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IL RACCONTO/APPUNTAMENTO AL TRE MARZO

Pubblicato da: Categoria: IL RACCONTO

1
OTT
2018

Le tapparelle abbassate, luci spente e la stanza nella penombra. Sola in camera da letto, Teresa si stava chiedendo come fosse potuto accadere tutto ciò. Ma era successo. Il marito l’aveva insultata, lei aveva risposto a tono ed era stata strattonata, picchiata e schiaffeggiata. Alla fine si era sentita le mani attorno al collo ed era scivolata a terra quasi svenuta.
Ormai, da quando aveva perso il lavoro, le sfuriate del marito si stavano ripetendo sempre più frequentemente e il motivo era sempre lo stesso: la gelosia, unita alla sua aggressività che non riusciva più a controllare.
Lei aveva cercato di farlo ragionare, dirgli che non aveva nessun altro, spiegargli che amava solo lui, ma non c’era stato verso, il marito l’aveva picchiata ed era uscito sbattendo la porta.
Dolorante e piena di lividi cercò di rimettersi in piedi, ma non riuscendoci si lasciò cadere sul letto e i ricordi, sempre pronti ad affiorare in superficie nei momenti più cupi, tornarono a tormentarla. Chiuse gli occhi e si trovò ad andare a ritroso nel tempo.
Aveva tredici anni quando per l’ennesima volta si era nascosta il viso sotto le lenzuola per non sentire le imprecazioni del padre e le grida di dolore della madre. Ma quella sera non ce l’aveva fatta a rimanere sotto le coperte. Le grida della madre, sempre più strazianti, l’avevano spinta a uscire dalla stanza.
La prima cosa che vide fu la madre china, con le braccia protese in avanti che cercava di proteggersi. Aveva il viso stravolto, le labbra gonfie e stava indietreggiando. Aveva gli occhi pieni di lacrime e si lamentava. Cercava di non gridare, ma quando i colpi la colpivano sul viso o sulla testa, le grida le sfuggivano dal profondo.
Alla luce soffusa della televisore, riuscì a vedere anche il viso stravolto e pieno di rabbia del padre. Era ritto davanti alla moglie e aveva le braccia alzate. Continuava a insultarla, a picchiarla, mentre la madre, indifesa e con le spalle appoggiate al muro, coprendosi la testa, cercava di parare i colpi che le arrivavano da tutte le parti. Non si reggeva in piedi, le sanguinavano le labbra e il viso era tutto un livido bluastro.
«Ho visto come stavate parlando. Gli sorridevi, troia. Mi vuoi dire chi è quello stronzo?»
Continuava a ripetere il padre, mentre seguitava a picchiarla.
«Non so di chi parli. Non capisco a chi ti riferisca. Io in quel bar ci vado per lavorare, e non posso certo fare la musona con i clienti, verrei licenziata». Gli ripeteva stremata la moglie.
Teresa, ferma sui gradini, sentì arrivarle in faccia l’alito puzzolente e d’alcool del padre.
Impietrita, terrorizzata, immobile a metà delle scale, guardava il padre che continuava a colpire la madre. Lo vedeva sollevare i pugni e poi colpirla, e colpirla ancora.
Incapace di muoversi, rimase lì, vergognandosi del comportamento del padre ma anche della sua incapacità di reagire. Nessuno dei due l’aveva ancora vista e avrebbe voluto tirarsi indietro, tornare nella sua stanza, chiudersi a chiave e tirarsi le coperte sin sopra la testa.
Sentiva il rimbombo degli schiaffi, i brevi e sommessi lamenti della madre, il respiro sempre più ansimante del padre che continuava a inveire e picchiare, e allora intervenne.
«Basta. Per favore, smettila papà». Si ritrovò a gridare, con gli occhi pieni di lacrime e nemmeno sicura di essere stata lei a pronunciare quelle parole.
Il padre, lasciando scivolare il braccio lungo il fianco, si girò verso la scala e la guardò torvo, e sul viso gli comparve un’espressione di rabbia, ma Teresa non abbassò lo sguardo e continuò a fissarlo.
«Torna di sopra». Le gridò il padre.
«Ti piace picchiarla, vero? Ti fa sentire un vero uomo, forte e invincibile. Ma io ti odio».
Gli rispose la figlia.
Cercando di tamponare con la manica del pigiama il sangue che le usciva copioso dal naso, la madre si svincolò dal marito, fece un passo avanti e la pregò di tornare in camera sua.
«Non posso tornare in camera mia, mamma. Anch’io vivo in questa casa, e non posso più sopportare di vedere come ti tratta».
Poi allungò il dito verso il padre e con rabbia gridò:
«Non azzardarti più a toccarla, altrimenti ti faccio vedere io, e sarà peggio per te».
