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LA NOTTE DI HALLOWEEN

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

2
NOV
2017

La notte di Halloween si stava avvicinando e i nostri due figli, Matteo di dodici anni e Andrea di dieci, ci chiesero se per quel giorno potevanoorganizzare una festicciola.
Perplessa, dissi loro che casa nostra era troppo piccola per contenere tutti i loro amici, ma che stavo pensandodi portarli da zia Rosy che abitava in campagna, in una cascina del seicento, ereditata da sua nonna. Una dimora di per se tetra e cupa, quasi spettrale, ma che sarebbe stato il luogo perfettoper trascorrervi la festa di Halloween.
Da tanto tempo zia Rosy ci pregava di andarla a trovarein campagna, e quella sarebbe stata una buona occasione, anche perché sapevo che non saremmo stati soli. In certe occasioni la zia invitava sempre tanta gente: i suoi amici più cari, i vicini, i bambini del posto. A lei piaceva circondarsi di gente allegra, sentire voci infantili risuonare allegreper casa.
«Mi annoio da morirequi da sola, in questa casa piena di fantasmi burloni». Ripeteva sempre la zia,quando ci sentivamo al telefono o ci chiedeva di andarla a trovare.
Così,quella sera stessa ne parlai aTiziano, mio marito. Gli dissi della richiesta dei nostri bambinie che io avevo pensato di portarli da zia Rosy. Tiziano ci pensò un momento e poi concordò con me che quella sarebbe stata la cosa migliore da fare.
Chiamai la zia l’indomani, che sapevo sempre pronta a organizzare qualche cosa di interessante per i ragazzi, per chiederle se potevamo trascorrere quel giorno da lei.
«Che bello… venite quando volete. Vi aspetto, ma non pensate di trovare nulla di speciale. Qui siamo in campagna e organizzerò solo una piccola festicciola perfar felici i bambini. Del resto qui l’atmosfera è già surreale di per se,altro che Halloween. Nel casolare i fantasmi non mancano di certo».Mi rispose la zia,felice di sapere che saremmo andati a trovarla.
Comunque, quando dicemmo ai ragazzi che saremmo andati a trovare la zia, non furono del tutto convinti che trascorrere la notte di Halloween in quella cascina sarebbe stata la cosa migliore. Noi cercammo di tranquillizzarli;il padre disse loro che non dovevano preoccuparsi, perché lazia si inventava sempre tutto, che le piacevaraccontare storie di fantasmi, ma lo diceva solo per rendere quel luogo più interessante e misterioso, ma che in realtà, in quel casolare, non si era mai verificatala presenza di fantasma o di suoi antichi antenati.
Zia Rosy, divorziata da anni, era un tipo piuttosto eccentrico. Lavorava per una casa editrice, traduceva testi antichi dal greco e latino e coltivava la passione per la scrittura. Scriveva romanzi gialli, che però non pubblicava mai e si accontentava di farli leggere ai suoi amici e a qualche conoscente, amante del genere poliziesco.
La storia dei fantasmi, che la zia diceva aleggiassero nel suo casolare, era nota a tutti, e quando ne parlavamo tra noi parenti,non potevamo fare a meno di metterci a ridere, ma c’era anche chi le aveva consigliato di andare da un medicoe farsi curare; altri le avevano detto di chiamare un prete efar benedire la casa. Poi c’era chi l’accusava di prendere troppo sul serio la faccenda dei fantasmi ma intanto, per paura di incontrarne uno,non andava mai a trovarla. E c’era chi, come noi, l’accettava così com’era. D’altronde, lo sapevamo, zia Rosy era sempre stata una persona eccentrica, un’estrosa signora che, indipendentemente dai fantasmi, è sempre vissuta fuori dagli schemi tradizionali e matrimoniali.
Quando la zia veniva in città, per i suoi impegni lavorativi, passava sempre a trovarci e spesso si fermava a pranzo da noi e a volte anche a dormire, e in quelle occasioni raccontava ai bambini storie cariche di mistero edifantasmi che si aggiravano al chiaro di lunanel suo casolare.
