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CAMBIARE IL FINALE

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

21
DIC
2017

Tutto accadde quando frequentavo il liceo e sognavo di diventare una scrittrice di successo, e vedevo già i miei romanzi in cima alle classifiche mondiali. Mi piaceva scrivere novelle che poi facevo leggere alle mie amiche. Ed ecco perché, quando la professoressa d’italiano, poco prima di Natale, invitò tutta la classe a scrivere dei racconti di fantasia per poi, scelti i migliori, farli partecipare a un concorso letterario indetto da una casa editrice, io ne fui subito entusiasta. 

La professoressa ci spiegò che gli insegnanti d’italiano, dei vari licei classici della provincia, avevano deciso di far partecipare al concorso tutte le classi del penultimo e ultimo anno, e che i lavori meritevoli sarebbero stati inviati alla casa editrice. Inoltre, gli altri racconti sarebbero stati premiati con dei libri messi a disposizione dal provveditorato agli studi.

«Ci mancava anche il concorso letterario, come se non bastassero i compiti da fare a casa!» 

Sbuffò la mia compagna di banco Silvana, quando sentì la proposta della professoressa.

Silvana era più portata per la matematica, e dover mettere giù anche un semplice tema, per lei era sempre stato un’impresa, figuriamoci inventarsi una storia intera. Quanto a me, che non ero certo a corto di fantasia, ricordo che già durante le lezioni cominciai mentalmente a elaborare una trama che poi, quel pomeriggio stesso, a casa, iniziai a buttare giù e nel giro di due settimane portai a termine. La protagonista si chiamava Melania e più andavo avanti con il racconto più m’immedesimavo in lei, e ogni volta che creavo un nuovo personaggio e lo descrivevo fisicamente, lo vedevo apparire nitido e chiaro davanti ai miei occhi.

La storia, ambientata nell’Ottocento, iniziava in una giornata piena di sole, con Melania, la protagonista, con i capelli neri raccolti in una treccia adagiata sulla testa, che camminava sul fianco della collina e teneva per mano la sua figlioletta di quattro anni. Poi continuavo raccontando il suo passato, che non era stato né facile né sereno ma intriso di solitudine, miseria e cocenti delusioni. Infatti, quando aveva sedici anni, sua madre, vedova e senza mezzi di sostentamento, l’aveva data sposa a un ricco possidente del luogo e Melania fu costretta a sottostare alla volontà materna. Il marito, vedovo anch’esso, era molto più vecchio di lei, ma essendo una persona ricca, Melania rimase affascinata dalla sua nuova e lussuosa casa, dai gioielli e dai vestiti che il marito le donava, nonché del suo ruolo di moglie di un facoltoso proprietario terriero, rispettato e riverito da tutti. 

Ma ben presto si accorse che il marito era veramente troppo vecchio per lei e che la sua mentalità era chiusa e antiquata. E così, erano arrivati i primi litigi, che con il passare del tempo diventarono sempre più frequenti. Alla fine il marito le aveva rivelato di non averla mai amata e di averla sposata solo perché gli serviva una donna giovane che gli governasse la casa e che gli desse un figlio, al quale trasmettere il suo titolo nobiliare e le sue immense proprietà. 

Però la moglie non rimaneva incinta e così il loro rapporto andò incrinandosi sempre più. Il marito cominciò a trattarla male, a lasciarla sempre più spesso sola. Melania si sentì trascurata e sempre più annoiata, e lasciò che accadesse l’inevitabile.

Quando nel porto giunse una nave spagnola e ne scese un giovane ufficiale, lei se ne innamorò subito. Il loro fu un amore istintivo, totale, travolgente e quando la nave ripartì, senza avvisare nessuno, tanto meno il marito né la madre, Melania seguì in Spagna il suo giovane ufficiale, il quale, una volta a casa, la presentò ai parenti e amici come la sua legittima sposa. Melania si era adattata subito alla sua nuova vita e aveva dato alla luce una bellissima bambina. Ma, nonostante fosse molto innamorata del suo uomo, in Spagna l’esistenza non era del tutto serena. Il giovane ufficiale, come gli altri uomini dell’equipaggio, stava lontano da casa per mesi interi e lei si sentiva sempre più sola. Inoltre le donne del posto non avevano mai accettato del tutto “la straniera”, anche perché avevano intuito che Melania e il giovane ufficiale non si erano mai veramente sposati. Lei, a ogni modo faceva di tutto per andare d’accordo con tutti e cresceva la sua bambina con amore, cercando di andare d’accordo con tutti e di dare nell’occhio il meno possibile.

