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OSPEDALI DI PUGLIA /Riconversione, ottimizzazione, chiusura

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

10
MAR
2016
In tema di sanità è d’obbligo tagliare le spese, ma anche quando la coperta è troppo corta nessuno vorrebbe rimanerne senza 
 
Dulcis in fundo, gli Ospedali. Ecco, la locuzione latina appena utilizzata introduce il più triste ossimoro dedicato alla Sanità, nel nostro caso pugliese. Il neo Governatore, Michele Emiliano, durante un recente incontro avvenuto a Foggia, è stato chiaro con gli operatori sanitari: “dei 39 ospedali regionali, quelli che coprono il fabbisogno della popolazione per l’89 per cento dell’utenza, sono in tutto 13-14. Gli altri li chiuderemo semplicemente perché non servono, anzi in alcuni casi sono pure pericolosi perché parliamo di strutture vecchie e malandate, un costo per le casse della nostra sanità pubblica che non ci possiamo più permettere”. Decisione che, tanto per cambiare, servirà a  razionalizzazione le spese, quindi è d’obbligo eliminare il “superfluo”. Del resto, con i tagli in arrivo da Roma, pari a 38 milioni di euro, non ci sarebbero per Emiliano molte alternative, visto e considerato che ha ben compreso non si possono aumentare ancora le tasse. “Costi quel che costi – ha detto il presidente – si deve riorganizzare la sanità anche a caro prezzo, senza paura di sommosse popolari e a costo anche di non essere rieletto”.  Pertanto, lo scorso dicembre si è detto pronto a chiudere ben 25 ospedali, alla luce del definanziamento del fondo sanitario pugliese, che ora ammonta a poco più di 7 milioni di euro. Si parla così di presidi accorpati, vedi la Asl di Lecce ove, a parte il Fazzi, di primo saranno il polo Galatina-Copertino e quello di Casarano-Gallipoli, mentre Scorrano diventa ospedale di base. Ossia da 6 strutture autonome si passerebbe a 4 e da accorpare i reparti fotocopia. Altri due sarebbero a rischio nel Barese:Corato(96 posti letto) e Terlizzi (77 posti letto). A rischio ridimensionamento il nosocomio di Molfetta, mentre Noci e Rutigliano da riconvertire in strutture extra-ospedaliere. Resterebbe intatto il Policlinico(vorrei vedere!).  A rischio anche i presidi di Canosa e Trani nella BAT. In Capitanata hanno già chiuso quelli di Torremaggiore, San Marco in Lamis e Monte Sant’Angelo e si diceva a rischio,al momento pare superato, quello di Lucera, unico di una vasta area ‘disagiata’. Ridimensionamenti per Manfredonia, San Severo e Cerignola. Alla Asl di Brindisi che comprende un ospedale di II livello, uno di I ed un altro di livello Base più tre ex ospedali già declassati e con plessi aggregati. A rischio l’ex ospedale San Camillo De Lellis di Mesagne, già declassato, oggi solo presidio territoriale distaccato dell’ospedale Perrino di Brindisi. E passiamo a Taranto dove, nonostante il direttore generale Asl, Stefano Rossi, parli solo di ottimizzazione dei servizi, si attende conferma sull’annunciata chiusura dei pronto soccorso dell’ospedale Moscati e del San Marco di Grottaglie.  In vista dei presunti ‘tagli’ dei presidi ospedalieri in Puglia, le cronache sottolineano un’ulteriore “grana” da considerare con l’entrata in vigore della direttiva europea sui turni di lavoro che prevede il riposo di 11 ore e 48 ore di lavoro settimanale. Pertanto dovremmo parlare di assunzioni. I candidati ci sono e la lista è lunga, ma sarebbero tutti acquisiti a tempo indeterminato? Chissà! Vista la condizione sanitaria in generale, pare una matassa ostica da sciogliere. Eppure il predetto parrebbe l’ultimo dei problemi, in virtù dell’intricato iter delle liste d’attesa. Già, non è mica facile affrontare un esame clinico servendosi dell’assistenza sanitaria convenzionata. In taluni casi, con pazienti anche affetti da gravi patologie, occorrono mesi, se non addirittura, anni d’attesa. In questa assurda congerie, a fine febbraio la Giunta Regionale ha dato il via libera allo schema di provvedimento per il riordino della rete ospedaliera pugliese. I nuovi standard, come indicati dal decreto ministeriale 70 del 2015 e dalla Legge di stabilità 2016, prefiggono l’obiettivo di portare le reti ospedaliere nazionali in parametri omogenei di sicurezza, efficacia di cura ed efficienza gestionale. Per la Puglia, il presidente/assessore alla sanità Emiliano sottolinea che il nuovo piano “non taglia i posti letto, perché li ridistribuisce tra ospedali di secondo livello (hub), ospedali di primo livello e ospedali di base”. Però, abbiamo ben compreso che dal primo incontro a Roma del Governatore pugliese con il Ministro Lorenzin, non è venuto fuori granché di positivo. E’ occorso rivedere ulteriormente il Piano. Ciò fatto, il primo marzo si viene a conoscenza del nuovo provvedimento che prevede: cinque ospedali di secondo livello (Ospedali riuniti di Foggia, Policlinico di Bari, Santissima Annunziata di Taranto, Perrino di Brindisi, Vito Fazzi di Lecce); undici ospedali di primo livello (ospedale Masselli di San Severo, Tatarella di Cerignola, Bonomo di Andria, Dimiccoli di Barletta, Di Venere e San Paolo di Bari, ospedale della Murgia di Altamura, ospedale civile di Castellaneta, Camberlingo di Francavilla Fontana, Sacro cuore di Gallipoli, Delli Ponti di Scorrano), cui si aggiungono gli ospedali privati e classificati dotati di pronto soccorso. Dodici ospedali di base (ospedale civile di Manfredonia, Vittorio Emanuele di Bisceglie, Umberto I di Corato, Don Tonino Bello di Molfetta, San Giacomo di Monopoli, Santa Maria degli Angeli di Putignano, Ferrari di Casarano, San Giuseppe di Copertino, Santa Caterina di Galatina, ospedale civile di Ostuni, Giannuzzi di Manduria, Valle d’Itria di Martina Franca). “Buona parte degli ospedali di base rispetto alla configurazione prevista dal ministero (anestesia, pronto soccorso, medicina, chirurgia, ortopedia) – si legge sul comunicato diramato dalla Regione Puglia - conserveranno le ulteriori discipline che storicamente presidiano il fabbisogno epidemiologico locale”. Confermata la riconversione per il Fallacara di Triggiano, Sarcone di Terlizzi, San Camillo di Mesagne, Melli di San Pietro Vernotico, Umberto I di Fasano, San Marco di Grottaglie, ospedale Caduti di tutte le guerre di Canosa, San Nicola Pellegrino di Trani. Michele Emiliano ha così chiosato l’esiziale ‘diritto alla salute’ dei cittadini  col dire“non ci sono strutture che chiudono, ma ci sono strutture che vengono riconvertite. Abbiamo fatto questa riconversione non per risparmiare danaro, perché la spesa è sempre la stessa”. La spesa è la stessa? Pare di sì. E lo motiva con “per utilizzare bene il personale le risorse, le strutture ospedaliere e quelle del territorio. Quindi non ci sono stati tagli, di nessun tipo: semplicemente, come si fa in casa, quando c’è scarsità di un elemento, si cerca di concentrare tutte le risorse dove servono, cercando di evitare di sprecarle dove servono meno. E questo è stato fatto”. Infine l’annuncio(ultimo in ordine di tempo): “Avremo 5 ospedali di secondo livello, significa il massimo livello che  esiste in Italia, 11 di primo livello, ospedali molto ben attrezzati con quasi tutte le specializzazioni. 12 ospedali di base, che sono quelli più vicini alle persone. Molti di questi saranno rafforzati e manterranno più specialità e più reparti di quelli che normalmente sarebbero previsti per di questi ospedali base”. A tutto questo ben di Dio, non sono mancate, da più ambiti, sonore proteste. Far apparire accessoria la chiusura  di altri ospedali, dopo quelle attuate durante la Giunta Vendola, non è cosa da poco! Basti pensare ai milioni di euro spesi dai cittadini pugliesi per modernizzarli e poi abbandonati alla ‘riconversione’. Gli ex Ospedali di Massafra, Mottola e tanti altri restano testimonianza tangibile. Tant’è che, per cercare una più degna soluzione, lunedì scorso si sono riuniti d’urgenza i Conservatori e Riformisti alla presenza del loro leader, Raffaele Fitto. Il giorno successivo ha fatto altrettanto il Gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle. Grosse turbolenze riverberano anche nel PD e da parte dei vendoliani. 
 


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