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Giuseppe Guarini/Testimoni di solidarietà

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
DIC
2013
Bisogna innanzitutto precisare che i Cavalieri Templari erano e sono uomini come tutti gli altri, partecipi della vita e nella città e società. Ascoltatori chiamati a trasmettere la storia. Portando una testimonianza alla comunità ispirata al loro credo. Abbiamo chiesto a Giuseppe Cosimo Guarini, Gran Maestro Cavaliere, cosa significhi oggi far parte di quest’ordine.
Chi sono oggi i Cavalieri Templari a Martina? 
«Innanzitutto siamo una Onlus e ci rifacciamo a quelli che erano i valori dei Cavalieri Templari. Crediamo negli antichi valori della Chiesa improntati alla solidarietà, e al ruolo che la Chiesa stessa ha assunto, anche nella nostra storia locale, in tal senso, nell’aiuto dei bisognosi. Facciamo opere filantropiche, ma non nel senso di una mera carità, assistenzialistica, o nel senso tradizionale del termine. Una Carità intesa come solidarietà. Un valore, quest’ultimo sempre più depauperatosi».
Ci parli delle nuove povertà?
«Le nuove povertà sono anche culturali: faccio l’esempio del vicinato: ovunque si vada a vedere, nel piccolo, sembra che la gente non sia riuscita a conservare più  il senso dell’appartenenza. Le nuove povertà nascono anche da incertezze morali all’orizzonte. Questo crea individualismo. Poi la gente  ha bisogno di certezze che non vi sono. Occorre saper rivalorizzare le piccole cose, per poter ri-partire ed uscire da questo clima di incertezze». 
Com’è andato quest’anno il banco alimentare?
«Noi cerchiamo di aiutare anche per dare un segnale alla gente: bisogna donare. Il dono è in grado di essere qualcosa “di più” del dono stesso: la gente ti ringrazia, d’accordo, ma apprezza il gesto del dono più del dono stesso: si sente parte di un qualcosa. Non si sente abbandonata, ma parte di una comunità che tiene conto di loro. Il banco alimentare per noi dura 365 anni all’anno, non solo in questo periodo. Noi consegniamo i beni alle famiglie. Ma devo dire che ci sono delle realtà parrocchiali grandi a Martina, che fanno la carità in silenzio. E devo dire che c’è un senso della solidarietà silente ma molto vivido, per fortuna. Dobbiamo ringraziare tanti amici che ci hanno aiutato a reperire i  pacchi. Nel giro dei due anni abbiamo aiutato 200 famiglie». 
Quanti valori del passato, improntati sull’aiuto, sono andati persi?
«Ti faccio l’esempio del comparaggio: sai, una volta essere “compari” aveva un significato propriamente sociale. Era un’antica istituzione – che per fortuna dura ancora oggi -  in grado di forgiare la gente nella solidarietà reciproca: significa prendersi cura di qualcuno. Ed è un grande valore. Non servono gesti altisonanti per essere “grandi”. Sono “grandi” quelli che fanno tutti i giorni la stessa cosa: alzarsi la mattina, aiutare i familiari, essere onesti, fare onestamente il proprio lavoro, anche fare i “compari”.  Questi esempi del passato sono segni di un’antica nobiltà d’animo che si sta perdendo».  
I Cavalieri Templari come testimoni del ruolo sociale della Chiesa nel microcosmo sociale, insomma. Con i suoi valori.
«Esatto! La solidarietà cristiana rischia di scomparire perché tutti si sono rintanati nell’ottica dell’io. Prima si diceva: “Se Dio vorrà… domani mi alzerò, farò questo, ecc.”. Oggi non è più così.  Davvero pensiamo decidere di fare qualcosa senza la volontà di Dio? Non è questo il senso principale della nostra fede? Noi continuiamo quindi in questa testimonianza di fede. Mi disse una volta un missionario: “vivi la vita con l’incoscienza di essere immortale, ma la consapevolezza che tutto possa finire”. E’ una sorta di concezione fatalista della vita, ma nello stesso tempo uno sprone ad essere attivi. A muoversi». 
Chi sono secondo te i soggetti più a rischio di povertà?
«Le povertà materiali riguardano soprattutto gli anziani e gli ammalati. Spesso mi fermo sullo stradone a parlare con loro. Hanno bisogno di parlare. E poi ovviamente gli ammalati.  Poi vi sono quelle povertà culturali di cui ti parlavo. Fino a poco tempo fa se un individuo voleva farsi una cultura era necessario che approfondisse alcune questioni, entrando nel vivo degli argomenti con studio e dedizione. Oggi invece è tutto un sentito dire: “l’ha detto facebook”. Questa è la frase tipica. La cultura è diventata a “fior di labbra”. Un giorno una persona si alza e dice una fesseria su facebook, lasciando che chiunque legga possa davvero crederci e dire di aver appreso qualcosa. Un altro segno di povertà culturale è poi il giudizio facile e affrettato. Oggi, d’accordo, viviamo tempi di grande disoccupazione. Però se la gente vede qualcuno che lavora, subito è pronta a dire “quello lavora? Quello è un ladro. O un raccomandato”.  Magari quella persona lavora duramente, onestamente, si è conquistato il lavoro duramente, con sacrificio e lavorando con spirito di servizio, ma la gente non vuole più entrare in merito. Un po’ è comprensibile: la gente non si fida più di nessuno». 
 


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