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Operai in bici/Pellegrinaggio? No, rivoluzione

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

12
LUG
2013
Antonello e Domenico, due operai Ilva, hanno percorso la Via Francigena, antica via di pellegrinaggio per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tragedia ambientale di Taranto. Hanno incontrato la solidarietà di tutti e visto le montagne vere, non quelle di scorie metalliche
Con la voglia di portare in giro un messaggio, quello di “Taranto Libera”, di far conoscere una situazione che ancora, nonostante il susseguirsi delle vicende, sembra sia lontana da un risvolto positivo per la città e i suoi abitanti, con le loro biciclette mountain bike hanno percorso per quasi tutta l’Italia la Via Francigena. Questa via è un percorso di pellegrinaggio, che conduceva alle tre principali mete religiose cristiane dell'epoca medievale: Santiago de Compostela, Roma e Gerusalemme. Il percorso italiano prevede la partenza dal Piemonte o dalla Valle D’Aosta per terminare a Roma, a Brindisi o se si vuole chiudere in bellezza, a Gerusalemme. Antonello e Domenico, due operai Ilva di 40 e 50 anni, hanno approfittato del contratto di solidarietà per impiegare una settimana in bici per la Via Francigena, con tappa finale ad Assisi. Tornati stupefatti, perché piacevolmente colpiti dalla solidarietà che hanno incontrato e dalle emozioni provate, Domenico ha voluto raccontare a noi di Extra la loro avventura. 
Come è nata l’idea di fare questo pellegrinaggio?
«Ci stavamo preparando da un po’ di tempo, perché io e Antonello, ambientalisti entrambi, volevamo lanciare una nuova provocazione. Ogni domenica mattina, alle prime ore del giorno, ci siamo allenati percorrendo 40-50 km per la Provincia di Taranto. E’ capitato anche in settimana, quando eravamo liberi. Successivamente, abbiamo deciso di percorrere la Via Francigena, la via che portava i crociati a Gerusalemme, passando da Roma e Brindisi; abbiamo pensato che fosse bello portare il nostro manifesto con il messaggio “Taranto Libera” e diffonderlo per il percorso». 
Perché Assisi come tappa finale? 
«Tra le tappe non rientra Assisi, ma  abbiamo scelto questa città perché è la patria di San Francesco, che è anche il simbolo dell’incontro cristiano, oltre che essere una persona fortemente rispettosa dell’ambiente e degli animali; un ambientalista ante litteram insomma. Abbiamo scaricato il percorso da Internet con le varie tappe, deviando alla fine per Assisi».  
Perché con la bicicletta se il percorso è previsto a piedi? 
«A piedi non avremmo avuto tempo a sufficienza; avremmo impiegato 40 giorni, essendo 39 tappe, calcolando una media di 25 km al giorno. La bici è un mezzo che va riscoperto, che per noi tarantini potrebbe diventare un simbolo e uno strumento di rivolta. E’  stato bello portare in giro il manifesto di “Taranto Libera”,  per capire cosa percepisce la gente, cosa le arriva oltre l’informazione dei mass media. L’obiettivo del percorso è stato quello di diffondere la nostra situazione, della città di Taranto, raccontata da due operai Ilva. La curiosità è stata quella di verificare ciò che la gente realmente conosce a riguardo».  
La gente come ha reagito? E’ rimasta stupita? 
«Certo,  rimanevano sbalorditi. Ci dicevano che in un momento di crisi come questo, non può chiudere una fabbrica così potente, la prima in Europa per la  produzione di acciaio. Quando spiegavamo loro la situazione che siamo costretti a vivere a Taranto (che non si può barattare lo stipendio con quel 30% di bambini che ha il piombo nel sangue, che le mamme non possono allattare i proprio figli), cambiavano subito posizione, esortandoci a scendere in piazza e  ribellarci.  Ricordo una donna di Lucca che ha esclamato: “Cosa aspettate a reagire, tutto ciò è agghiacciante!”. Probabilmente la loro attenzione era maggiore, perché a diffondere questo messaggio, erano due operai Ilva. La gente ci sosteneva, perché crede nella nostra causa». 
