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Carlo Calcagni/ Eroe ogni giorno

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

29
GEN
2016
Lui è un militare di Cellino San Marco che ha scelto di combattere tutti i giorni la sua battaglia per la vita. Consapevole di essere un condannato a morte, non ha paura di lottare contro le malattie contratte nel 1996 in Bosnia-Erzegovina. Una storia di coraggio che ci farà riflettere e commuovere
 
Carlo Calcagni, colonnello del Ruolo d’Onore e Pilota Istruttore di elicotteri dell’Esercito Italiano, è una vittima della cosiddetta "Sindrome dei Balcani" che gli ha procurato una invalidità permanente del 100%. Nel 2002, in seguito alla partecipazione alla missione internazionale di pace  a Sarajevo, gli viene diagnosticata una linfo mielodisplasia con citopenia refrattaria con necessità di trapianto allogenico di midollo e un panipopituitarismo (ipotiroidismo, ipogonadismo e ipocortisolismo). 
Soltanto dopo anni di lotta gli  viene riconosciuta la causa di servizio. La causa in questione è un nemico  invisibile, senza colore, senza odore, senza faccia, senza divisa. Un nemico subdolo e terribile: l'uranio impoverito. Carlo è consapevole di essere un condannato a morte ma non ha paura di lottare contro le  malattie contratte nel 1996 in Bosnia-Erzegovina.
Lui ha  scelto di  combatte tutti i giorni la sua battaglia per  la vita. Non vacilla davanti alla pesante terapia che lo costringe a due ore di camera iperbarica appena sveglio, 7 iniezioni di immunoterapia a basso dosaggio specifica per la MCS (Sensibilità Chimica Multipla), ossigeno per 18 ore al giorno,  maschera del ventilatore polmonare per dormire, 4-5 ore al giorno di flebo, centinaia di pastiglie. Carlo è praticamente costretto a vivere in una casa-ambulatorio e ad affrontare  lunghi viaggi verso cliniche ed ospedali anche oltre i confini nazionali. Come se non bastasse, da oltre un anno, a causa di una grave malattia neurologica autoimmune degenerativa, irreversibile e cronica, si sottopone, settimanalmente a plasmaferesi e immunoglobuline presso il Centro Trasfusionale dell’Ospedale Vito Fazzi di Lecce, seguito dal Dottore Valentino e dal Dottore Canaris. 
Carlo Calcagni, residente a Cellino San Marco, in Puglia, vuole  partecipare alle paraolimpiadi di Rio perché lo sport è la sua  salvezza, oltre a  vantare un curriculum professionale e umano  carico  di professionalità ed esperienza sul campo (addestramento in volo previsto per i piloti operativi e comandante di uomini) è stato anche un grande  atleta di livello internazionale, vincendo 15 titoli di Campione Italiano e 3 di Campione del Mondo. Dopo aver partecipato  a varie missioni, nel 1996 viene inviato in missione internazionale di pace a Sarajevo, in qualità di Pilota Osservatore e addetto al servizio MEDEVAC (evacuazioni medico sanitarie), l’unico pilota di elicotteri del primo Contingente Italiano. Prima di partire per la Bosnia godeva di ottima salute poi arrivò il fatidico  febbraio del 1996:
«Il nostro - racconta –  fu il primo contingente italiano in Bosnia. Tremila persone stanziate a Sarajevo. Obiettivo: il mantenimento della pace.Una volta arrivati lì, la situazione logistica  fu tragica. Non avendo alloggi, ci insediammo nell'ex ospedale completamente distrutto, vivendo con i sacchi a pelo  tra le macerie, con i teli tenda sulle finestre e la temperatura sotto lo zero. La nostra occupazione principale fu quella  di bonificare le zone minate. Io ero l'unico pilota d'elicottero. Effettuavo ricognizioni e soccorrevo salme e feriti saltati sulle mine. Attività particolare e rischiosa la mia, per la quale  mi vennero  tributati due elogi ed un encomio per l’alto grado di professionalità con cui avevo espletato il mio dovere di soldato».
Proprio a causa della duplice attività di Pilota Osservatore e soccorritore,  Carlo venne a stretto contatto con le polveri sottili di metalli pesanti e con le altre sostanze tossiche derivate dall’esplosione di munizioni con uranio impoverito, facilmente inalabili.
 
