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Acido fenico/Quell´odore terribile

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

7
DIC
2012

 

Come una mistura di salsedine, carburante, scirocco e sigaretta. Scritto undici anni fa da Giancarlo De Cataldo, lo spettacolo in scena al Tatà mostra uno spaccato di vita ancora attuale attraverso la storia di  un camorrista salentino
 
Chi l’avrebbe mai detto che un testo scritto undici anni fa sarebbe risultato così attuale ora, quando già allora descriveva il ridicolo che il Siderurgico di Taranto racchiudeva in sé, presentandosi ai cittadini come un’alternativa per elevarsi, per crescere, culturalmente ed economicamente; “assurdo” penseremmo ora. In questo quadro, nel senso proprio letterale della parola, si colloca la storia di Domenico Carunchio (interpretato da Fabrizio Saccomanno) malavitoso pugliese affiliato alla Sacra Corona Unita, organizzazione criminale mafiosa nata e sviluppata nel Salento, alla fine degli anni ‘70. Carunchio racconta la sua vita, dalla sua infanzia già segnata che non lascia spazio alla tenerezza: non conosce il padre, la madre gli lascia solo il cognome, frequenta la scuola una sola settimana, ma riesce ugualmente a imparare a leggere e a scrivere, destinato a tutti i tipi di povertà insomma. Una vita scandita dai momenti rituali dell’affiliazione molto simili ai momenti di preghiera dell’uomo solo che, davanti a scelte fondamentali della propria esistenza, ha bisogno di aggrapparsi alla fede (notevoli le proiezioni delle immagini dei santi sullo sfondo della scena). Carunchio sceglie volutamente di stare dalla parte dei “cattivi”, perché da subito capisce che non può esserci un posto per lui nella società. Questa scelta gli genererà la tragedia, una tragedia amara che lui non rinnega, né rimpiange quando racconta la sua storia davanti al giudice, fissandolo negli occhi mentre cammina sul tapis roulant. Domenico è un uomo fiero, ma anche molto solo, che prova quasi invidia per il suo amico sindacalista, che del motto “l’unione fa la forza” ne aveva fatto il suo spirito di vita, prima di morire per un incidente in fabbrica. Domenico ci dimostra come già negli anni ’70 la stretta di mano tra politica, mafia e il Siderurgico tarantino fosse già così salda, un’immagine che adesso ci fa sdegnare schifati. Il testo dell’opera appartiene, come abbiamo detto, al giudice scrittore Giancarlo De Cataldo, prodotto dai leccesi Cantieri Teatrali Koreja con la regia di Salvatore Tramacere. Lo spettacolo quest’anno si ripresenta in una nuova versione rispetto a quella utilizzata prima, che vedeva la partecipazione dei Sud Sound System come coro alla tragedia. Ora lo spettacolo è più duro, il protagonista più vivo. La lingua utilizzata è quella leccese, ma soprattutto risalta il linguaggio, quello mafioso, a cui Fabrizio Saccomanno era già abituato vivendo a sud di Lecce, nella zona industriale, nel cuore della Sacra Corona Unita. Il tapis roulant su cui Fabrizio cammina durante l’intero spettacolo, è utilizzato dal teatro per dare una forma indipendente dal testo; il tappeto elettrico è la metafora di un cammino che non arriva mai a nessuna destinazione, o meglio in  questo caso, un percorso dai binari già segnati, esattamente come la vita di un mafioso che può solo terminare in carcere o nelle mani degli altri mafiosi. Fabrizio non ama il testo, né tantomeno il suo personaggio, ma il suo rapporto di odio amore con Domenico lo rende attivo, ancora più vivo sulla scena. Ecco uno spaccato di vita reale, ricca di sfaccettature e forti emozioni, una versione che molti non conoscono o probabilmente, preferiscono ignorare.
 


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