A quel punto del racconto, mi ricollegavo alla scena iniziale, a quel giorno pieno di sole che Melania e sua figlia stavano sulla collina a raccogliere fiori. La bambina era poco distante dalla madre quando Melania, alzando lo sguardo, vide delle figure che avanzavano verso di lei e una di esse era suo marito. Infatti, lui era riuscito a trovarla e ora, accompagnato dai suoi sgherri, stava avanzando verso di lei con espressione minacciosa. La raggiunse mentre era ancora seduta sull’erba, con il grembo pieno di fiori. Il marito la guardò dall’alto in basso, con un’espressione di disprezzo e quando Melania cercò d’alzarsi lui, colpendola in pieno viso con uno schiaffo, la fece ricadere a terra. Melania si portò la mano alla guancia e con lo sguardo cercò di incrociare quello della figlia che impietrita, a due passi da lei, la stava osservando. Il marito a quel punto fece cenno d’intesa ai loschi figuri che erano con lui e trattenne la bambina che cercava di avvicinarsi alla madre.

Melania morì in quel prato, sommersa di fiori, pietre, calci e percosse. L’ultima cosa che riuscì a vedere fu sua figlia che, con il volto pietrificato e pieno di lacrime, cercava di svincolarsi dal vecchio marito, che la tratteneva, stringendola con le braccia. 

«Hai scritto una bella storia, ma perché hai scelto un finale così triste?» Commentò la mia amica Silvana, quando gliela feci leggere.

«Ti devo confessare che rileggendo la storia, anch’io ho trovato il finale molto triste, ma non mi andava di cambiarlo perché l’ho trovato realistico, almeno per quei tempi. D’altronde, anche se la storia è scaturita dalla mia fantasia, a un certo punto i personaggi mi sono sfuggiti di mano e hanno deciso da soli di continuare a scrivere la propria parte». Le risposi, non sapendo nemmeno io perché avessi scritto un racconto dalla trama tanto sventurata. 

Ma forse, anche se la trama era puramente di fantasia, Melania rappresentava il mio stato d’animo di allora: quando desideravo solo essere felice. E suo marito, che alla fine l’aveva uccisa, probabilmente rifletteva nel mio subconscio tutti gli ostacoli e le difficoltà che incontravo in quel periodo. Primo fra tutti, la rottura con il ragazzo di allora (il mio primo amore), poi la separazione dei miei genitori e le conseguenti restrizioni economiche che m’impedirono di continuare gli studi. 

Ma se fino a quel momento era ancora tutto nella norma e non c’era nulla di strano, fu ciò che accadde in seguito che mi sconvolse. I fatti misteriosi iniziarono subito dopo che consegnai il racconto alla professoressa d’italiano. Infatti, un pomeriggio, mentre stavo andando in giro alla ricerca dei regali di Natale, fermatami davanti a un negozio di abbigliamento, riflessa nella vetrina, vidi quella giovane donna: la sua immagine la riconobbi subito. Era Melania, ed era esattamente come l’avevo descritta nel racconto: il volto smagrito, pallido, le guance scavate, la treccia annodata sulla testa e gli occhi arrossati.

Ma com’era possibile, mi chiesi. Melania era solo frutto della mia fantasia, non poteva essere lì, dietro di me. Ero pietrificata dalla paura, senza il coraggio di voltarmi, mentre lei, attraverso la vetrina, continuava a guardarmi seria. Dopo un paio d’interminabili momenti, trovai la forza di girarmi, ma Melania non c’era più. Era sparita.

«Ti sei talmente compenetrata in quel racconto che te la sarai immaginata». Fu la conclusione di Silvana, quando le parlai dell’episodio accadutomi la sera prima.

«Non lo so, può darsi, ma quella donna mi è parsa all’improvviso ed era così reale e identica a Melania, come l’avevo immaginata e descritta, che mi ha fatto paura». Le risposi.

