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IL LIBRO MISTERIOSO

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

14
SET
2017

Carla è una psicopatologa, e vuole per forza trovare sempre il significato di ogni comportamento delle persone, mentre io non riesco ad andare oltre ciò che vedo e sento, e questa, forse, è una delle tante differenze del nostro carattere e del motivo per cui litighiamo spesso e continuiamo a rimandare il discorso matrimonio. Tuttavia, per pigrizia o per viltà, nessuno dei due riesce ancoraa prendere la decisione di troncare questa relazione chesi sta trascinandostancamente da tre anni.
Spesso mi sono chiesto se non stiamo sprecando il nostro tempo e per quale motivo stiamo continuando a portare avanti questo usurato rapporto che, lo sappiamo tutti e due, non ha nessuna prospettiva futura e che impedisce a entrambi di lasciarsi andare a cercare qualcosa di più coinvolgente.Magari avere una storia vera, una di quelle storie che ti fanno battere il cuore, che ti fanno stare in ansia o gioire, ridere o trepidare quando pensi alla persona amata.
Queste sono riflessioni che sempre più spesso mi frullano nella mente.
Dopo cena,tra tanta gente multicolore, stiamopasseggiando sul litorale quando scorgo una bancarella di libri usati, accatastati alla bene e meglio uno sull’altro, e ci fermiamo.
«Cerca qualcosa in particolare?» Mi chiede un omino che, come sbucato dal nulla, appare improvvisamente da dietro la bancarella e mi sorride.
È basso, minuto, la barba incolta, le gambe storte, parla con una vocina in falsetto e mi guarda con i suoi occhietti chiari sormontati da due folte sopracciglia candide come i suoi capelli che spuntano lunghi e ricci da sotto un cappello di panama.Lo guardo, chiedendomi da dove fosse sbucato questovecchietto che sembra un personaggio delle fiabe.
«Sto solo dando un’occhiata». Rispondo, mentreripongo una copia malconcia dei Miserabili.
«Faccia pure con comodo. Qui può trovare quello che faal caso suo, ma io le consiglio di guardare da questa parte, tra questi libri antichi».
Annuisco educatamente e sfiorando le copertine con un dito mi sposto in avanti fino a quando la mia attenzione vieneattratta da un libro ancora in ottimo stato, con la copertina in pelle e il titolo in caratteri dorati. Lo prendo in mano e sto per sfogliarlo quando sento il vecchietto,sempre con la sua vocina angelica, che mi dice:
«Ah… le poesie di Prévert, ottima scelta». E torna a sorridermi.
Apro il libro e sul frontespizio leggo una dedica, datata 28 agosto 2015, e sotto i versi di una delle più belle poesie del poeta francese, scritti con una matita rossa.
Alla mia adorata Elena. “Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte. Il primo per vederti tutto il viso, il secondo per vederti gli occhi, l’ultimo per vedere la tua bocca. E tutto il buio per ricordarmi queste cose mentre ti stringo fra le braccia”. Tuo per sempre. Gilberto.
Mentre il cuore comincia ad accelerare il suo battito, in preda a un’inspiegabile emozione, finito di leggere la dedica, subito decido di acquistare il libro. E l’omino, cercando in una scatola di lattale monete per darmi il resto, torna a guardarmisorridendo e ammiccando.
«Va bene così». Gli dico, rifiutando il resto che mi sta porgendo.
«Grazie, non se ne pentirà». Mi dice salutandomi. E io, non capendo se si riferisse al libro o al resto che gli ho lasciato, rinuncio a chiederglielo e con la curiosità di sapere chi siala Elena della dedica, gli domando dove avesse preso il libro, chi glielo avesse venduto.
«Chi ha tempo non aspetti tempo e sappia che chi cerca trova». Mi risponde il vecchietto, enigmatico e strizzandomi l’occhio,poi,girandosi sulle sue gambette storte, svanisce nel nulla.
Incuriosito dalla sua risposta, lo cerco tra la gente, ma non lo vedo più da nessuna parte. Sparito. Sembra essersi volatizzato nel nulla. Do un’alzata di spalle e con il libro stretto al petto,raggiungo di corsa Carla che intanto si è allungata sino al chiosco dei gelati.