Carlo, come  è venuto a contatto con l'uranio impoverito?
«Quando atterrai sui luoghi di guerra per portare soccorso ai feriti e salvare tante vite credevo fossero altri i nemici. Pensavo di dovermi difendere da Uomo e da Soldato invece in quei luoghi feci l’incontro con un nemico nuovo, inaspettato e subdolo: l’URANIO IMPOVERITO. Nemico che noi militari impiegati in quelle  zone, non conoscevamo. Le zone erano state  "notoriamente contaminate" dai bombardamenti degli alleati americani,  con proiettili all’uranio impoverito e proprio  in quelle  aree noi andavamo ad operare tranquillamente, facendo attenzione ai rischi previsti ma non avendo i mezzi per proteggerci dalle polveri sottili e dai metalli pesanti generati dall’esplosione delle bombe all’uranio impoverito. Noi non avevamo nessun tipo di protezione, mentre gli altri contingenti sì.Eravamo in una zona rasa al suolo, equipaggiati con giubbotto e tuta da volo ma senza  una mascherina da pochi euro, una di quelle ai carboni attivi, per salvarci la vita. Lì io pilotavo l'elicottero, alzando una grande infinità di polvere, che poi respiravamo. L' uranio impoverito è terribile perché nell’esplosione riesce a raggiungere temperature fino a 5000 gradi centigradi, temperatura che sublima qualsiasi materiale coinvolto nell’esplosione, generando un letale aerosol che, se  respirato, in soli 30 secondi non è più  smaltibile e attraverso le vie respiratorie, inizia una terribile invasione dell’organismo umano, raggiungendo attraverso  il sangue, ogni organo e generando danno d’organo e gravissime malattie, perché  queste microparticelle oltre a non essere biodegradabili e biocompatibili, sono materiali tossici sia dal punto di vista fisico  che da quello chimico, infatti il nostro corpo è soltanto apparentemente integro.Ed ecco come ci siamo ammalati. Ma la malattia non è stato l’unico problema. Ho impiegato anni a farmi riconoscere la causa di servizio per la mia malattia, derivante dall’uranio... e credo di essere l’unico a cui una Commissione Medica Militare abbia  messo nero su bianco specificando: “Calcagni è stato verosimilmente esposto a uranio impoverito"».
 
Dal momento della contaminazione a quello della scoperta di essere ammalato, possono trascorrere diversi anni.Come ha scoperto la malattia?
«Iniziai a notare qualcosa di strano proprio grazie alla mia passione, la  bicicletta: non riuscivo più ad allenarmi, recuperare gli sforzi sembrava impossibile. Stavo male e anche volare era diventato un peso. Presi la decisione di fare controlli approfonditi privatamente, perché dai controlli effettuati annualmente presso l’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica Militare a Roma, per la conferma dell’idoneità a svolgere attività di volo in qualità di pilota, risultava tutto nella norma. 
Il 18 novembre 2002  mi ricoverai per accertamenti e il quadro clinico  fu terribile, la mia situazione fu definita grave e cronica: i risultati delle biopsie multiple del midollo e del fegato confermarono una “massiccia“ contaminazione da metalli pesanti.Le analisi  dimostrarono   livelli elevati dei seguenti metalli pesanti tossici: alluminio, cadmio, piombo, antimonio, arsenico, bario, cesio, mercurio, nichel, tallio, stagno e tungsteno.
 Dopo una biopsia, decisi di rivolgermi  al laboratorio dell'università di Modena, dove vennero  riscontrate nel mio fegato,  particelle metalliche tossiche. Qualche mese dopo subentrò l'anemia: mi asportano tre centimetri di midollo  con   particelle metalliche tossiche. Il mio corpo era “invaso” da un nemico invisibile, che giorno dopo giorno, inesorabilmente e silenziosamente, iniziò a prendere spazio e potere nel corpo e nella mente, attraverso minuscole particelle che impercettibilmente minavano l’organismo dal proprio interno. In quel periodo iniziai a scrivere più volte alle istituzioni senza mai avere alcuna risposta: indifferenza totale. Questo fu  più doloroso della stessa sofferenza causata dalla malattia».
 
Iniziò così  il lungo calvario di Carlo e la sua lotta per vivere  e curarsi.
Oggi soffre di patologie multiorgano, ognuna molto grave e che nell’insieme sono ancor più devastanti e difficili da curare.Nel decreto di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio, emesso dal Ministero della Difesa che gli ha riconosciuto una invalidità permanente del 100%, concedendogli anche il Distintivo d’Onore di Ferito in Servizio e il Distintivo d’Onore di Mutilato in servizio, sono riportate: Sindrome Mielodisplastica Secondaria, con citopenia refrattaria e con marcata Displasia Multilineare, mancato funzionamento dell’Ipotalamo e dell’Ipofisi, insufficienza renale cronica, riscontro di corpi estranei metallici non asportabili ed encefalopatia tossica da metalli pesanti. Nel 2010 gli viene certificata la necessità di un trapianto allogenico di midollo, successivamente una Displasia Aritmogena del Ventricolo destro,  una Cardiopatia da Metalli Pesanti con una funzionalità cardiaca ridotta al 35% e una Encefalite Demielinizzante Autoimmune di tipo Cronico Degenerativo e Irreversibile con sindrome Atassica. A maggio di quest’anno gli viene diagnosticata una Polineuropatia Sensitivo Autonomica e Deficit Multiorgano da esposizione a metalli pesanti e appena un mese dopo, il Morbo di Parkinson. A dicembre 2015, viene riscontrato un peggioramento della insufficienza respiratoria già nota: fibrosi polmonare; circa due anni fa i suoi polmoni avevano già subito un intervento molto invasivo per l’asportazione di tre noduli di circa 2,5 cm ciascuno.
Oggi  Carlo  è  costretto a sottoporsi a terapie quotidiane  e ogni quattro mesi segue una terapia specifica in un centro specializzato in Inghilterra il "Breakspear Hospital", della durata di 20 giorni. Ogni giorno, sin dalla mattina, deve assumere oltre 300 compresse e fare 7 iniezioni di immunoterapia a basso dosaggio (ogni iniezione contiene un mix di 25 vaccini) per far fronte alla MCS (sensibilità chimica multipla). Deve affrontare 18 ore al giorno di ossigenoterapia per una gravissima ipossia dei tessuti, altre due ore di ossigenoterapia in camera iperbarica, altre 4-5 ore di flebo e fare almeno 30 minuti al giorno di sauna ad infrarossi. Ogni sera, prima di coricarsi deve indossare la maschera del ventilatore polmonare collegato all’ossigeno che deve sopportare per tutta la notte, una volta alla settimana si sottopone a plasmaferesi e all’occorrenza a trasfusioni ematiche. Cure che non  guariscono. Tamponano il male che avanza: aiutano a vivere una vita quasi normale.
 
