MENU

Terraròss: «Ballate e non stancatevi mai»

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

14
SET
2012

 

Sono in giro da sei anni per la Puglia, per il Sud, per il mondo. La loro musica è passione, amore per la terra e per le vecchie tradizioni riscoperte e valorizzate attraverso il ballo, il canto e il coinvolgimento di tutti, anche dei “fighetti”
 
Chiudete gli occhi, provate a immaginare una grande piazza, tanta  gente e su un palco, anche rudimentale realizzato per l’occasione, loro, i Terraròss; sono sicura che le vostre gambe e i vostri piedi cominceranno piano piano a martellare il pavimento come fosse un tamburo, e poi ancora sempre più veloci comincereste a saltare e a girare su voi stessi. Se li avete visti almeno una volta, sapete di cosa sto parlando, dell’effetto che provocano i Terraròss quando si esibiscono. Loro sono sei, quattro ragazzi e una ragazza, Anna Rita Di Leo, tutti pugliesi, originari tra Mottola e Palagiano. “Ballate e non vi stancate mai" è il loro motto, perchè  "uno solo è il tempo, uno solo è il ritmo che ci riconduce dal battito della vita, del cuore, al battito della terra. Il tempo lo si avverte nei tamburelli, che scandiscono un ritmo da cui prende vita una sensuale e frenetica danza di dolore, frustrazione, ma anche liberazione e rinascita. Dopo averli visti ed essermi divertita con loro più volte durante “l’Isola che Vogliamo” a Taranto, sono andata trovarli qualche giorno fa a Casalini, frazione di Cisternino (Br), durante la sagra dell’Uva;  ho notato con sorpresa, a esibirsi con loro, Pierdavide Carone, che prima della fortunata partecipazione, nel 2010 al talent show “Amici di Maria De Filippi”, è stato membro del gruppo. Prima dello spettacolo, mi sono fermata a chiacchierare con Dominique Antonacci, membro principale del gruppo.
Come è nato il gruppo Terraròss?
«Una sera di maggio nel 2006, io e Giuseppe De Santo, a Roma per motivazioni diversi di lavoro, sul Gianicolo. In realtà noi viaggiavamo spesso insieme per Roma, quindi non è stato un vero e proprio incontro, ma quella sera, una delle tante in cui davamo sfogo alle nostre passioni con chitarra e  tamburelli, decidemmo di dedicarci alla causa. La nostra musica valorizza e riscopre la cultura di un tempo: scene di vita quotidiana, il chiacchiericcio della gente tra le vie, la voce dei nostri mercanti ambulanti, l'affanno del duro lavoro nei campi, per non parlare delle urla di lotte e rivoluzioni, ma anche dei canti d’amore e di poesia: nasce così Terraròss. Ci siamo formati in maniera molto rocambolesca, ogni serata raccoglieva un consenso in più e quindi siamo cresciuti, artisticamente, acquisendo più sicurezza e professionalità: per esempio prima indossavamo semplicemente jeans e maglietta, in seguito abbiamo indossato i costumi, si sono sviluppate le scene, le battute, come se ci fosse un copione, divenendo uno spettacolo teatrale a tutti gli effetti. Sei anni di lavoro quasi maniacale».
Come mai siete tornati? Non avete mai pensato che avreste potuto fare più fortuna esportando le vostre origini e tradizioni?
«Quando canti e suoni musica popolare, che appartiene alla tua terra, vuol dire che un po’ di nostalgia di casa tua ce l’hai; poi l’idea di star fuori non ci è mai piaciuta molto; certo si fa esperienza,  si guadagna, ma fondamentalmente è meglio stare a casa. Personalmente la musica popolare l’ho sempre vissuta, direttamente e indirettamente, è un po’ casa mia. Io sono di Palagianello, che è un paese piccolissimo, 7000 mila abitanti appena, ma con tantissime attività artistiche di ogni genere, quindi a ogni modo, ho trovato i miei stimoli. Successivamente sono cresciuto con la banda, poi col gruppo teatrale e il gruppo folk».
Gli altri come si sono uniti al gruppo?