Tornato a casa,riapro il libro e, riletta quella delicatadedica scritta a matita,comincio a sfogliarlo sino in fondo ma non trovo nessun indizio, nessun appunto, nessunoscritto che possa aiutarmia capire chi possa essere la beneficiaria della dedica.
Sto per richiudere il libro e spegnere la luce, quando dalle ultime pagine scivolano fuori dei foglietti. Li raccolgo e scopro che sono delle ricevute di pagamento, non proprio recenti, di una lavanderia che opera nella stessa città dove vivo io e mi chiedo a chi potessero appartenere quelle ricevute, a Elena o a Gilberto? Chi dei due si sarà servito di quella lavanderia per far ripulire le proprie cose?Rassegnato, infilo tra le pagine le ricevute e sto chiudendo il libro quando lo sguardo mi cade sulla quarta di copertina, su una piccola etichetta applicata sul prezzodi vendita e su cui c’è scritto il nome e l’indirizzo della libreria dove è stato acquistato il libro e subito, inspiegabilmente, sono nuovamenteassalito dal desiderio di scoprire chi sia questa donna, questa Elena, cosìtorno a rimuginare sulletracce trovate nel libro,che forse potrebbero aiutarmi a trovarla.
Come d’abitudine il sabato sera, Carla ed io ceniamo insieme in un piccolo ristorante del centro. Ma questa volta, però, sono di poche parole perché da quando ho acquistato quel libro ho la mente occupata dal desiderio di scoprire chi sia questa Elena.
Perché Elena si è disfatta del libro che ha tutta l’aria di essere un pegno d’amore? O magari lo avrà smarrito e allora ne soffrirà per la perdita? E se così fosse, come e in che modo quel volume è arrivato sulla bancarella di quel vecchietto?
«Graziano, sto parlando con te!» La voce un po’ alterata di Carla mi strappa bruscamente dalle mie riflessioni e, rendendomi conto che non ho ascoltato una sola parola di quello che mi sta dicendo, le rivolgo un sorriso imbarazzato.
«Si può sapere a cosa stai pensando?» Mi chiede stizzita, posando il tovagliolo sul tavolo.
«Scusami Carla, ero sovrappensiero. Cosa mi stavi dicendo?»
«Niente d’importante, ma cos’hai? Da qualche giorno ti comporti in modo strano. Hai qualche problema?»
«No. Nessun problema. Stavo solo pensando che domani potremmo andare a vedere quella mostra di Caravaggio. Ma tu, scusami, cosa mi stavi dicendo». Le torno a ripetere.
«Volevo ricordarti che domani andrò, da sola perché tu sicuramente non vorrai accompagnarmi, a trovare i miei in paese e perciò dovrò alzarmi presto. Chiedi il conto e andiamo via, per favore».
E così, nel mutismo generale e con la tensione che si può tagliare con il coltello,accompagno Carla a casa. E intanto,pensando che domani avrò la domenica tutta per me e che mi risparmierò, come sta succedendo semprepiù spesso, di sorbirmisua madre che parla dei benefici del matrimonio e della famiglia, un senso di sollievo mi pervade.
Rimasto solo, la mattina seguente mi alzo con il preciso intento di recarmi in quella libreria dove è stato acquistato il libro,anche seessendo domenica potrebbe essere chiusa.Quando arrivo, la libreria ha la serranda alzata. Spingo la porta e, appena entrato, un uomo sulla sessantina mi saluta cordialmente.
«Buongiorno». Rispondo sorridendo e posando il libro di poesie di Prévert sul bancone e poi gli chiedo se il libro è stato acquistato nella sua libreria. Lui lo esamina, lo rigira tra le mani e poi, riconoscendo il talloncino che copre il prezzo, mi risponde che sicuramente è stato acquistato da lui, ma ...
«… ma è un’edizione del 2013, come faccio a ricordarmi chi lo ha acquistato. Ma lei perché lo vuole sapere?» Mi chiede, restituendomi il libro.
