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Rosa Rinaldi/"Giovani" per sempre

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

5
OTT
2012

 

Non è un complimento, perché ora essere giovani è diventato sinonimo di precarietà. E si rimane precari a lungo. L’ex sottosegretario al Ministero del Lavoro ci parla del lavoro che c’è ma soprattutto di quello che non c’è
 
Prima c’erano le feste dell’Unità, spalmate per diversi giorni, organizzate con precisione, poi le feste del PD (Partito Democratico) e di SEL (Sinistra Ecologia e Libertà) di un giorno ciascuno, e adesso quella di Sinistra In Movimento, che vuole “una sinistra degna di questo nome!”. Con questo motto Alfredo Ferrara apre la presentazione di Quaderni Corsari, un’iniziativa editoriale che nasce come rivista di approfondimento online creato da ragazzi under 30, e ora anche su carta. Si apre così il dibattito sul lavoro, poco adeguato ai canoni europei, troppo improntato ancora su quella politica industriale foriera di distruzione e morte. Bisogna sostenere il reddito, riallacciando la politica industriale alla politica in sé, tenendo conto di altre esigenze, come quella ambientale e della salute. Contributo importante dell’ incontro è stato quello di Rosa Rinaldi, esponente del PRC (Partito di Rifondazione Comunista), membro della Direzione Nazionale della Fiom e sottosegretario al Ministero del Lavoro durante il Governo Prodi.
Cosa è cambiato nel concetto di fabbrica? Come si è evoluto?
«Per quanto riguarda la fabbrica di Taranto,  il concetto non si è per niente evoluto: si può dire che l’Ilva sia rimasta tale e quale a quella che era l’Italsider, e se pensiamo che sia stata quasi regalata a Riva, affinché apportasse rinnovamento e innovazione, il concetto di fabbrica è cambiato poco. Se pensiamo alla fabbrica in senso lato, vengono subito alla mente le aziende che hanno scorporato settori di rami d’impresa: di conseguenza da grandi aziende si è passati a piccole aziende, la frammentazione  ha riguardato il sistema di produzione in generale, e abbiamo avuto una precarizzazione del mondo del lavoro attraverso tali segmentazioni. Quindi l’automazione o l’innovazione là dove si è prodotta, non sempre è stata a favore del lavoratore».
A proposito di precarizzazione, oggi pensa che sia una condizione o una categoria “essere precari”?
«Diciamo che è una condizione che diventa categoria, ovvero dettata da una falsa idea di modernità; per esempio le donne reclamavano la flessibilità del lavoro , una condizione inizialmente scelta, diventata generale in seguito. Persino la categoria di “giovane” non è più un dato anagrafico, ma corrisponde a una condizione, cioè quella di non poter decidere di programmarsi la propria vita, di sposarsi e di emanciparsi dalla famiglia. Cambiano quindi gli elementi anagrafici, non come dato di nascita ma come elemento di condizione, a venti come a quaranta. Io stessa , ho riflettuto spesso su questo concetto: prima i giovani entravano a far parte di un percorso lavorativo e  man mano sviluppavano la propria carriera, imparando con l’esperienza. Oggi non è più così: entri, finisci dopo 6 mesi,  ricominci da un’altra parte per altri 6 mesi e va avanti così, questa è la condizione di lavoro generalizzata, non appartiene solo ai giovani ma a intere generazioni, e diventa ancora più alienante soprattutto se legato al fenomeno della frammentazione. Tutto questo è alquanto drammatico, e rappresenta un arretramento della politica e delle istituzioni, rispetto a un’idea di progresso di società e di innovazione del lavoro; manca per esempio l’impronta ecologica che invece negli altri paesi è ben salda».
E lei che è stata sottosegretario al Ministero del Lavoro durante il Governo prodi, può dirmi se questa condizione è avvertita dal Governo e dalle Istituzioni?
«Se mi chiede se è percepita da Rifondazione Comunista le dico di sì, e lo stesso da Rosa Rinaldi e dalla Fiom; ci tengo a ricordare che adottai alcuni provvedimenti sulla categoria del call center, regolarizzando 60000 giovani nel lavoro che venivano assunti come co.co.co. (collaboratori, coordinati e continuativi). Verificai attraverso degli ispettori del lavoro, legittimati da una denuncia, che quello era un lavoro propriamente dipendente, non esisteva nessun progetto. Norma che è stata in seguito cancellata dal Ministro Sacconi , Ministro del Lavoro succeduto al Governo Prodi. Sicuramente ognuno fa il suo, ma avverto il ritardo e l’arretratezza della politica su questo argomento, a tal punto che si parla di un salario minimo garantito. Oggi il reddito fa la differenza, quindi le condizioni sociali, soprattutto dei giovani, hanno bisogno di un corredo che si chiami reddito, 500-600 euro, come avviene nelle altre parti d’Europa».
E in merito alla nostra situazione cosa vede in lontananza? Considerando gli ultimi avvenimenti degli operai che occupano l’altoforno che più inquina, in difesa del loro posto di lavoro?
«Rispetto alla questione dell’Ilva non si sta facendo quello che bisognerebbe fare. La politica non dovrebbe istigare i lavoratori contro la Magistratura, che fa esattamente il suo dovere. Nella logica patronale, quella ottocentesca, vigeva il “divide et impera”, cioè dividere gli operai dai capi e dai cittadini, dividere gli operai dall’ambiente. Questo concetto, appartenente alla storia, purtroppo è attualissimo nel caso in questione: il sistema operaio prova a dividere i lavoratori, creandosi così un egoismo operaio a scapito della salute. In quanto PRC e FIOM,  pensiamo che le prescrizioni vadano eseguite, perché se il risultato di un’inchiesta epidemiologica, dice che la tipologia di attività che viene fatta è criminosa perché produce un danno enorme per i cittadini, bisogna seriamente porvi rimedio. La Magistratura deve decidere in questo caso, e al tempo stesso subentra la responsabilità delle istituzioni, del Governo, della Regione, del Comune e del Sindacato, per capire qual è il futuro di questa città e del lavoro: si salva il lavoro se si salva l’azienda, si salva Taranto se si salva il lavoro. Queste categorie non vanno divise, ma devono essere lasciate unite».
Ci si ritrova in quello che si dice, e cioè che i Sindacati prima di ora sono sempre stati lontani dei lavoratori dell’Ilva?
«Così come in politica, non bisogna dire che tutti sono uguali, ci sono i sindacati e c’è il Sindacato. Mi sembra che la Fiom stia provando a fare la sua parte, evitando di farsi dettare l’agenda dai capireparto che non erano a scioperare con gli operai, o da Ferrante stesso, ma sostiene in autonomia che c’è un problema serio, che va affrontato. Certo che ci sono ritardi dei sindacati, ma a noi non convincono gli scioperi contro la magistratura, perché è un po’ come la storia dello stolto a cui indichi la luna e guarda il dito; mi pare che è questo che si sta facendo».


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