Tre di questi fantasmi, sosteneva la zia, erano dei suoi antenati e uno di essi si chiamava Ernesto, il cui spirito, secondo lei, si aggirava di nottenella soffitta del casolare, assieme ad altre anime perse, alla ricerca di una vecchiapietra filosofale.
A rendere ancora più inquietante la sua casa poi, c’erano anche gli scricchiolii dei mobili, delle scale di legno, le improvvise folate di vento che facevano sbattere le persiane anche quando erano chiuse. E poi si verificavano delle stranezze inspiegabili, come gli oggetti che sparivano all’improvvisoe che rispuntavano in tutt’altra parte.
Tizianososteneva che comunque da quelle finestre, essendo molto vecchie, potevano benissimo entrare spifferi d’aria anche quando erano chiuse. Eper quanto riguardava gli strani scricchiolii,diceva che senza dubbio erano provocati dei tarli, anche se zia Rosy sosteneva tutto il contrario, e cioè che i suoi mobili erano intatti, in quanto aveva chiamato un esperto di mobili antichi e gli aveva fatti sottoporre a unparticolaree specifico trattamento. Per gli altri strani accadimenti, sempre secondo mio marito,erano dovuti alla distrazione della zia e al disordine che regnava in quella casa.
«Sono sicura che trascorreremo una bella giornata dalla zia. Lei ha mille risorse per farvidivertire e poi cucina divinamente bene e sa fare certe torte…». Dissi ai ragazzi,il mattino del 31 ottobre,mentre salivamo in macchina per recarci da lei.
Andrea, il minore, mi guardava, sorrideva e sembrava eccitato.
«Chissà che bella storia avrò da raccontare ai miei compagni lunedì, quando tornerò a scuola. Altro che dolcetto o scherzetto…»
Ma Matteo, il più grandicello, lo guardò perplesso e gli rispose che avrebbe preferito trascorrere quel giornoa casa del suo amichetto Francesco, poi, per provocarlo e smorzare i suoi entusiasmi, aggiunse:
«Sono curioso di vedere che faccia farai, se davvero ti troverai davanti un fantasma».
«Non certo la faccia che faresti tu, che sei un fifone». Ribatté Andrea.
Quando stavamo per giungere adestinazione,sul trascolorare del giorno, il sole era ormai scomparso dietro compatte e nere nubi; tuoni e fulmini si stavano scatenando su di noi esi mise anche a piovere. All’improvviso si alzò il vento, che soffiando tra gli alberi produceva inquietanti e sinistri rumori, tanto che cominciai a preoccuparmi anch’io.
«Torniamo indietro. Torniamo a casa, se continuiamo su questa strada, finiremo col perderci». Disse preoccupatoal padre, Matteo.
«Sempre il solito fifone. Sembri un agnellino che ha perso la sua mamma. Bee, bee, bee, Ma non ti vergogni?» Ribatteva Andrea.
«Zia Rosy asserisce che a casa sua i fantasmi ci sonoveramentee io ci credo e ho paura. Va bene? E tu pensa per te».
Il padre, per far smettere quel battibecco cercò di rassicurarli, ripeté che tutto stava andando bene. Era solo brutto tempo e a fine ottobre era normale che si potesse verificare un temporale, che cadesse un po’ di pioggia, sentire qualche tuono e vedere il cielo rischiarato dai lampi.
Maio ebbi l’impressione che mentre guidava fosse teso e preoccupato anche lui.
Quando finalmente raggiungemmo il casolare, pioveva a dirotto etrovammo zia Rosy che ci stava aspettando sulla soglia del grande portone con gli ombrelli già aperti.
«Benvenuti nel mio regno incantato. Avete sentito quanti tuoni? Ve li ho mandati incontro io,per darvi il benvenuto».Ci disse,mentre si avvicinava alla macchinae ci porgeva l’ombrello.
Quando le sentirono dire così,i ragazzi si allarmarono e si guardaronoattorno impauriti, ma la zia, forse per tranquillizzarli,disse che erano già arrivate altre persone, che nel salone c’erano tantibambinie si stavano divertendo un mondo.