Come affronta tutto questo?
«Mi convinco di essere forte, perché sono un atleta, e l'atleta è forte innanzitutto nella testa. Ho la febbre quasi tutte le sere e nel mio corpo c'è una bomba a orologeria e mi auguro che la sveglia non suoni mai. Grazie alla convenzione fra il Comitato italiano paralimpico (con il presidente Luca Pancalli) e il Ministero della Difesa (con il ministro Roberta Pinotti),  sono entrato nel corpo degli atleti paralimpici e ho iniziato a sognare di nuovo. La prima classificazione mi ha consentito di stare ancora su una bici “normale”, ma qualche mese dopo, causa anche della grave malattia neurologica, sono passato al triciclo.
Il mio stato di salute è grave. Anzi, con gli ultimi controlli di giugno 2015 in Inghilterra, è stato dichiarato gravissimo. Ma vado avanti con coraggio, ho vinto due ori in Coppa del Mondo.Ora punto  alle Paraolimpiadi di Rio de Janeiro 2016 perché senza un obiettivo non potrei sopportare tanto dolore. 
Mi alzo ogni mattina con il solo scopo di  essere di esempio e trovare le energie per salire sulla mia bici, una bici speciale  perché è la mia macchina di salvezza. Mi sottopongo a tutto con un sorriso anche grazie ad essa.  Accetto tutto  purché gli “intrugli” che mi offrono, che siano in pillole, flebo o dolorosi interventi,  mi consentano di salire sul mio destriero:  la mia bici!». 
 
Lei deve lottare anche con un altro nemico: la burocrazia.
«Ironia della sorte, proprio in Bosnia sono stato encomiato in zona di operazioni per aver ben rappresentato l’esercito italiano e per aver dato lustro all’Italia intera in un contesto internazionale, questo non mi ha portato a nessun riconoscimento in Italia perché sono rientrato con le mie gambe.
Una battaglia che porto avanti tutti i giorni da 14 anni  perché non è ancora stata definita la pratica di risarcimento sebbene io  sia uno dei primi militari a cui è stato riconosciuto il nesso causale fra la partecipazione alla missione in Bosnia con l’esposizione ai frammenti dei proiettili e delle bombe costruite con l’uranio impoverito e le infermità permanenti riportate, dalle commissioni mediche militari, dal Comitato di Verifica e dal Ministero della Difesa. 
Non ho mai ricevuto un riconoscimento dalla Stato italiano per la partecipazione a quella missione all’estero che ha poi avuto la conseguenza di stravolgere la mia vita.
Inoltre, il risveglio rappresenta uno dei momenti più difficili della giornata perché i dolori alle mani mi impediscono persino di svitare le chiusure dei contenitori dei medicinali. Devo per forza farmi aiutare, ma la commissione invalidi della ASL di Brindisi che mi ha sottoposto a visita il 30 novembre 2015 per valutare la mia domanda di accompagnamento,  non mi ha riconosciuto questa necessità».
 
In questi anni ha avuto una certa visibilità e continua a lottare anche per tutti i commilitoni che sono morti nel silenzio e nella solitudine e per coloro che soffrono il suo stesso dramma. Qual è il suo messaggio?
«Mi hanno chiamato eroe: ma lo hanno fatto le persone comuni.
Mi hanno dato il premio internazionale Don Pino Puglisi con la seguente motivazione: “Donarsi agli altri senza mai nulla chiedere”. Il mio compito è questo ora: portare un messaggio di speranza a tutte le persone in difficoltà, voglio essere d’esempio, voglio far vedere che lo sport può regalare una nuova possibilità a tutti coloro che ora si sentono diversi… NON SIETE SOLI!».
 


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