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Taranto ai tempi della Torre

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

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LUG
2013
Nell’ultima opera dello scrittore crispianese Massimo Di Cesare, uno scorcio storico con un protagonista della storia di Taranto, Carlo Cacace, imprenditore e fondatore de La Voce del Popolo 
 
Ognuno di noi è solito avere un posto del cuore, un luogo particolarmente significativo, un “angolo di mondo che più di ogni altro ci allieta”. Sarà che noi meridionali siamo inclini a questi sentimenti nostalgici e sentiamo più di ogni altro quel senso di possessione, quasi passionale, verso la nostra terra, il nostro mare, i nostri edifici.
È ciò che più ci caratterizza, questo bisogno viscerale di restare sentimentalmente ancorati alle nostre radici, al punto da volerne approfondire la conoscenza e la storia.
E quando lo si fa, talvolta – come in questo caso – ne viene fuori un romanzo, un piacevolissimo racconto degli ultimi centocinquant’anni – o giù di lì – di Taranto e di Crispiano.
Parlo del nuovo libro di Massimo Di Cesare, scrittore e dirigente sindacale, presentato nei giorni scorsi al Carpe Diem Art Café da Cataldo Zappulla, con la presenza d’eccezione dell’ingegner Piero Conversano, Direttore Generale di Confindustria Puglia.
“Dalla Torre, la vista dei Due Mari” prende le mosse da un desiderio dell’autore di raccontare la storia di un monumento storico di Crispiano, la Torre Cacace, per fornire un quadro romanzato delle vicende avvenute dall’Unità d’Italia ad oggi. E soprattutto per presentare una figura storica che nel nostro territorio, e non solo, è stata di fondamentale importanza, ossia quella di Carlo Cacace.
«Carlo Cacace» racconta lo scrittore «è stato un eccezionale imprenditore nonché un grande commerciante, che ha fatto moltissimo per la città di Taranto. Oltre ad aver dato un notevole contributo all’editoria, fondando La Voce del Popolo e tentando di conseguenza un’interessante opera di educazione e di alfabetizzazione della società, è stato un pioniere per quanto riguarda l’imprenditoria femminile, cambiando radicalmente l’immagine e il ruolo della donna, che da angelo del focolare diventa un’impiegata dell’industria tessile. Le doti imprenditoriali dell’uomo hanno rappresentato per Taranto un motivo di immediato sviluppo. La stessa popolazione, all’epoca interamente riversata sull’isola, è cresciuta a dismisura nel giro di pochi decenni ed è stata costretta ad allargarsi anche al resto della città. Essendo Cacace proprietario di gran parte delle terre ha avuto modo di rivenderle con una clausola che gli avesse però garantito l’assoluta proprietà di ogni ritrovamento avvenuto nel sottosuolo, ossia tutto quello che oggi conosciamo come gli Argenti Cacace».
Un piano edilizio realizzato per urbanizzare e non per cementificare, sembrava aver gettato le basi per una crescita economica e sociale della città, ma come sempre avviene quando tutto sembra andare per il meglio, qualcosa va storto. Nel 1870, infatti, il comune di Taranto contrae un forte debito e questo crea il punto di debolezza che scatena un effetto domino che conduce ai fatti più recenti della nostra storia.
Il pretesto per raccontare le vicende umane di Carlo Cacace, così come quelle del Barone di Santacroce, al tempo sindaco di Taranto, ci viene fornito dal personaggio di Cesare, filosofo e archeologo, il quale decide di mettersi sulle tracce del passato. Abituato da bambino a giocare nei pressi della Torre, negli anni successivi trova le sue condizioni immutate, se non addirittura peggiorate. Quella che poteva essere una stupenda attrazione turistica, giace abbandonata in uno stato di totale degrado e incuria da parte delle istituzioni e, non ultimo, soggetta ad atti di vandalismo. 
Come ha sottolineato l’ing. Conversano nel corso della presentazione, questo è un libro che mostra una Taranto romantica e ci fa gustare come poteva essere la nostra città se solo le cose fossero andate diversamente. «L’aspetto turistico della nostra storia» ha dichiarato, «è da sottolineare perché proprio quella è la nostra ricchezza». 
“Dalla Torre, la vista dei Due Mari” dà dignità alle nostre radici e ci fa auspicare in uno sviluppo ancora possibile, che tenga tuttavia conto dei beni e del valore intrinseco del nostro territorio.
 


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