«L’incontro con gli altri è avvenuto grazie a Beppe (Giuseppe De Santo) che ha portato con sé i suoi fratelli che già suonavano musica popolare; anche io ho portato qualche amico, tra cui Pierdavide, che mi accompagnava con la sua chitarra. Fondamentalmente è nata così la cosa, raccogliendo un po’ di gente volta per volta, attraverso gli spettacoli, ci siamo trovati subito in sintonia e il gruppo si è definito».
Che significato ha la vostra musica e come riesce a intervenire nella nostra società, in cui si sono persi molti valori, come quelli  legati alla terra e alla famiglia?
«La musica è soprattutto comunicazione, e noi cerchiamo di far fremere quello che non bolle più dentro le persone. La musica popolare, quella che suoniamo, è come la samba per i brasiliani, la salsa per i cubani o la tarantella per gli italiani; ce l’abbiamo tutti dentro, ma piano piano deve esternarsi, e noi lo mostriamo su un piatto tipico. Oggi la società  si è un po’arenata, ma ci fa piacere notare che la gente proprio in questo periodo scopra quali sono le cose semplici e veraci, quasi rifugiandosi in esse. Sono le cose più semplici, quelle più vere e dirette, che fanno più breccia, e noi questo l’abbiamo capito e ci impegniamo attraverso la nostra musica».
Che tipo di pubblico vi apprezza di più?
«Tutti! Ci seguono sia quelli che erano appassionati, quelli che non lo erano e poi lo sono diventati, i discotecari, i “fighettini” (termine gergale che indica persona “in” o “alla moda”, ndr), i bambini, gli anziani; nei nostri concerti si trova davvero di tutto. Fondamentalmente, la gente al di là della musica che ascolta, con noi si diverte, perché facciamo uno spettacolo vero e proprio, intrattenimento, cabaret, cerchiamo di allietare e coinvolgere tutti».
 Come vi hanno accolto all’Estero? Siete stati in Belgio, in Finlandia, in Svezia.
«Siamo stati accolti sempre bene in tutti i Paesi. Il pubblico si è divertito, ha partecipato, chi per curiosità per la novità, chi per nostalgia, trovandosi molti  emigrati italiani. Per le popolazioni autoctone di quei posti, oramai la pizzica e la tarantella sono come la samba da noi in Italia. Quello che noi speriamo, è di poter portare questo fenomeno al livello della samba nel nostro Paese, essendoci anche tanti artisti che suonano e ballano pizzica e tarantelle. La pizzica sta riscuotendo molto successo, e ci piacerebbe che così fosse anche per la tarantella, che è molto più comunicativa; infatti i pezzi più conosciuti all’estero sono di musica napoletana, tutte tarantelle si può dire. La pizzica è principalmente frenesia».
Sogni nel cassetto? Far diventare la pizzica un fenomeno come la samba?
«Continuare così, su questa strada, e magari crescere professionalmente, sia all’estero che in Italia. Purtroppo qui la pizzica è vista come un fenomeno da baraccone: le persone che ballano alla notte della taranta a Melpignano sembrano scimmie che si muovono, con tutto il rispetto per le scimmie, oltre a ubriacarsi a volte. Il fenomeno viene apprezzato qualitativamente all’Estero piuttosto che in Italia. Fuori lo considerano un fenomeno antropologico, culturale: per ogni esibizione c’è sempre qualcuno che spiega, cerca di cogliere il significato. Qui è concepito come un fenomeno da sballo e confusione».
Perché il nome Terraross?
«Perché la nostra musica è figlia dell'amore e della passione per la propria terra, e la nostra terra è rossa, ricca di argilla e ferro che le dà quel colore! La nostra musica che profuma di Sud, che attraversa i campi d'ulivo, i vigneti, le piantagioni di tabacco, viaggia attraverso la Murgia per toccare il Salento e per poi infine arrivare al mare. Il nostro cammino dalla Puglia arriva anche in Campania, passando dalla Basilicata, attraversando sonorità diverse, paesaggi e profumi differenti, ma di terre vicine, figlie della stessa radice!».
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor