MENU

Altro che mezzo vuoto/ «Il mio bicchiere è traboccante!»

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

5
FEB
2016
Salvatore è “un ragazzo di ben quarantuno anni”, come si definisce. Vive a Manduria e da un po’ di anni guarda il mondo seduto su una carrozzina, anche se, come ci assicura, la visuale è comunque fantastica. Abbiamo voluto incontrarlo per conoscere la sua storia e per raccontare il suo ottimismo contagioso
 
«Chi è disabile deve solo rendersi conto di essere normale in mezzo a tutti gli altri». È con questa decisa affermazione che Salvatore Sgura, ha concluso le sue confidenze sulla sua vita e sulla disabilità con la quale convive. Salvatore vive a Manduria, si definisce un ragazzo di ben quarantuno anni. Abbiamo voluto incontrarlo per conoscere la sua storia e le sue ambizioni. Da un po’ di anni guarda il mondo seduto su una carrozzina e ci riferisce che la visuale è comunque fantastica. I colori della vita li ha dentro, non aspetta che gli arrivino dall’esterno. È amante della vita, sorridente ed estremamente ottimista, Salvatore non guarda il bicchiere mezzo pieno, ma del tutto traboccante. Non lamenta le strade difficili da percorrere in carrozzina, ha saputo giocare d’anticipo, educando gli altri a stargli accanto. Ironizzando sui suoi limiti, ma prima di tutto accettandoli. È così che ogni uomo è davvero libero dalle sue catene. 
 
Salvatore, così allegro e determinato. Svelaci il tuo segreto. 
«Non sono positivo, sono realista. Vedo le cose così come sono. Se io mi pongo nella società da disabile in carrozzina, sono io stesso a rendermi vittima. Tutto dipende dalla mia visione delle cose e successivamente da tutto il mondo che mi circonda, che mi tratterà come io vorrò essere trattato. Sono io a lanciare il messaggio di partenza. Non è la disabilità a rendere disabile una persona, ma la coscienza del proprio essere e il giudizio che si ha di se stessi. In realtà, eliminerei totalmente il termine disabilità. Bisognerebbe più parlare di dipendenza. Portando un esempio quotidiano, per entrare in macchina io dipendo da qualcuno, passato questo momento, il mondo gira normalmente. Io vedo la disabilità nel momento in cui mi circondo di persone che mi mettono nelle condizioni di vederla. Non succede spesso ma succede».
 
…Quindi siamo tutti disabili se focalizziamo i nostri limiti… 
«Ci sono persone che non riescono ad affrontare alcune situazioni e dipendono dalla madre, dal datore di lavoro, da una persona più forte, ma anche semplicemente da una sigaretta. Nel momento in cui si riesce ad affrontare quel momento di dipendenza, non si è più disabili. Io sono dipendente per alcune cose, da alcune persone. Se cammino per strada e trovo una buca ho necessariamente bisogno di deviarla perché altrimenti non potrei andare oltre, altri invece scavalcano quella buca più facilmente di me. Ognuno ha semplicemente delle debolezze».
 
Salvatore, raccontaci di te. 
«Sono un educatore. Mi sono iscritto all’università a trent’anni, sostenendo la tesi in crimonologia e dipendenze patologiche. Attualmente sto lavorando come coadiutore amministrativo, presso l’Asl per un concorso vinto nel 2009. Alle scuole medie sono stato bocciato, allora dicevo alla mia insegnante che la scuola era sbagliata e non io ad essere svogliato. Oggi da educatore dico che quel bambino aveva ragione. Se un bambino non è predisposto a studiare, un buon insegnante deve mettere nelle condizioni di applicarsi e rendere interessante quello che c’è da imparare, incentivando alla voglia di conoscere. La mia laurea a trentatre anni è stata la mia grande rivincita. La mia insegnante mi disse che non sarei stato capace nemmeno di prendermi la terza media invece mi sono laureato con la lode e forse mi prendo anche la seconda laurea in psicologia. 
 
Che tipo di educatore sei? 
«Mi chiamano il simpatico. Tratto tutti allo stesso modo indipendentemente dalla patologia e dall’età. Ho lavorato presso cooperative con ragazzini normodotati o con disabilità di tipo cognitivo. È un lavoro che mi piace tanto e in cui riesco a esprimere molto della mia persona.
 
Salvatore, sappiamo che hai fondato un’associazione e i progetti realizzati hanno riscosso notevole successo. 
«Sì, ho creduto fortemente nei principi di partenza e nel 2013 sono stato fondatore e presidente dell’Associazione “Città per tutti”. Da tre anni ci occupiamo di tematiche sociali in generale come la violenza sulle donne, il linguaggio dei segni, le normative vigenti, barriere architettoniche, ecc. Ho voluto dare un’impronta leggermente diversa dalle solite. Estremamente democratica dove il presidente vale tanto quanto l’associato irreperibile. L’anno scorso abbiamo realizzato un bellissimo progetto. Abbiamo reso accessibile una spiaggia a Campomarino di Maruggio. Abbiamo creato una passerella fino al mare, con addetti per l’aiuto ad entrare e uscire dall’acqua a persone con disabilità. È stato l’unico progetto in tutta la Puglia, le cui soddisfazioni sono inesprimibili. Vedere una ragazza in coma, seppur vigile, dopo tanti anni fare il bagno, non ha eguali. Tutto ciò è stato possibile solo grazie a un po’ d’impegno. Tra i prossimi progetti, vogliamo ampliare questo dell’anno scorso. Stiamo realizzando delle raccolte fondi perché quest’estate vorremmo realizzare delle spiagge accessibili attrezzate di pedane e servizi a San Petro in Bevagna e a Campomarino. Per noi poter accedere alla spiaggia e al mare è importantissimo. Vorremmo creare inoltre qualche lido permanete, cosa ancora più impegnativa, ma con un buon impegno, ci riusciremo».
 
Possiamo dire che hai condotto due tipi diversi di vita fino ad oggi, realizzando una visione del mondo del tutto completa.
 «Certe volte penso che sono in carrozzina perché queste gambe hanno corso troppo. Correvo di continuo. Mi alzavo la mattina e andavo a correre, tornavo a casa e andavo a scuola o a lavoro. Giocavo a calcio nel fine settimana. Mia grande passione era il pugilato, lo amavo troppo. A diciannove anni le mie gambe hanno detto basta. Ero giovanotto. Vinsi il concorso da carabiniere, ma non sono mai partito. La cosa che mi dispiacque proprio tanto, fu proprio dover firmare la rinuncia. Nei primi periodi ci soffrivo un po’ ma adesso ho altre mete e altri progetti. Punto lo sguardo su altre cose, questa è la vita mia. È stata una buca di città, dal contraccolpo ho urtato la testa al tettuccio dell’auto. Quando arrivarono i miei genitori in ospedale, il vigile disse a mia madre che non era successo nulla di grave perché mi aveva sentito cantare. Invece paraplegia e parestesia alle gambe da quel momento avrebbero fatto parte di me. Io cantavo solo per non dare sofferenza a chi stava vicino a me». 
 
Cosa ti senti di dire alle persone insoddisfatte e infelici della vita? 
«Forse è nella loro natura vedersi infelici. Bisogna guardare il bello che si ha e su quello puntare. Se oggi dovessi pensare a quello che ormai non faccio più, sarei già affetto da una grave depressione, invece ho investito sull’intelligenza, media ma c’era. Parlo, vedo, sento, mi emoziono e non è affatto cosa da poco. Non bisogna però avere aspettative. Mete, ma non aspettative. Se si carica troppo sulle aspettative si rischia di rimanere delusi». 
 
