MENU

Il DESERTO MUTA DI CONTINUO

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

4
DIC
2017

Sento arrivare un whatsApp sul cellulare e leggo: “Peccato che tu non sia qui, sarebbe stato bello e ci saremmo divertiti. Ci vediamoquesta sera”. E impiego pochi secondi per capire che il messaggio non è diretto a me. L’ha scritto per qualcuna che non sono io. Qualcuna che se fosse stata con lui, si sarebbe divertita. Qualcuna che gli manca.
Ho un senso di nausea, voglia di piangere, gli occhi già pieni di lacrime e quando il cellulare torna a vibrare e vedo il suo nome sul display, sono tentata di non rispondere. Ma cedo.
«Scusami Lisa. Scusami tanto. Ho sbagliatoa inviare il messaggio».
Il tono amaro della sua voce è calmo e sembra veramente costernato, ma io non ci casco.
«Un errore, Alberto?» Domando, facendo uno sforzo notevole per non far trapelare i miei singhiozzi.
«Si Lisa, scusami. Volevo mandarlo a una mia amica, Elisa, e ho sbagliato. Scusami ancora».
«Be’ allora… buona serata». Gli dico, con una tristezza che potrebbe riempire l’universointero.
Tornata a casa, mentre stiamo cenando, chiedo ad Alessia, mia amica e coinquilina, nonché sorella del mio ex ragazzo, se lo sapeva che il fratello si era messo con un’altra ma lei, ovviamente, nega e, posata la forchetta nel piatto, intreccia le mani sul tavolo e mi guarda con imbarazzo.
«Come lo hai saputo?» Chiede.
«Ha inviato a me un messaggio indirizzato a lei. E poi si è anche scusato. Perché non me lohai detto?» Le torno a chiedere.
«Perché è una cosa recente e poi non stanno proprio insieme. Si frequentano. Sai com’è fatto lui».
«Però tu lo sapevi. Te ne ha parlato».
«Solo perché ho insistito io. Guarda che è stato malissimo quando vi siete lasciati. E sinceramente questa volta vorrei che fosse quella giusta e che una volta per tutte mettesse finalmente la testa a posto».
Mi alzo, lasciando la cena a metà e sbattendo la porta mi vado a richiudere in camera mia.
Un mese dopo,rientrando dall’ufficio, sul mobile dell’ingresso trovo un biglietto di Alessia:
“Ricordati che questa sera arriva Alberto, e che resterà quicinque giorni. Se sei ancora decisa a non volerlo incontrare, non ti far trovare in casa. PS. Se vai dai tuoi, ti prego non portare con te Bessy”.
Come poteva pensare che me ne sarei dimenticata? Il trolly è già pronto sul lettoda quando ho saputo che Alberto sarebbe venuto a trovare la sorella eil mio cuore è in continuo subbuglio. Ma ho deciso, non ho nessuna intenzione di farmi trovare qui edargli la soddisfazione di credere che sto smaniando dalla voglia di vederlo. Per questi cinque giorni tornerò dai miei. Quanto al cagnolino sono sicura che sentirò la sua mancanza, ma so anche che con i fratelli Blandosi troverà benissimo.
Quando Alberto sarà qui, tra queste quattro mura, si diffonderà il suo odore; parlando con la sorella si espanderà la sua voce; quando telefonerà a Elisa, la sua nuova fiamma, le parole rimbalzeranno sull’intonaco delle pareti come l’eco di un ruscello di montagna. Accarezzerà il mio cane, si accomoderà sul mio divano; farà colazione con i miei biscotti. Qui dentro si consumeranno scene di quotidiana familiarità, ma io non posso fare altro che andarmene. Sarò lontana quando arriverà, perché ho deciso: non voglio incontrarlo.
Aspettando il momento di trovare la forza per andarmene, appoggiata al mobile della cucina,sto bevendo una tisana con Bessy incollato ai miei piedi che sta elemosinandoun biscottino, quando sento il rumore delle chiavi nella serratura, quel tipico rumore che significa che Alessia è tornata.
Bessy scappa verso la porta e io non ho nemmeno il tempo di chiedermi perché Alessia sia rientrata così presto, quando sento la voce di Alberto che saluta il cagnolino.