Il padre emanò un rantolo, con una manata allontanò la moglie e, giunto ai piedi della scala, si rivolse alla figlia:
«Tu taci e torna in camera tua, se no me la prendo anche con te». E dicendo così sollevò un braccio nell’atto di schiaffeggiarla.
«No, ti prego no Danilo. E tu Teresa torna in camera tua. Fa la brava». Le ripeté la madre, mentre si trascinava verso di lei. Ma il marito protese di nuovo un braccio e l’afferrò per i capelli.
«Tu resta qui, perché con te non ho ancora finito».
«Lasciala stare, ti dico, e ricordati che non mi fai paura». Gli gridò tra le lacrime la figlia.
«Teresa, ti prego, torna in camera tua». Le ripeté la madre, cercando di trattenere il marito che si stava avventando su di lei, ma non riuscì a fermarlo.
Quando il padre le torse un braccio dietro la schiena e la fece girare su se stessa, Teresa sentì un dolore lancinante alla spalla, ma s’impose di non gridare, di non lamentarsi.
«Torna in camera tua, ti ho detto, Se no te lo spezzo». Le gridò il padre, storcendole ancora di più il braccio, e questa volta la figlia lasciò andare un grido di dolore.
«Lasciala stare Danilo. Non prendertela con la piccola. Lasciala stare ti prego».
Teresa si girò e vide la madre ai piedi della scala che, aggrappandosi alla ringhiera, cercava di rialzarsi. Ma il padre, lasciando la presa della figlia, si girò verso la moglie e le dette uno spintone e la fece cadere all’indietro.
Approfittando di quel momento, Teresa spinse di lato il padre e corse in aiuto dalla madre, ma lui la trattenne e bruscamente la ricacciò indietro.
«Teresa va a dormire. Vai in camera tua, ti prego, non stare qui». Le ripeté ancora una volta la madre, sempre carponi per terra e con l’espressione sottomessa di chi è consapevole di dove accettare il proprio destino.
Teresa guardò la madre, e capì quello che doveva fare. Superò il padre senza guardarlo e in fretta risalì i gradini. Le faceva male il braccio, aveva il viso rosso di rabbia e per la vergogna. Una vergogna che neppure lei sapeva spiegarsi.
Tornata in camera sua prese il cellulare e si sedette sul letto. Di sotto nessuno parlava più. Sentiva solo un lieve lamento, e allora tornò ad affacciarsi.
La madre era in fondo alla scala, in ginocchio e gemeva. Aveva la gonna sollevata sopra la schiena, mentre il padre, dietro di lei, con i pantaloni abbassati, stava emettendo ruggiti bestiali.
Teresa fissò la madre che in quel momento alzò la testa. Aveva gli occhi gonfi, pieni di lacrime, e con un’angoscia che non le aveva mai visto prima, la vide formare con le labbra la parola: “Vattene“.
«Vattene». Ripeté senza emettere un suono, e subito dopo cadde bocconi per terra.
Il marito l’aveva spinta in avanti e fatta cadere.
Teresa tornò in camera sua e, cercando di non farsi sentire, formò il numero delle Forze dell’Ordine.
La madre venne portata subito in ospedale e il padre arrestato, e da quel giorno Teresa non volle più sapere niente di lui. Lo rivide solo una volta, al processo.
E ora, dopo tanti anni, era successo anche a lei, il marito l’aveva picchiata. E tutto successe quando lui cominciò a insospettirsi per lo strano comportamento della moglie.
Si stava avvicinando il tre marzo e Teresa pensava solo all’appuntamento che aveva con Alessio. Un appuntamento che si ripeteva una sola volta l’anno: il tre marzo.
Lo aveva conosciuto per caso, alla festa di nubilato di una sua amica, ed erano subito finiti a letto. Tra loro c’era stata solo una notte infuocata e nessun coinvolgimento sentimentale, ma era bastata per far nascere in loro il desiderio di rivedersi. Teresa era sposata e anche lui aveva una compagna ma, quella sera, a quella festa, vuoi per aver bevuto troppo, vuoi per l’atmosfera goliardica che si era venuta a creare, vuoi perché i rispettivi partner non erano presenti: successe. Terminata la festa, invece di tornare a casa, Teresa andò con Alessio nel primo hotel che trovarono sulla strada, e lì trascorse gran parte della notte.
Prima di separarsi non si dissero niente, né si scambiarono i numeri telefonici e non rivelarono nemmeno i loro nomi.
«È stato bello così. Un bel ricordo che porterò sempre nel cuore, ma non voglio complicazioni. Sono sposata e amo mio marito». Le disse Teresa mentre si rivestiva.
«Ma io vorrei rivederti». Le rispose Alessio.