Salvatore, nella tua esperienza di vita, potresti dire di essere fortunato?
«Sì, decisamente. Lo devo a chi mi circonda. La grande fortuna è mia madre. Subito dopo il mio incidente, i miei amici venivano a prendermi e giustamente mia madre aspettava che tornassi. Anche alle quattro di notte per lei era sempre presto, diceva che non dovevo cambiare abitudini per nessun motivo, tantomeno a causa sua che mi aspettava sveglia. Ho quindi avuto quella carica che la vita va vissuta non più soltato per me stesso. Se sei triste basta un bel pianto ma poi bisogna ridere e reagire. Mia madre dice che porto adrenalina in casa. È capitato che mi chiamasse per dirmi che il pranzo era pronto e io che le dicessi di trovarmi a Barcellona. Dice che sono pazzo. In realtà la grande forza del mio carattere innato è ben alimentato dal contesto familiare. Io mi sento fortunato perché ho avuto lei. Se non ci fosse stata, io non sarei potuto essere quello che sono. Probabilmente non mi sarei mai laureato, non avrei fatto così tante esperienze e non avrei viaggiato cosi tanto. Non ho mai avuto chi mi ha limitato. Provate a immaginare se uno non può nemmeno permettersi di sbattere la porta e andarsene, ma ha bisogno di essere messo fuori casa». 
 
Hai un aneddoto da condividere? 
«Tempo fa ho chiesto a un nonnino di circa ottant’anni anni un aiuto a mettermi in macchina. Lui era molto scettico e convinto di non farcela, in realtà non doveva fare grandi cose, la difficoltà maggiore sarebbe stata quella di mettere la carrozzina in macchina. Alla fine lo ha fatto e si è anche sentito soddisfatto. Queste naturalezze le acquisisci col tempo. Sono andato a Napoli da solo in macchina. Arrivato dove nessuno mi conosceva sarei rimasto chiuso in auto senza scendere oppure avrei coinvolto il primo passante. Lascio immaginare quale delle due ho scelto. Dipende tutto da come ci si pone. Se per me è tutto molto naturale, la società risponde a specchio. Da essere vittima ci si ritrova a fare l’educatore della società». 
 
Le barriere mentali non ti spaventano e quelle architettoniche? Ne hai incontrate molte? 
«Il comune di Manduria non è accessibile, l’ospedale non ha reparti di unità spinale. Non abbiamo grandi centri specializzati. Il mare non è accessibile. Non abbiamo bagni pubblici. Il 90% delle attività chiuderebbe perché non è a norma. Vuoi che continui? Gli ausili per accessoriare l’auto costano tantissimo. La regione fornisce solo il 20%. Ti permettono di non pagare il bollo dell’auto, l’iva e continuano a trattarti in modo differente. Invece a mio avviso, dovremmo pagare come tutti gli altri, senza avere agevolazioni, ma essere forniti di tutto il necessario per condurre una vita normale e senza limiti». 
 
Svelaci un grande sogno. 
«Fosse solo uno. Vorrei creare un centro per il “dopo di noi”. Inoltre voglio realizzare dei cortometraggi, ancora meglio sarebbe realizzare un film. Ho una serie di attori e ho anche trovato la location. Ho realizzato già un cortometraggio dal titolo “Una passeggiata in corto” dove io ci provo con una straniera. Si tratta la disabilità e si vede un po’ la gente come ci tratta. In più vorrei dedicarmi alla scrittura. Storie di amicizia, di amore, di famiglia, storie inventate basate su fatti veri, ne ho tantissime abbandonate che aspettano di prendere vita. In ogni storia c’è sempre un personaggio che ha una disabilità motoria. Però la particolarità è che questa persona vive normalmente la sua disabilità, non viene vista come vittima perché è in carrozzina. Autonomo e indipendente, è semplicemente seduto. Il disabile nelle mie vicende è sempre in una condizione di normalità. Spiegarlo è difficile».
 


Lascia un commento

Nome: (obbligatorio)


Email: (obbligatoria - non sarà pubblica)


Sito:
Commento: (obbligatorio)

Invia commento


ATTENZIONE: il tuo commento verrà prima moderato e se ritenuto idoneo sarà pubblicato

Sponsor