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La grande industria italiana/Quattro drammi a confronto

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
OTT
2014
La SLOI di Trento come l’Ilva. Grazie ai documentaristi Vittorio Vespucci e Monica Nitti, di Taranto si discute in un dibattito nella città dell’industria chimica in disuso. Diverse le realtà a confronto, così come il modo di reagire e affrontare le soluzioni possibili
Si è svolta il mese scorso il secondo  incontro nell’ambito della Mostra “SLOI 1939-2014. Settant’anni di storia nella società trentina”. Un confronto tra la fabbrica di Trento e altre realtà simili del nostro Paese: Eternit, Ilva, Petrolchimico di Marghera. All’incontro hanno preso parte anche i documentaristi Vittorio Vespucci e Monica Nitti, per l’Ilva di Taranto. Monica racconta  che quando le è stato chiesto di partecipare al dibattito, in funzione della sua esperienza di documentarista, ha accettato ben volentieri: è stata un'ottima occasione per poter descrivere la situazione ambientale di Taranto e, contemporaneamente,  poter arricchire le sue conoscenze in materia ambientale riguardanti altre zone d'Italia. 
 
Monica cos’è esattamente lo SLOI di Trento?
«Negli spazi espositivi delle Gallerie di Piedicastello di Trento, gestiti dalla Fondazione Museo Storico del Trentino, è stata allestita una mostra  dal titolo “SLOI 1939-2014. Settant’anni di storia nella società trentina”, dedicata alla SLOI, industria chimica in disuso da anni che, in questa occasione, è stata messa a confronto con altre realtà italiane simili. Una sezione della mostra è quindi stata dedicata all’Italsider/ILVA di Taranto. Sono state esposte una serie di fotografie realizzate da me e da Vittorio Vespucci, oltre che sull’oggettistica d’epoca riguardante lo stabilimento di Taranto. La mostra è rimasta aperta circa un mese tra settembre e ottobre.
A margine della mostra, che ha riscosso un grande interesse di pubblico, si è svolto il dibattito dal titolo “Drammi a confronto: Sloi, Eternit, Ilva e Petrolchimico di Marghera” durante il quale abbiamo discusso sulle dinamiche e sui fattori che accomunano queste quattro grandi tragedie».
 