E io gli riassumo in breve le circostanze in cui ne sono venuto in possesso e aggiungo, a costo di apparirgli un po’ stravagante, il mio desiderio di ritrovare il suo proprietario, probabilmente quella Elena della dedica.
«Come mai?» Mi chiede con tono incolore, ma facendo trapelare una certa curiosità.Io balbetto qualche spiegazione raccattata qua e là e quando lo saluto, lui aggiunge:
«Mi dispiace ma non possoaiutarla. Sa, di gente qui ne passa tanta e non ho un elenco della clientela, non ho alcun motivo per farlo».
Esco dalla libreria con la consueta delusione che mi prende ogni qualvolta non riesco a portare a termine il proposito prefissatoe, testardamente, riapro il libro per cercare le ricevute della lavanderia, anche se desisto dall’andarci perché sono sicuro che le lavanderie di domenica restano chiuse.Torno a casa e faccio delle ricerche su Google, sulle pagine bianche, su facebook, ma con il solo none di battesimo di Elena e Gilberto, non approdo a niente e allora rinvio tutto a domani.
Il lunedì mattina prendo il libro, che ormai mi segue ovunque, e mi avvio verso la lavanderia. Da dietro il bancone mi riceve una signora di mezza età, che appena entratodistoglie lo sguardo da quello che sta facendo e mi sorride.
«Desidera?» Mi chiede, inforcando gli occhiali.
Già, cosa desidero da lei? Che cosa posso chiederle? Se sa chi sia questa Elena?
Appoggio il libro sul bancone e le allungo le tre ricevute di pagamento della sua lavanderia, e intanto mi chiedo se questa signora sapràmai dirmi qualcosa in proposito. E confidando nella sua pazienza,comincio a raccontarle tutto, fino a esternarle il desiderio di trovare questa Elena.
La signora guarda il libro, mi ascolta, si toglie gli occhiali,sorride e, stranamente, non sembra sorpresa di sentire ciò che le ho detto e mi chiede se io conosco questa Elena.
«No, non la conosco. Ma è una mia curiosità, un desiderio che ho da quando sono venuto in possesso di questo libro». Le rispondo imbarazzato, e lei annuisce.
«Elena è una mia cliente e anche un’amica. Ci vediamo spesso perché lavora nell’agenzia immobiliare qui all’angolo». Mi rivela in tono complice,e poi prosegue:
«Elena e Gilberto stavano insieme. Si sono conosciuti qualche anno fa e sembrava che tutto filasse liscio, poi… non so nemmeno se faccia bene a raccontarle i fatti degli altri… comunque lei è rimasta incinta e Gilberto è sparito, l’ha lasciata». Conclude frettolosamente e scuotendo la testa, la signora.
«Perché l’ha lasciata?» Chiedo, più per sapere qualcosa in più su Elena che per sapere i motivi della loro rottura.
«Gilberto ha sempre scansato le responsabilità, all’epoca aveva quarant’anni, ma è sempre rimasto un bambinone. E quel libro che adesso tiene in mano, gliel’ha regalato lui quando è venuto a sapere che aveva perso il bambino. Elena ha sofferto molto per la perdita del bambino, ma anche per la fine della loro storia e per il comportamento di Gilberto, tanto che da quel giorno non ha voluto più sentir parlare di lui».
«E questa Elena, sa dirmi dove potrei trovarla, visto che lei la conosce così bene? Vorrei conoscerla e restituirle eventualmente il libro?» Le rispondo quasi supplichevole.
«Elena sta attraversando un periododelicato. È molto depressa e sola e, come mi ha confidato lei stessa, non vuole più saperne di legarsi a uomini che poi potrebbero farla soffrire. Comunque, se vuole proprio incontrarla, come le ho detto, la può trovare nell’agenziaqui all’angolo. Le dica pure che l’ho indirizzata io».Taglia corto la signora, appena delle clienti entrano in lavanderia.
Riconoscente la saluto e mi avvio verso l’agenzia, dove, prima di entrare, mi fermo davanti alla vetrina e fingo di leggere gli annunci di vendita e affittasi. Ora che tutto sembra a portata di mano, non so cosa fare. Adesso che il mistero potrebbe essere svelato non so decidermi. Comunque alla fine spingo la porta ed entro.