Posso far finta di non aver provato nessuna emozione, quando ho sentito la sua voce, ma il caso o forse più semplicemente la macchinazione dei due fratelli, mi haprovocato un piacere enorme,e risparmiato il rimpianto di non averloincontrato nemmeno per un minuto.
Dopo aver lasciato la tazza nel lavandino, faccio un profondo respiro e con il cuore che mi sale in gola, mi avvio verso l’ingresso.
Alberto con una mano sta accarezzando Bessy e con l’altra regge il biglietto di Alessia che ho lasciato sul mobile dell’entrata. Nel sentire il suono dei miei passi, debole e frusciante perché ai piedi ho ancora le pantofole, Alberto alza la testa dal biglietto e mi regala uno dei suoi sorrisi illuminanti, a cui io non soresistere e rispondo con trasporto.
«Tu crediche sia arrivato prima per sbaglio o che lo abbia fatto di proposito?» Mi domanda, dandomi un bacio distratto sulla guancia.
«Lo hai fatto di proposito, non c’è dubbio. Non sapevo che Alessia ti avesse dato le chiavi». Osservo.
«Le ho sempre avute». Precisa, con quel suo piglio arrogante che purtroppo comincia ad affiorare anche in momenti come questi.
«Be’… io stavo andando via». Gli dico, tanto per chiarire che non sono disposta ad approfittare degliintrighiche ha combinato con sua sorella.
Lo sguardo di Alberto cade sulle mie pantofole, ma evita commenti.
«Prima di andare…» esclama, e io mi trovo a sperare che mi offra il pretesto per restare.
«… me lo faresti un caffè?» Chiede, con la stessa cortesia che di solito usacon i baristi.
«Certo». Gli rispondo, con inaspettata soddisfazione. Lui lascia il suo borsone nell’ingresso e mi segue in cucina. La sua carnagione di solito chiara ora è abbronzata e i capelli sembrano ancora più chiari del solito, ma il suo atteggiamento non è cambiato, è rimasto quello di sempre.
Mentre metto sul fuoco la caffettiera, il suo cellulare inizia a squillare con quella suoneria odiosa. Guarda il telefonino e respinge la chiamata, ma proprio mentre sto posando sul tavolo la zuccheriera, vedo brillare sul display il nome Elisa.
«Come va con lei?» Chiedo, anche se è una domanda che subito mi pento di aver fatto.
«Non è che tra noi ci sia una vera storia…» Spiega con cautela, mentre sorseggia il suo caffè.
«E cosa c’è tra voi,allora?» Domando, compiaciuta che la mia voce non esprima commozione o curiosità morbosa, ma semplicemente voglia di conversare.
«Noi facciamo lo stesso lavoro, qualche volta usciamo assieme, nei fine settimana andiamo al cinema e poi finiamo la serata a casa sua».
Da quando lo conosco, Alberto non ha fatto altro che mettermi davanti tutti i suoi lati peggiori. Non posso certo rimproverargli di essere un ipocrita.
Lo ascolto e annuisco, e sono così vicina a lui che ho voglia di accarezzargli i capelli.
All’improvviso il suo sguardo si trasforma in qualcosa di intimo. Mi guarda, mi prende una mano, mi tira a se e mi baciasulle labbra. E io rimango lì, china su di lui, cercando di capire se quello che sto provando nei suoi confronti èancora amore.
Se è sorpreso dalla mia arrendevolezza non lo da a vedere,e continua a baciarmi fino a che ci ritroviamo in camera mia, sul mio letto. E tutto quello che c’è stato tra noi, mostra di essersi soltanto assopito, ma mai del tutto spento.
Trascorso un tempo indefinito, nella penombra della camera, controllo l’ora e lui, riemergendo da sotto le lenzuola, mi chiede cosa sto facendo.
«Non voglio che Alessia ci trovi così». Gli dico.
«Hai ragione». Mi risponde, e con estrema naturalezza mi chiede:
«Ti va di farlo anche domani?»
«Ora devo andare». Rispondo, con altrettanta falsa naturalezza, maintanto non riesco a reprimere un senso di malessere che affiora anche sulle mie labbra tremanti, perché trovo tutto così inverosimile.
«Pranziamo almeno assieme, domani?» Propone, ma ha un tono che sembra quasi un ultimatum.