In che modo comunicavate il vostro messaggio?
«Arrivavamo in una piazza con la nostra maglia e fissavamo il nostro manifesto “Taranto Libera”; la gente si incuriosiva e si avvicinava per fare domande. L’unica città che non ci ha concesso di fissare il manifesto, è stata Siena a Piazza del Campo, per via dei preparativi del Palio». 
Ci vuoi spiegare il vostro percorso?
«Si è svolto in una settimana; siamo partiti di domenica in pullman sino a Torino,  pagando il supplemento per le biciclette. Da lì è cominciato il nostro percorso, andando a Susa al presidio “No Tav”,  per portare anche il nostro sostegno. Il giorno dopo siamo partiti da Susa a Vercelli, attraversando la Val di Susa, poi Chivasso, Pavia sotto gli Appennini dove ci ha colto un acquazzone.  A quel punto  abbiamo preso il treno, perchè era impercorribile  quella parte degli Appennini in bici, poi ancora Sarzana  dove abbiamo ripreso a pedalare fino a Lucca, poi Poggibonsi, dopo Siena, e infine, l’ultimo stacco fino ad Assisi. Il viaggio lo abbiamo fatto in estrema povertà,  con lo stretto necessario, giusto la biancheria e qualche maglietta che lavavamo ogni giorno, affinché  fosse asciutta per il giorno dopo». 
Dove avevate la roba che avete portato?
«Avevamo il portapacchi da me costruito, montato dietro la bici. Oltre agli indumenti, avevamo tutto quello che poteva essere utile per riparare le biciclette; il primo e l’ultimo giorno abbiamo percorso una media di 130-140 km, gli altri giorni 90 Km». 
Dove avete alloggiato? 
«Abbiamo dormito presso i conventi dei francescani, gli stessi designati per le tappe del pellegrinaggio. A Vercelli siamo stati in un convento gestito da diversamente abili, una cosa meravigliosa; la direttrice, anche lei diversamente abile, ci ha chiesto la carta credenziale, prevista dalla Via Francigena: ogni tappa prevede un timbro da applicare sulla carta. Abbiamo avuto la possibilità di cucinare, abbiamo mangiato assieme. Sono stato piacevolmente sorpreso, perché pensavo che l’Italia fosse diventata molto più cinica, molto più distratta nei riguardi dei problemi, pensavo che la crisi avesse indotto gli italiani a chiudersi in sé stessi. Ora penso che la gente che ho incontrato non merita la classe politica che ci governa, merita di più. Ci vedevano per strada, quando ci fermavamo nei bar per ristorarci e non sapevano cosa offrirci, la frutta, l’acqua fresca o altro». 
Emozioni forti quindi?
«Fortissime! Per non parlare dei paesaggi che imperavano durante il nostro tragitto; verde ovunque e montagne vere, altissime ma vere, non quelle di minerale a cui noi siamo abituati dalla nascita».
 



Commenti:

Miccoli pasquale 20/AGO/2013

Grandi ragazzi memore della candelo taranto ci accomuna la stessa passione la bici vi sono vicino. TARANTO

Jole 15/LUG/2013

Sensibilizzare il resto del paese alla causa di Taranto è un gesto molto importante, purtroppo l'opinione pubblica di chi non vive in prima persona questa tragedia punta l'attenzione esclusivamente sul problema "lavoro" senza comprendere la gravità della situazione ambientale. Il contributo che questi due uomini hanno dato è significativo e merita ammirazione ma soprattutto serve a far capire al resto del paese che Taranto è un problema di tutti e che non si può sacrificare la salute di una popolazione in nome di una percentuale del PIL, usando come alibi l'occupazione locale.

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