«Appunto, dici che era identica al tuo personaggio di fantasia, perciò non può essere stato altro che il frutto della tua immaginazione». Mi fece notare lei, cercando di tranquillizzarmi.

Mi sforzai di credere che fosse realmente così. E con il passare dei giorni finii per crederci davvero, finché non accadde una seconda volta…

Era una serata fredda e piovosa e, mentre mi stavo recando a casa dei nonni, quella figura la vidi di nuovo. Melania era ferma sul lato opposto della strada e mi stava guardando proprio come la volta precedente, muta e seria. Nonostante la scarsa illuminazione, riuscii a vederla bene e stranamente, sebbene stesse piovendo a dirotto, notai che il suo volto e i suoi abiti erano inspiegabilmente asciutti. Appariva come nell’immagine che avevo descritto quando stavo scrivendo l’ultimo capitolo del mio racconto, nel quale Melania, prima di morire, vedeva a pochi passi da lei la figlia che, piangendo disperatamente, cercava di divincolarsi dalle grinfie di suo marito.

Ricordo che rimasi impietrita, incerta se tornare indietro o fuggire. Mi tremavano le gambe ma trovai la forza di chiedere:

«Chi… chi sei? Cosa vuoi da me?» Ma la donna rimase muta, e continuò a fissarmi con un’espressione triste e implorante. Poi, dall’angolo della strada sbucarono delle persone e lei, come d’incanto, scomparve. Arrivai a casa dei nonni che ero stravolta.

«Ti senti bene Lucia? Sei pallida. Hai l’aria di chi ha appena visto un fantasma». Osservò mia nonna. 

Quella volta preferii non raccontare nulla di ciò che era successo, nemmeno a Silvana, certa che mi avrebbe ripetuto le stesse cose della volta precedente. E per paura che mi dicesse che vivevo sempre con la testa tra le nuvole, e anche perché ero certa che non mi avrebbe mai creduto, non dissi niente nemmeno a mia madre. 

Trascorsero altri giorni e poi accadde un altro fatto inspiegabile e, se possibile, ancora più inquietante dei precedenti.

Mancava ormai poco a Natale, e mi trovavo in merceria per dare una mano a mia madre. Nelle prime ore del pomeriggio non veniva mai nessuno e così ero da sola. Ricordo che stavo di spalle all’ingresso quando sentii suonare il campanello posto sopra la porta.

«Arrivo subito». Dissi, finendo di sistemare gli ultimi arrivi.

Non appena mi girai, mi si spense il sorriso, il cuore cominciò a battermi forte, come se volesse uscirmi dal petto, e le gambe cominciarono a tremarmi. Era Melania. Questa volta non c’erano dubbi, l’immagine non era riflessa in un vetro, né avvolta dal buio, né ferma sotto la pioggia battente. Melania era lì, davanti a me e mi stava guardando supplichevole, senza dire nulla.

«Si può sapere chi sei? Cosa vuoi da me? Sparisci… Vatteneee». Riuscii a gridare con quanto fiato avevo in gola. E questa volta, per la prima volta, Melania parlò e sembrava che la sua voce giungesse dall’oltretomba.

«Soltanto tu hai il potere di farmi sparire e di non farmi tornare più, però, prima, devi dirmi che fine a fatto mia figlia. Non ti chiedo nulla per me, mi hai fatto morire a bastonate, calci e percosse, ma non m’importa. Ma mia figlia no, lei ha solo quattro anni, è ancora troppo piccola, innocente e piena di voglia di vivere. Non puoi far finire il racconto in quel modo brutale, lasciando mia figlia sola tra le grinfie di quel mostro di mio marito. Che fine ha fatto lei? Tu nel racconto non lo dici… Ma se non vuoi più vedermi, se vuoi essere lasciata in pace, prima del 25 dicembre devi riscrivere il finale. Stanno arrivando le feste e anche lei, come tutti i bambini, ha diritto di aspettare Babbo Natale, ricevere i suoi doni. Non ti chiedo niente per me, ma fallo per lei. Te ne prego».

Concluse, senza mutare la sua espressione severa.

«Cosa dovrei fare, io?» Chiesi, urlando ancora più forte.

Richiamata dalle grida, mia sorella Raffaella, che in quel momento stava entrando in negozio, accorse subito e mi chiese preoccupata:

«Con chi stai urlando?» 