Una giovane donna, con una folta capigliatura nera, due occhi azzurro mare, distoglie lo sguardo dal monitor del computer e mi guarda sorridendo. Io mi blocco, non so più cosa fare e rimango impalato, con il libro in mano, davanti a lei.
«Le interessa acquistare o affittare?» Mi chiede,accavallando le gambe sotto la scrivania di cristallo.
«Nessuna delle due. Se lei è Elena, sono venuto qui per un altro motivo. Per restituirle questo. Credo che le appartenga». Rispondo tutto d’un fiato, porgendole il libro.
Lei lo osserva, poi alza la testa e a me sembra che stia impallidendo.
«Come l’ha avuto?» Mi chiede, con la voce che tradisce una forte emozione.
Con imbarazzo, ma di getto, le dico dove ho trovato il libro. Le parlo del vecchietto che me lo ha consigliato, le raccontodell’etichetta della libreria, delle ricevute della lavanderia, e infine le dico come sono arrivato sino a lei e del desiderio che avevo di conoscere la Elena della dedica.
Lei mi fissa incredula con i suoi immensi occhi azzurri, ed esclama:
«È assurdo! Io lo avevo gettato in un cassonetto dei rifiuti. Com’è potuto arrivare a lei?»
Allargo le braccia, come per dire che non ne ho la più pallida idea,e le ripeto di averlo trovato su quella bancarella di libri usati e che mi era stato consigliato da quel vecchietto.
«Non crede che sia un po’ troppo cresciuta per credere alle favole? Se è venuto qui per conto di Gilberto, se ne può tornare tranquillamente da dove è venuto. Buon giorno».
Non sapendo più come convincerla, allargo le braccia ma rimango seduto, separatoda lei solo dalla scrivania e dal libro che troneggia tra noi. Lei mi guarda dubbiosa, ma intuisco che forse alla fine potrebbe anche credere alla mia storia: di aver trovato il libro su quella bancarella. Ma subito si riprende e guardandomi con astio mi intima di andarmene e di portarmi via quel libro maledetto,di cui lei non sa cosa farsene perché lo ritiene pieno di menzogne e falsità.
Tuttavia, da cocciuto testone come sono, tanto dico e tanto insisto che alla fine si calma e comincia a parlare pacatamente di quel libro e del perché lo aveva gettato nella spazzatura.
Restiamo a parlare sino all’ora di chiusura, quando mi dice che deve salutarmi per andare a farsi un toast al bar. Allora mi faccio forza, mi sbilancio e le chiedo se posso invitarla a pranzo.
Dopo un mese, durante il quale Elena ed io ci siamo frequentati assiduamente e in cui ho anche trovato la determinazione di chiudere il rapporto con Carla, abbiamo scoperto di stare bene assieme e di volerci bene.
Una sera, dopo aver cenato in un ristorantino del centro, dove abbiamo festeggiato il nostro primo mese di frequentazione, invito Elena a fare una passeggiata sul lungomare, sino a quel chiosco di libri usati.Magiunti davanti alla bancarella, seduta sullo sgabello, a lato dei libri, c’è solo una signora tutta intenta al suo telefonino.
Mi guardo attorno per cercare il vecchietto, ma non lo vedo, di lui non c’è traccia.
«Mi scusi. Oggi non c’è il proprietario?» Domando alla signora che di rimando mi guarda stupita.
«La proprietaria sono io». Mi risponde, e poi torna ad abbassare la testa sul suo cellulare.
«Ma circa un mese fa ho acquistato un libro qui,e me lo ha vendutouna persona anziana. Un vecchietto basso e con i capelli bianchi e lunghi». Insisto io.
«Deve aver sbagliato zona o deve avere avuto un’allucinazione perché l’uomo che mi sta descrivendo era il vecchio proprietario, ma è morto due anni fa, e da allora ho rilevato io il chiosco». Mi risponde con una smorfia di commiserazione e tornando un’altra volta a slogarsi i pollici sui tasti del suo cellulare.
 



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