Parlami della vicenda che coinvolge la SLOI, questa  fabbrica di piombo tetraetile, per la quale si pagano ancora i danni.                                          
«Anche nel meraviglioso Trentino esistono situazioni ambientali che nascono da una gestione poco etica del territorio e delle risorse umane. 
In pochi, nel resto del Paese, conoscono la storia della SLOI. Insediatasi alla fine degli Anni ’30 la fabbrica rappresentò inizialmente un’ottima fonte di reddito per coloro che ci lavoravano. Tuttavia gli operai, a stretto contatto con il metallo tossico e altri componenti chimici, erano esposti a terribili malattie, anche neurologiche. Pochi mesi di lavoro potevano già rappresentare una condanna. Tra il 1960 e il 1971 furono più di mille i lavoratori avvelenati, molti dei quali diventarono pazzi a causa degli effetti del piombo tetraetile. Ma a quei tempi il Trentino era una regione povera e i salari della SLOI permettevano agli operai di non vivere nella miseria. 
Gli amministratori di allora erano al corrente dei pericoli rappresentati dal piombo, ma non se ne curarono in nome del profitto e della necessità di produrre piombo tetraetile, indispensabile antidetonante per carburanti.
La produzione continuò nel dopoguerra e insieme alla produzione continuarono a crescere i gravi problemi ambientali. 
Nel 1958 dalla SLOI si alzò una nube di cloro che intossicò una trentina di cittadini e quattro operai. In seguito, nel 1978, l’incolumità degli abitanti di Trento fu messa a repentaglio da una serie di esplosioni che generarono una nube tossica e solo per un miracolo si evitò un disastro ambientale di immani dimensioni. 
Solo a questo punto la fabbrica venne chiusa lasciando in eredità alla città  circa 200 tonnellate di piombo che hanno inquinato il terreno sottostante, separate dalla falda acquifera solamente da uno strato di argilla. Si tratta di una bomba ecologica che può esplodere da un momento all’altro».
Quanta attenzione c’è a Trento nei confronti di queste tematiche? Cosa si sta facendo?      «Sono stati scritti molti libri sull’argomento e il dibattito è tuttora aperto. Sono stati effettuati alcuni studi ma il recupero del sito appare ancora complesso.
La situazione preoccupa, e non poco. Tuttavia si è ben lontani da conclusioni pratiche e non è ancora stata studiata una soluzione che possa risolvere effettivamente il problema. Tutti i quesiti rimangono irrisolti. Esistono difficoltà tecniche, politiche ed economiche». 
Quali sono state le tue percezioni a riguardo e ciò che hai avvertito?! Un incontro del genere a Taranto sarebbe stato lo stesso?                          
«Nell’ultimo anno ho partecipato a diversi incontri pubblici in varie città d’Italia per presentare l’ultimo documentario sul Vajont, con la regia di Vittorio Vespucci, del quale sono coautrice e direttrice di produzione. Ma parlare dei problemi di Taranto, la città nella quale sono nata e cresciuta, è stato particolarmente emozionante e ne sono rimasta coinvolta.
In quei momenti mi sono tornati in mente gli amici e i parenti che non ci sono più a causa dei crimini della grande industria, che da cinquant’anni distribuisce pane e morte. 
La sensibilità dei tarantini rispetto ai problemi ambientali è in crescita. Tuttavia il ricatto occupazionale e l’atteggiamento servile  della politica fanno da freno allo sviluppo di un’economia alternativa. 
Inoltre l’inedia di una larga fetta della popolazione è la dimostrazione che l’interesse nei confronti del problema inquinamento, che coinvolge tutti, rappresenta ancora una nicchia. 
L’organizzazione di un evento analogo, con la partecipazione attiva delle scuole, sarebbe l’occasione per stimolare l’interesse sull’argomento e creare occasioni di sviluppo culturale. Ne abbiamo davvero bisogno!».
Hai raccontato della nostra situazione a livello sanitario e dei servizi, quanta meraviglia c’è stata?                                                                                                 
«Il pubblico in sala in parte era già a conoscenza della situazione di Taranto. Tuttavia non a tutti era ben chiara la reale drammaticità del problema e ho ricevuto anche messaggi di solidarietà, poiché vivo e opero in questa città. 
E’ stato proiettato un cortometraggio dal titolo “Sloping”, realizzato proprio per l’occasione da Vittorio Vespucci con la mia collaborazione, composto da alcuni spezzoni di interviste estrapolate dai nostri precedenti documentari sull’argomento e integrato da contributi filmati, molto forti, concessi dal Fondo Antidiossina Onlus di Taranto.
Ho raccontato dello squallore emerso dalle intercettazioni telefoniche, dello studio “Sentieri” e delle prospettive di vita degli abitanti del quartiere Tamburi.
Alla termine della serata abbiamo convenuto con quanto asserito da Vespucci che ha definito l’Ilva  un malato terminale sul quale la politica sta effettuando un accanimento terapeutico. Senza la messa a punto di un “piano B” (esistono a tal proposito vari studi e proposte) la sorte dei 20.000 lavoratori sarà triste nel caso, per nulla remoto, di chiusura dello stabilimento»..
Quanti tarantini sapevano di questo incontro? Quanta attenzione c’è stata?      
«Davvero in pochi a Taranto si sono interessati a questo evento. Molle Tarentum!»..
Potrebbe esserci un gemellaggio tra Trento e Taranto secondo te, in virtù di ciò che le accomuna?                                                                                             
«I problemi sono diversi, le realtà socio economiche sono diverse. La SLOI è fallita e il problema di Trento riguarda le bonifiche. A Taranto le industrie inquinanti sono ancora attive e il quadro è molto confuso. Inoltre le situazioni economiche e sociali sono agli antipodi.
Anche la classe imprenditoriale di Trento è molto più avanti di quella di Taranto che, ostinatamente, continua a puntare tutte le sue attenzioni sul sostegno economico fornito dalla grande industria, senza sforzarsi di investire in settori alternativi. Errare humanum est, perseverare autem diabolicum. 
Il racconto di Bruno Pesce, incentrato sui duemila casi di morti per mesotelioma pleurico e sul processo per le vittime dell’amianto, è stato a tratti straziante. 
Molto interessante è stato il racconto del segretario FILCTEM CGIL di Venezia, Riccardo Colletti, che ha parlato del tentativo di bonifica che si sta facendo nel sito di Marghera e delle lotte sindacali del 1997, per chiedere un lavoro pulito.
Questo dibattito, definito un confronto, è stato in realtà un incontro tra quattro territori che sono accomunati, sia pur in forme diverse, da un denominatore comune: la ricerca criminale del profitto (speculazione) a tutti i costi, a danno dell’ambiente e della vita». 
 
 


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