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Vestas/VIA COL VENTO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

25
OTT
2013
L'ultima tegola abbattutasi su un territorio martoriato, viene da una multinazionale danese, la Vestas (settore pale eoliche) che, di punto in bianco, ha deciso di chiudere uno dei tre insediamenti presenti a Taranto 
 
Una vicenda davvero paradossale, difficile da decifrare. Innanzitutto il primo contrasto: in un area tristemente famosa per le questioni ambientali, conosciuta ormai nel mondo per la lunga, probabilmente infinita, vicenda della acciaieria Ilva; in una città in cui si svolgerà a breve un processo per disastro ambientale, chi prende bagagli e va via? una delle poche aziende con impatto zero e che, paradosso nel paradosso, produce pale eoliche! La Vestas a Taranto conta tre stabilimenti, ciascuno con gestione autonoma: uno fabbrica i motori e un secondo le pale; un terzo insediamento si occupa del service, ovvero montaggio ed assistenza. L'azienda ha deciso di chiudere lo stabilimento che produce i motori (le navicelle) mandando a casa circa 130 dipendenti. Vi è però il fondato timore che, per una sorta di effetto domino, a breve anche le altre due attività possano subire la stessa sorte. Alla fine sono in ballo all'incirca 500 posti di lavoro. Se si considera che nel frattempo il territorio ionico registra ogni giorno chiusure di attività, riduzione di personale, crisi di interi settori produttivi, si può immaginare quale possa essere l'impatto di una simile circostanza. Di recente i sindacati hanno denunciato una riduzione di attività dell'indotto Ilva che avrebbe causato la perdita di migliaia di posti di lavoro; di questi giorni l'allarme per il possibile esubero di un numero consistente di operatori portuali; il tutto si aggiunge poi alle note vicende che interessano Isolaverde (contratto di solidarietà al 50% della retribuzione), gli addetti al protocollo informatico (28 unità lasciate a casa) il gruppo Natuzzi, l'ITN di Martina Franca, per non parlare dell'intero comparto edile. Ma perché la Vestas chiude? Qui nasce il secondo paradosso: non vi sono problemi legati alle commesse; nonostante un calo, legato alla crisi generale, gli ordinativi pare siano ancora sufficienti a garantire il lavoro per tutti gli attuali dipendenti. L'azienda, che ricordiamo è una multinazionale, avrebbe deciso di trasferire la produzione di navicelle da Taranto in Spagna in un ottica di ottimizzazione delle economie di scala. Tutti i tentativi di addivenire ad una qualunque soluzione alternativa ai licenziamenti sono caduti nel vuoto. La Vestas non intende accettare alcuna proposta, comprese le varie offerte che la regione Puglia, attraverso l'assessore Caroli, ha ipotizzato in termini di sostegno alla formazione interna e alla possibile riconversione. Un copione non nuovo che in tanti anni ha visto sbarcare a Taranto, e in generale nelle aree definite disagiate, tante aziende che hanno usufruito di sovvenzioni pubbliche per poi lasciare vuoti i capannoni e trasferirsi altrove. L'aggravante in questo caso è dato da una situazione già disastrata. Lunedì scorso si è tenuto il Vestas Day, ovvero un giorno di sciopero di tutti i dipendenti Vestas con corteo e incontro con il prefetto di Taranto. In successione una serie di lettere: quella del prefetto che illustra al governo la situazione drammatica che interessa il territorio sotto l'aspetto occupazionale, poi quella del sindaco Stefàno che, altro mistero, scrive a Letta a Zanonato e alla Finocchiaro, ignorando gli altri parlamentari. Lettere che puntano a richiamare un interesse del governo per una realtà che ogni giorno vede sempre più vicino il baratro di un vero e proprio default. Il sindaco, che tra l'altro ha scritto anche una lettera per spronare al massimo impegno i suoi consiglieri comunali e assessori, è arrivato a minacciare le dimissioni. La ratio è la seguente: se non siamo utili ai cittadini (perché nessuno ci ascolta, e perché da soli non abbiamo le risorse necessarie) allora andiamo tutti a casa. Diverse le reazioni a tale affermazione-minaccia. Quanti sostengono l'amministrazione chiedono al sindaco di resistere e garantire la sua presenza comunque; gli avversari politici lo invitano alla autocritica, ritenendo che parte delle responsabilità siano proprio sue. Resta il fatto che da quel famoso 26 luglio 2012, giorno del primo provvedimento della magistratura nei confronti dell'Ilva, Taranto e la sua provincia, ha imboccato la via di un declino che sembra non avere più limiti. Poco potrà la vicinanza morale del Vescovo, mons. Filippo Santoro, che ha voluto incontrare i lavoratori in presidio permanente; ci vuole un intervento deciso che affronti in modo complessivo, non caso per caso, l'emergenza occupazionale. Per questo esiste già un tavolo per Taranto che però non ha ancora prodotto nulla di concreto.
 
 


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