò leggermente emi fece quel genere di salutoche a una donna fa molto piacerericevere. Io inclinai un poco la testa e sorrisie quella mattina tutto finì lì. Rimasiperò inquieta tutto il giorno, perché non riuscivo a dimenticarlo e continuai a pensarea lui. Quando la sera lo rividi,ero seduta al ristorante e qualcosa tornò ad agitarsi dentro di me. Mi guardava ed io lo guardavo e così iniziammo quel genere di gioco che da sempre mi diverte ed eccita. Si avvicinò e mi chiese se poteva sedersi al mio tavolo.Cenammo assieme e da quel momento io cominciai a provare tante emozioni,fortissime e contrastanti. Mi piaceva la sua voce, mi piaceva come parlava e soprattutto quello che mi diceva, poi, quando ero ormai certa di averlo conquistato, lui si alzò e, chiedendomi scusa, mi disse che gli dispiaceva,che era desolato, ma che purtroppo doveva assentarsi per partecipare a una riunionegià programmata, e a cui non poteva mancare.
«Dopodiché». Chiesi…
«Dopodiché potremmo…»Rispose.
Allora presi le chiavi della mia stanzae gli indicai il numero.
Dopo che ci separammo,andai in giardino a fumarmi una sigaretta e subitotornai in camera mia. Sistemai le mie cose, tirai le tende e rimasi in attesa. Dopo poco sentii un tramestio alla porta e trattenni il respiro! Rapido fu dentro, chiuse a chiave la porta e accese tutte le luci. Sotto il soprabito reggeva qualcosa, si avvicinò e mi gettò addosso un’intera bracciata di rose rosse. Che felicità provai! Mi piaceva la sua figura slanciata, il suo sorriso aperto e accattivante, e anche quel gesto lo trovai delizioso. Si tolse il soprabito e mi venne vicino. Mi trasse a se, con le rose e tutto quanto, e mi baciò tutto il corpo. Sentivo le sue labbra attraverso la vestaglia sottile. Poi si fece calmo e mi sorrise, e quel sorriso mi fece perdere del tutto la testa. Senza nessun imbarazzo si spogliò, mi fece sdraiare sul letto e dispose i petali di rosa sul mio corpo, sul cuscino e tra i miei capelli,poi rimase a guardarmi. Io gli tesi le mani e ci amammo tutta la notte. Quando ci giravamo, sui nostri corpirestavano appiccicati quei petali di rose frantumati e schiacciati. Quanta tenerezza provai quella notte indimenticabile.Che notte straordinaria fu quella. Ma quando mi destai, non c’era più, se n’era andato. Sul comodino trovai il suo biglietto da visita con scritte poche parole e l’invito a rivederciancora. Ci rimasi malissimo, e quel giorno stesso lasciai l’albergo e raggiunsi mio marito.Non l’ho rividi mai più».
Per un po’ restammo entrambi in silenzio. Lei si cinse con le braccia le ginocchia e restò così, con il viso appoggiato su di esse.
«E non lo rimpiangi, non ti mancano le sue carezze, la sua voce?» Le chiesi.
«No, perché con lui tuttodava la certezza di essere inevitabile. Persino il fatto di non rivederlo più». Rispose, quasi senza prestarmi attenzione e continuando a strofinarsi le ginocchia con il viso.
Rimasi immobile a guardarla. Sembrava seccata, con la mente altrove. Poco dopo si alzò e cominciò a vestirsi.
«A cosa pensi?» Mi chiese.
«Penso che tutto quello che tu vuoi,riesci sempre a ottenerlo». Risposi.
«In amore dici? Certo. Io cerco emozioni e piacere. Il resto non m’interessa».
«Perché parli solo diemozioni e piacere, quando ti riferisci agli uomini?»
«Perché è tutto quello che si può chiede a un uomo. Non saprebbe darti di più».
Mentre continuava a vestirsi, la guardavo, eintanto capii che anche per me era arrivato il momento di finire nella sua saccoccia. La mia storia con Bianca era finita.
Altre storie e altri amori, la stavano già attendendo.
 



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