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Addio Ilaria/Quante donne ancora

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

27
SET
2013
Una riflessione sul femminicidio e sulla violenza di genere, a partire da una terribile storia di cronaca avvenuta nel nostro territorio
 
 
E’ morta Ilaria Pagliarulo, la giovane ventenne che viveva col suo fidanzato in una villetta a Statte. La dinamica dell’omicidio può essere così sintetizzata: Cosimo De Biaso, il fidanzato, le spara un colpo domenica scorsa, colpendola al rene. Lei tace forse per evitare che il fidanzato venisse arrestato. Ma il giorno dopo il De Biaso le spara di nuovo, questa volta al torace, e poi ancora, con una scarica di proiettili, mettendo in fuga la giovane. Ilaria chiama in soccorso la madre, la quale si rivolge al 118 e ai carabinieri. Il fidanzato, non pago, rincorre l’ambulanza e l’auto della madre continuando a sparare. Poi le forze dell’Ordine arrestano il fidanzato con l’accusa di tentato omicidio. Con la morte di Ilaria, adesso, l’uomo è accusato di omicidio vero e proprio.  Il giovane De Biaso si è così giustificato alle forze dell’ordine: “Mi esasperava”. 
Ma la morte di Ilaria Pagliarulo deve assolutamente indurre a una maggiore presa di coscienza sul fenomeno chiamato “femminicidio” con l’obiettivo di rendere impellente la necessità di un intervento legislativo da parte delle Istituzioni locali e nazionali. 
La necessità di un riconoscimento istituzionale di questa forma di violenza che culmina con l’omicidio può essere ricondotto alle parole dell’antropologa messicana Marcela Lagarde che parlava di violazione dei diritti umani delle donne in stretta relazione a condotte misogine e maltrattamenti non solo di carattere fisico, psicologico, sessuale, educativo, sul lavoro, ma anche “istituzionale”. Quindi, al di là dei moventi sub-culturali che spiegherebbero in chiave sociologica il perché della violenza di genere, vi possono essere dei pericoli maggiori là dove non vi sia un chiaro segno da parte delle istituzioni (un intervento legislativo, una nuova fattispecie giuridica) a tutelare la donna, perpetrando nei confronti di essa una piena e totale inclusione nonché una piena maturazione della nostra democrazia. Infatti in Italia non esiste un osservatorio nazionale sul femminicidio come in altri paesi, per esempio Spagna e Francia, ma i dati vengono raccolti da associazioni e gruppi di donne basandosi esclusivamente dalle notizie riproposte dai mass-media. Vi è infatti un grosso limite in Italia per quanto riguarda la ricerca sul fenomeno del cosiddetto femminicidio e il Ministero dell'Interno, Istat e altri Enti pubblici dovrebbero in modo tempestivo diffondere dati corretti e controllabili. Certamente però è cresciuta la sensibilità a questo problema, facendo introdurre nel codice penale italiano il reato di "stalking" o "atti persecutori"; ma ancora non ci sono indagini criminologiche approfonditi sugli esiti di questa nuova legge. Fermo restando che fortunatamente comincia a prendere piede nei Servizi Sociali la diffusione capillare dei “centri anti violenza”. 
Però i dati sul femminicidio non vengono raccolti i dati in modo sistematico e solo una parte degli omicidi sono riportati dalla stampa. Nel 2012, pertanto, si sono contati circa 124 casi di donne uccise in un contesto di  ingiustificabili motivazioni disparate riferite a differenti relazioni sentimentali con l'autore del delitto (rapporti di coniugio, convivenze, fidanzamenti e innamoramenti non ricambiati). 
Quando fu approvata la legge Carfagna (L.n° 38 del 2009) un osservatorio appositamente creato per analizzare il fenomeno dello “stalking”, rilevò che il 55 % di casi segnalati di questo reato faceva riferimento a legami amorosi sfaldati, rotture sentimentali e cui conseguivano comportamenti molesti da parte del partner nei confronti della donna. E questo semplice dato dovrebbe indurre a delle importanti considerazioni di carattere culturale da far comprendere a tutti. 
Non vi sono innanzitutto correlazioni concettuali tra “modernità” e rispetto delle identità di genere: il femminicidio è una realtà che travalica la ”collocazione” territoriale della cultura sui diritti. Non è affatto vero, quindi, che episodi del genere possano accadere in compagini territoriali retrogradi dove non c’è sviluppo economico e sociale - e perciò ipotizzare che le società sottosviluppate siano incetta di violenze domestiche e visioni “patriarcali” delle unioni. Affermare questo sarebbe come attribuire alla “esportazione”  (o imposizione ) dei diritti una presumibile funzione “illuministica” in realtà impossibile: una società non migliora, infatti, semplicemente creando una legge. Questa considerazione potrebbe apparire in contraddizione con quanto detto prima sulla necessità di un “riconoscimento istituzionale” del femminicidio. Ma non lo è. Il riconoscimento istituzionale  (che approda magari ad una legge) deve muovere da un presupposto di carattere culturale: la donna non è un possesso. E ammettere (forse sarebbe meglio usare il termine “riconoscere”) una verità: il gentil sesso non è un oggetto del desiderio, bensì un soggetto. Tale considerazione, di approccio psicoanalitico, può essere tradotto più semplicemente con una frase di Horkheimer sull’amore di coppia: “il vero amore evita sia il dominio che la dedizione insana”. Solo questo basterebbe a far riflettere, si crede. 
 
 
 


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