«Non me lo aspettavo davvero che sareste venuti con questo tempo. Esinceramente non credevo nemmeno che venissero tutti quelli che ho invitato, ma si vede che anche con la pioggia non hanno voluto rinunciare al weekend». Proseguì la zia, mentre mi abbracciava.
Entrati in casa,trovammo subito un’atmosfera festante. Le stanze al piano terra erano tutte addobbate come a carnevale. Festoni, palloncini, mille lanterne luccicanti e tante zucche illuminate riempivano il salone. Entrammo e finalmente i ragazzisi rasserenarono subito.
Matteo fu subito attirato da un gruppo di ragazzini che stavano maneggiando dei tablet, mentre Andrea si mise a giocare con dei coetanei che si erano travestiti da Harry Potter estavanomaneggiandodelle bacchette magiche lampeggianti.
Mi stavo finalmente rasserenata anch’io, non del tutto comunquea causa del brutto tempo. Tuttavia cercai di rilassarmi e cominciai a fareconoscenza con gli altri ospiti. Mi capitava di alzarmispesso per dare una mano alla zia che da perfetta padrona di casafaceva la spola tra la cucina eil salone e passavada un’ospite all’altro per assicurarsi che tutto stesse andando bene.
«Ma sei preoccupata per qualcosa?» Mi chiese la zia, mentre l’aiutavo a sparecchiare.
«No… no perché?» Chiesi.
«Guarda che ti conosco bene, sai. Te lo leggo in faccia che hai qualche problema. Forse c’è troppa confusione? È colpa del brutto tempo? Che cosa c’è che non va?» Insistette.
«Ma cosa dici? Va tutto bene. Ho solo un lieve senso d’inquietudine, ma non so definirlo. Sarà colpa del brutto tempo, di questo buio che c’è fuori».
«Capisco. Magari ti stai preoccupando per questa notte, e temi l’apparire di qualche antenato. In effetti, di notte girano per casa, ma non devi preoccuparti, non sono molesti».
Mi rispose sorridendo e dandomi un buffetto sulla guancia.
Per zia Rosy, parlare di spiriti e fantasmi eraprassi normale ma non per me, e allora cercai di non dare peso a quello che le avevo sentito dire e tornaiin salone, tra gli invitati.
Mi sedetti su una poltrona che trovai stranamente vuota e mentre conversavo con una deliziosa signora, vicina di casa della zia, un bambino fece cadere una lattina di aranciatae m’impastricciai tutta, sia le mani che il golfino.
Andai in bagno per ripulirmi, lasciando la porta socchiusa e togliendomi gli anelli e i braccialetti che appoggiai sul davanzale della finestra. Quando mi girai per riprenderli, però, sul davanzale trovai solo i due anelli, mentre i braccialetti si erano volatilizzati.
Mi stavo chiedendo dove potessero essere andati a finire quando, riflesso nello specchio,intravidi il volto di una donna che indossava una collana di perle. Mi spaventai moltissimo perché mi resi conto che quel volto non apparteneva a nessuna delle signore presenti.
Mi girai di scatto ma davanti alla porta non c’era nessuno e allora corsi dalla ziae le raccontai l’accaduto.
«Deve essere stata Regina, la sorella di Ernesto. Adora i braccialetti. Ma non ti preoccupare, vedrai che li recuperiamo». Mi rispose, sorridendo serafica. Infatti,quando tornai nel salone, li trovai sul bracciolo della poltrona, dove ero stata seduta. Come fosserofiniti lì, non riuscivo a spiegarmelo, ma mi rifiutavo di credere che ce li avesse portati un fantasma.
Cercai di dimenticare l’accaduto e mi rimisi a chiacchierare amabilmente con le altre signore, mentre i bambini, non riuscivano a trovare le loro mascherine di Halloween,continuavano a litigare.Dopo un po’ la zia mi chiamò da parte e mi chiese se per caso avessi spostato io le bottiglie di vino che aveva messo al fresco, e quando le risposi che non ne sapeva nulla, lei tornò a sorridere maliziosamentee disse che senz’altro le avevaprese Annibale, il fratello minore di Ernesto.A suo dire un altro fantasma, ancora più burlone degli altri.