«Con lei…» Balbettai sconvolta.

«Con lei chi? Qui non c’è nessuno». Ribatté confusa e perplessa, mia sorella.

Nel negozio non c’era nessuno e pensò a una mia crisi di nervi.

«È tutto a posto Lucia… calmati. Vuoi che chiami la mamma?» Ma io le risposi di no, anche se non era affatto tutto a posto. 

Quello accaduto prima dell’arrivo di mia sorella, era stato un episodio reale, e non uguale ai precedenti, e tutto sembrava confermare che Melania, o chiunque fosse quella donna, non era affatto il frutto della mia immaginazione, ma una donna in carne ed ossa. Quando era entrata in negozio, il campanello aveva suonato, l’avevo vista, e poi mi aveva anche parlato.

Per paura di esser presa per pazza, continuai a non confidarmi con nessuno, ma chi mi conosceva e mi stava vicino, si accorse del mio disagio.

«Buon giorno Lucia, ma che cosa c’è che non va? Ti vedo così strana. Tra poco è Natale e tu sei così triste. Ti va di dirmi cos’hai?» Mi chiese la professoressa d’italiano, un giorno che ci incontrammo per strada e io le stavo passando accanto,senza accorgermi di lei.

Sapevo che la professoressa era una persona molto sensibile e comprensiva e, d’altronde, io non ne potevo più di tenermi tutto dentro, così decisi di raccontarle quello che mi era capitato. Ci andammo a sedere in un caffè e ne parlai con lei. L’insegnante mi ascoltò con attenzione, senza far trapelare incredulità o ironia, e alla fine mi disse che io avevo la stoffa della brava scrittrice, e come tutte le brave scrittrici mi ero immedesimata fin troppo in quello che avevo scritto.

«… Sai cosa penso dovresti fare? Dovresti riscrivere il finale del tuo racconto. Dovresti far terminare la storia in modo meno tragico. Magari, se lo facessi, Melania o chiunque sia quella donna, troverebbe finalmente pace e tu smetteresti di ritrovartela davanti. C’è ancora tempo prima della selezione del concorso, ora siamo tutti in vacanza e i racconti sono ancora al vaglio della commissione scolastica. Tu sei stata una delle prime a consegnare il lavoro e, se vuoi, puoi riscrivere il finale e così rasserenare la tua protagonista e anche te. Il 7 gennaio ti restituisco il vecchio racconto e mi aspetto che tu mi porti quello nuovo. Buon Natale, Lucia». Mi disse la professoressa, sorridendo e accarezzandomi i capelli, prima di alzandosi.

La sua era stata proprio un’ottima idea e, una volta tornata a casa, mi chiusi in camera mia e, cancellata subito l’ultima pagina del racconto, mi accinsi a riscrivere il finale della storia, perché il Natale era ormai alle porte. 

Raccontai che Melania era sulla collina e quando vide avvicinarsi il marito, si alzò e gli andò incontro chiedendogli perché si trovasse lì, perché l’avesse cercata. Lui le rispose che la stava cercando perché era sua moglie e voleva che ritornasse a casa con lui, ma lei, scuotendo la testa, gli rispondeva che non se la sentiva di tornare con lui. Era giovane, e si era rifatta una vita con l’uomo che amava e che l’amava. Lo pregava di essere comprensivo e di perdonarla per essere fuggita in quel modo, e il marito, vedendola così serena e felice, con accanto la sua bambina che chiedeva alla madre di essere presa in braccio, comprese e perdonò.

Il mio racconto lo terminai così, con la bambina che raccoglieva dei fiori e li donava al signore che salutando la madre gli spuntarono le lacrime agli occhi.

Non ho mai saputo di preciso se fu perché modificai il finale del racconto proprio la vigilia di Natale, o per quale altro motivo, ma da quel giorno Melania smise di farsi vedere da me e ancora oggi, dopo tanti anni, quando sta per arrivare Natale, penso ancora a quelle apparizioni rimaste avvolte nel mistero e, anche se possono sembrare incredibili, io sono certa che siano realmente avvenute. Chissà se anche Melania, in questi giorni, sarà indaffarata a cercare i regali da far trovare sotto l’albero a sua figlia.



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