«Anch’io lo vorrei, ma è meglio di no. Quello che è successo qui dentro, in questa stanza, deve rimanere qui. Quando saremo usciti da quella porta, promettimi che non mi cercherai e non farai niente per trovarmi».
«Potremmo fare una cosa, però» le suggerì Alessio.
«Cosa?» chiese Teresa.
«Oggi è il tre marzo, giusto? Ieri sera ci siamo conosciuti e subito abbiamo fatto l’amore. Segno del destino, non trovi? Allora ti propongo un patto, quello di rivederci qui il prossimo tre marzo. Sempre qui, in questa stanza d’albergo e per sempre».
«Vederci tra un anno? Il prossimo tre marzo e i successivi? Ma che senso avrebbe?» gli chiese stupita Teresa.
«Nessun senso, ma io il prossimo tre marzo, e ti dico anche l’ora: alle cinque del pomeriggio, sarò qui in questa stanza e ti aspetterò. Lascio a te decidere, se incontrarmi ancora o non vedermi mai più».
Tra loro c’era stato questo tacito accordo: alle cinque pomeridiane di ogni tre marzo, sarebbero tornati a vedersi in quella stanza d’albergo e lì si sarebbero lasciati andare, uno nelle braccia dell’altra, per tornare a rivivere l’eccitazione della prima volta.
Non si dissero più niente. Dal portiere ritirarono i propri documenti e fuori dall’hotel si salutarono come due estranei, con una stretta di mano.
Nei cinque anni successivi tornarono a incontrarsi ogni tre marzo. Si vedevano solo in quel giorno, solo in quel pomeriggio, solo in quella stanza d’albergo, dove andavano per fare l’amore e poi, per tutto il resto dell’anno, nessuno sapeva più niente uno dell’altra. Solo una volta Teresa chiese di conoscere il suo nome.
«Perché me lo chiedi? Comunque mi chiamo Alessio» le rispose lui.
«Perché quando faccio l’amore con te voglio chiamarti per nome. Dirti che ti amo con tutta me stessa».
«E tu, come ti chiami?» chiese lui.
«Teresa. Ma non pronunciare mai più il mio nome, e non dirmi che mi ami, ti prego».
Ormai era trascorso quasi un anno, ma questa volta qualcosa stava andando storto. Già verso la fine di febbraio il marito frugando nel comodino della moglie aveva trovato un completino molto sexy, incellofanato e ancora con l’etichetta. Non disse niente, ma insospettitosi cominciò a osservare con attenzione il comportamento della moglie.
Arrivato il tre marzo, la seguì e la vide entrare prima in un centro estetico e poi trascorrere il resto della mattinata dal parrucchiere.
Tornata a casa, Teresa sembrava nervosa, insofferente. Continuava a sbirciare l’orologio e a guardarsi allo specchio, e a tavola non toccò quasi cibo. Per tutto il pomeriggio si eclissò in bagno e quando ne uscì, era truccata come una diva e disse al marito che stava uscendo ad aspettare la sorella e che sarebbero andate insieme in ospedale a trovare una loro amica.
Con un sorriso di circostanza il marito annuì, aspettò che la moglie richiudesse la porta dietro di sé e poi andò a frugare nel comodino e, quando si accorse che il completino intimo e sexy non c’era più, strinse i pugni, imprecò, prese le chiavi della macchina e le andò dietro.
Le raggiunse e le seguì sino a quando si fermarono davanti a un alberghetto. La moglie spostò lo specchietto retrovisore, si passò un filo di rossetto sulle labbra e poi scese dalla macchina. Per un attimo le due sorelle restarono ferme a parlare e poi si salutarono. Il marito aspettò che la moglie superasse la porta d’ingresso dell’hotel e, sicuro di aver capito tutto e di aver già visto abbastanza, tornò a casa ad aspettarla.
Ma Teresa quel tre marzo non salì al piano superiore. In quell’hotel ci rimase solo il tempo di ritirare una lettera che le diede il portiere.
“Scusami Teresa. Ma oggi proprio non ce la faccio a essere presente. Impegni importanti e improrogabili mi impediscono di essere lì con te, questo tre marzo, ma confido nel prossimo. Ti amo. Alessio”.
Delusa Teresa tornò sulla strada, e senza aspettare la sorella rincasò.
A casa trovò il marito che la stava aspettando in camera da letto, e subito la investì con parolacce e minacce, e quando cercò di giustificarsi, spiegargli che si trovava davanti a quell’albergo solo per aspettare la sorella, le cose si complicarono e degenerarono a tal punto che il marito la picchiò a sangue e la lasciò dolorante per terra.
Non chiamò la polizia, non andò in ospedale, e con quell’espressione sottomessa che aveva la madre e di chi è consapevole di dove accettare il proprio destino, attese paziente il ritorno del marito.



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