Forse aveva ragione mio marito, quando diceva che zia Rosy era un tipo stravagante e oltremodo inquietante, pronta a parlare di fantasmi e spettri come se fossero persone reali.
Comunque, stavano accadendo cose decisamente troppo stranee inspiegabili, e ipotizzai che la zia lo stesse facendo apposta a far sparire gli oggetti, per divertirsi alle nostre spalle.
In serata, chiesi alla zia se in casa avesse qualche libro: prima di addormentarmi ho sempre avuto l’abitudine di leggerequalche pagina e mi ero dimenticata di portarmene uno da casa.
«Vai a vedere in biblioteca, sicuramente lì ne troverai uno di tuo gradimento». Mi rispose.
Inbibliotecaaccesi la tenue luce di un’abasciur e subito si diffuse intorno a me un’atmosfera a dir poco inquietante, ma cercai di non lasciarmi suggestionare e, scelto un libro, mi andai a sedere sul divano di velluto rosso.
Stavo aprendo il libro per capire di cosa trattasse, quando udii la porta dello studio aprirsi.
«Oh, mi scusi tanto, credevo che qui non ci fosse nessuno». Sentii dire dalla donna che stava entrando.
«Ma no, non si preoccupi». Risposi.
Poi mi girai e la riconobbi. Era proprio quella donna che avevo visto riflessa nello specchio del bagno.
«Stavo cercando la mia collana di perle. Perdo sempre tutto, e poi finisce che scambio per miei gli oggetti altrui. Sono così distratta». Aggiunse.
Zia Rosy poteva cercare di farmi credere quello che voleva, ma quella donna non poteva essere un fantasma. Era certamente una delle invitate, scelta dalla zia per farle recitare la parte. Non poteva essere altrimenti. Quindi, decisi di stare al gioco.
«Sono molto distratta anch’io». Le risposi.
«Allora non sono l’unica. Tanto piacere, mi chiamo Regina». E mi porse la mano.
Io ricambiai il suo gesto, anche se mi sembrò di stringere il nulla.
«Io sono Sandra, la nipote della signora Rosy. Lei è una delle invitate?» Chiesi.
«Non proprio. Abito nei paraggi, diciamo così». E parlando ricominciò a guardarsi intorno, fino a quando non trovò quello che cercava.
«Ecco qui la mia collana. Be’, ora me ne torno di là. Magari ci vediamo più tardi». E dicendo così, scomparve. Sì, proprio così, scomparve.
Riposi il libro e tornai nel salone, curiosa di vedere se quella donna fosse veramente lì, tra gli ospiti.
«Che hai? Non ti senti bene? Sei pallida». Chiese mio marito quando mi vide entrare, ma risposi che ero solo un po’ stanca e che avevoanche mal di testa.
Nel salone cercai con lo sguardo Regina, ma non riuscii a trovarla. In compenso la rividi al piano di sopra, quando andammo a dormire.
Nel corridoio, davanti alla porta dellanostra stanza, appeso al muro, c’era un quadro raffigurante proprio lei, Regina, conal collo la collana di perle e indossava un abito di velluto rosso, uguale alla stoffa del divano.
«Non l’avevo mai notato prima,nelle mie precedenti venute». Feci notare alla zia.
«Ti piace? Questo è il ritratto di Regina, l’ho da poco tirato giù dalla soffitta». Mi rispose,contenta che mi fosse piaciuto.
Me ne sarei andata via in quel momento stesso da quella casa, ma come potevo giustificarlo. I bambini erano stanchi e già dormivano nella loro stanzetta. Fuori era buio pestoe continuava a piovere.
Andai a dormire con i mille dubbi che mi stavano tormentando, ma per fortuna quella notte non successe nulla. Non udii strani scricchiolii ai mobili, né provenire del calpestio dalla soffitta, né folate di vento che facessero sbattere le persiane chiuse, ma il mattino successivo, con la scusa che avevo un sacco di cose da fare, chiesi a Tiziano di ritornare a casa appena si fossero svegliati i bambini.
 



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