Se Alberto ed io domani pranzassimo assieme, sono sicura che subito dopo finiremo di nuovo qui e allora è meglio che ci pensi bene prima di accettare. Ma tanto, so già come andrà a finire.
A volte la vita fa regali inaspettati, poi, però, ti accorgi che forse non erano veri regali, bensì trabocchetti, e questi giorni trascorsi con Alberto ne hanno tutto il sapore. Giorni in cui ci siamo dati l’una all’altro, come se non esistesse più un domani, ma il domani alla fine è arrivato e devo farci i conti.
Mi avvicino per dargli un bacio, e con sorpresa mi accorgo che indietreggia, come se volesse tirarsi indietro. Per assicurarmene ritento ancora, ma non mi sbaglio, si ritrae e rifiuta il mio bacio.
«Che succede?» Gli chiedo con voce sommessa.
«Basta. Abbiamo varcato il limite, e non avremmo dovutofarlo, e continuare così non sono sicuro sia la cosa giusta». Mi risponde, mentre io sprofondo nella voragine che si sta aprendodentro di me, eintanto mi ripeto che sono una stupida, una cretina, a voler continuare a illudermi. E mi sono anche stancata di pensare che Alberto sia migliore di come credevoche fosse, ocome lui vorrebbefarmi credere.
«È perché stai pensando a Elisa, che non mi vuoi più baciare? All’improvviso ti è salito il rimorso per averla tradita?» Gli chiedo ritraendomi.
«L’uomo è poligamo per natura. La monogamia è soltanto una convenzione della nostra società».
Risponde, e mi guarda come se le sue labbra avessero pronunciatochissà quale perla di saggezza.
Esco per portare fuori Bessy, e faccio una lunga e penosa passeggiata in attesa che lui se ne vada.
Quando rientro, Alberto e il suo borsone non ci sono più. È tornata invece, prima del solito,Alessia, e ora sta sfilandosi dal collo del cappotto la lunga chioma bionda,impigliatasi tra l’abito e la collana di finto corallo.
Non una parola sul fratello, quando vede i miei occhi rossi e che il suo borsone non c’è più.
Sappiamo tutte e due come sono andate a finite le cose, inutile parlarne, ecosì lasciamo che le oree i giorni continuino a scorrere come sempre, senza porci domande, né tantomeno dandoci delle risposte.
Sono trascorsi più di tre mesi da quando Alberto è andato via, e oggi ho saputo dalla sorella che sta tornando in città per sostenere un colloquio di lavoro, e il mio cuore torna ad agitarsi e a essere in subbuglio.
«Esci a quest’ora?» Le chiedo,maAlessia mi risponde che sono appena le ottodi sera e si deve vedere con un amico. La sua risposta non fa una piega, ma mi dispiace rimanere da sola, mi sento giù e vorrei un po’ di compagnia. Mi accontenterò di quella di Bessy.
Da qualche minuto sono sul divano che guardo la televisione con il cagnolino sulle ginocchia, quando sento il cellulare squillare: è una chiamata di Alberto.
«Sono qui. Sono arrivato». Esordisce.
«Qui dove?» Domando.
«Qui in città, sotto casa vostra. Se ti affacci mi vedi e se mi apri, salgo».
Non ho il tempo di riflettere, né di scegliere. Non posso lasciarlo fuori sino all’arrivo della sorella.
«Allora? Mi apri?» Incalza. La sua voce è come sempre persuasiva, ma ricordando le umiliazioni che mi ha fatto subire, ho l’istinto di chiudere a chiave la porta. Altro che farlo salire.
Ho imparato che i lussi che mi offre, poi li devo pagare sempre con gli interessi.
Mi affaccio e lo vedo. Quanto vorrei essermi veramente stancata di lui. Sapergli dire di no. Lui solleva lo sguardo, mi fissa con un sorriso dei suoi, di quelli che aprono tutte le porte,eio vado ad aprire.
«Ciao Lisa. Non volevi farmi salire?» Mi chiede, sfiorandomi le guance con due bacetti insignificanti.
«Sei la mia dannazione, come un rimpianto che va e viene. Ma se tu mi aiutassi, magari sparirebbe per sempre». Gli dico, girandogli le spalle e avviandomi verso la cucina.
«Lisa, io…»
«Te ne prego. Non dirmi niente». Lo interrompo subito io.
«Va bene. Volevo solo dirti che mi fermo in città solo due giorni. Ho degli appuntamenti importanti e sinceramente avevo anche voglia di vederti, ma non mi fermo qui a dormire. Quando vorrai, se lo vorrai, chiamami tu.
«E veramente lo hai lasciato andare via?» Mi chiede allibita Alessia, rientrata dopo la mia telefonata, fatta per biasimare il suo comportamento e per ripeterle che mi sono stancata dei suoi maneggi.
«Se avessi io un uomo che viene fin qui dall’Inghilterra per me, io me lo terrei stretto». Prosegue, facendo intanto la spola tra la sua stanza e la cucina.
«Non è venuto per me. Lo sai. Ha degli appuntamenti importanti». Le rispondo stizzita.
«Come sei puntigliosa. Cosa importa per chi è venuto. Di certo voleva vederti e questo conta. E se non sbaglio, l’ultima volta che è venuto ha fatto piacere anche a te rivederlo. Se vivessi più serenamente la tua esistenza, quante cose vedresti diversamente, Lisa». Mi dice, prima di infilare un’altra volta la porta di casa e sparire.
L’unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi, diceva Oscar Wilde. E allora finisco col riprendere in mano il cellulare e seleziono il suo numero. Lui non risponde subito ma richiama dopo un tempo che mi sembra lunghissimo e che trascorro camminando avanti e indietro.
È una telefonata breve e poi, giusto il tempo di una doccia,mi raggiunge con due pizze e una bottiglia di spumante.
«A cosa dobbiamo brindare?» Domando.
«Semplicemente a noi. Alla vita». Replica, mettendo la bottigliain frigo.
«Alessia mi ha detto della proposta di lavoro che hai ricevuto». Gli dico, dissimulando il mio stato d’animo e la voglia di lasciarmi andare subito.
«È una grande opportunità. Ma non ho ancora preso nessuna decisione». Mi risponde.
«E in quale luogo del mondo si collocherebbe questa grande opportunità?»
«Qui in Italia. Un’occasione del genere,un tempo mi avrebbe fatto saltare di gioia. Ma oggi è diverso, tutto si stempera nel disincanto. Una parte di me mi spinge ad accettare, ma l’aspetto peggiore è proprio quello di dover ritornare in Italia. Chi ha un minimo di buon senso oggi fuggirebbe da questo Paese, o non ci torna». Mi spiega, come se le sue affermazioni fosserodettate dall’oracolo.
«Ne parli come se l’Italia fosse la Libia». Gli rispondo, con l’acredine che mi coglie quando qualcuno ferisce il mio orgoglio nazionale.
Più avanti, ho modo di sapere che se accettasse l’incarico, rivestirebbe una posizione molto importante in quella multinazionale e che, di fatto, non esagera quando la definisce una grande opportunità.
Ma è avaro di parole, come se volesse rimandare il momento della scelta, senza chiede il mio parere al riguardo, e allora penso che, appena si troverà faccia a faccia con la sorella, ne parlerà con lei.
«Mi dispiace per come mi sono comportato la volta scorsa». Mi butta lì, cambiando discorso e alzandosi per andare a prendere lo spumante dal frigorifero.
“Attenta Lisa, non cascarci un’altra volta”, mi dico mentalmente.
«È stata un’azione indegna,respingermi in quel modo. Un’umiliazione cocente». Gli rinfaccio.
Alberto abbassa lo sguardo, ho l’impressione che non riesca a esprimere ciò che vorrebbe dire. E per questo mi guarda in silenzio, ma io non lo esorto a parlare.
Mangiamo svogliatamente la pizza ormai fredda ebeviamo lo spumante ancora caldo. In una serata che si sta esaurendo senza più aspettative o emozioni, tanto che finiamo col parlare di cose senza interesse, almeno da parte mia.
Non si ferma, preferisce andare a dormire in albergo. E tra noi è ritornataa farsi strada quella incommensurabile distanza che ormai si può calcolare in anni luce.
Al momento dei saluti, ci abbracciamo per un tempo così lungo da permettermi di percepire e assaporare distintamente quanto sia bello stare tra le sue braccia. Poi va via, e un sorriso incerto,mandatomi dall’ascensore, è l’ultima immagine che mi regala, che mi è
 



Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor