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Natura vs cemento / Lì dove non si sarebbe dovuto costruire

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
SET
2016

Tutta la Puglia ha dovuto fare i conti con piogge torrenziali, causa di diverse alluvioni: anche la costa brindisina non è stata risparmiata, con un violento nubifragio che ha portato a crolli e allagamenti diffusi. Eppure in un passato non troppo lontano tutto questo non sarebbe accaduto.

L’acqua fonte di vita. Lo insegnano sin dalle classi primarie, così come insegnano il ciclo dell’acqua e il comportamento dei fluidi. 

Ogni anno, la cadenza del tempo non è più segnata dal cambio delle stagioni ma dagli effetti climatici. Nei mesi estivi si lamenta la siccità e, con l’arrivo delle prime piogge, gli allagamenti. E con questi, la conta dei danni per l’agricoltura, per gli edifici, in termini di vite umane.
Eppure l’acqua è sempre la stessa, da millenni. Il suo ciclo non cambia, nasce dalla terra e torna alla terra. Il suo percorso deve terminare in un bacino, nelle profondità della terra, in mare.
Gli Assiri, i Babilonesi, gli Egizi avevano compreso esattamente che era impossibile domare le acque ma sfruttarne solo la loro energia e virtù. Sapevano che nessuno può interporsi al loro percorso naturale.
Ancora oggi è possibile ammirare eccezionali opere d’ingegneria idraulica del passato, costituite da canali che assecondavano il deflusso delle acque e cisterne per accumularne il maggior quantitativo possibile, come scorta e per i periodi di secca.
E’ con l’avvento dell’urbanizzazione e dell’antropizzazione intensive, che l’alterazione orografica del territorio ha modificato i corsi naturali delle acque. Strade, ferrovie, edifici, iniziarono a sorgere in qualsiasi sito, contro ogni logica o legge fisica.
Dal termine della Seconda Guerra Mondiale in poi, la ricostruzione, l’espansione delle città, l’abbandono delle campagne, hanno determinato un’edificazione indiscriminata, passando dalla diffusione del cemento armato sino alla speculazione edilizia che richiedeva spazi sempre più ristretti per il maggior numero d’immobili possibili.
Così, anche le opere del passato erano ignorate. Agricoltura intensiva, edilizia selvaggia, infrastrutture faraoniche e avventate, dagli anni ’70 in poi, continuano a coprire il suolo nazionale senza alcuna considerazione per l’ambiente e il territorio. Alvi, doline, cavità carsiche, lame, distrutti o modificati irreversibilmente per dare spazio all’opera dell’uomo e alla sua occupazione incondizionata, posta a barriera di corsi d’acqua e impluvi naturali. Non a caso la cementificazione è parallela al disboscamento e al rischio d’estinzione di alcune specie animali.
Complice la compiacenza politica e amministrativa che presto ha intuito il vantaggio del binomio fra favori e consensi. Un enorme macchina per ottenere denaro e voti che, ancora oggi, con il decremento demografico e il surplus degli alloggi, incontra numerosi estimatori. Il tutto favorito dai condoni edilizi che, promettendo incrementi occupazionali e soluzioni alla crisi degli alloggi, incentivano l’abuso edilizio e l’edificazione spontanea e priva di programmazione.
E’ sufficiente osservare le nostre coste e le pendici di vulcani e di alture, per comprendere quanto sia sconsiderato il consumo del suolo. Esempi sono le coste pugliesi dove, in nome della crescita economica, lunghissimi tratti di litorale sono stati svenduti a investitori stranieri privi di scrupoli, che li hanno trasformati in villaggi turistici e centri residenziali per i nuovi ricchi degli anni ’70. 
Attualmente sono decadenti agglomerati di edifici, spesso abbandonati o in cattivo stato di conservazione, che continuano a impedire il naturale sbocco a mare delle acque piovane. Basti pensare al tratto di costa brindisina fra Torrecanne e Ostuni. Si è, perfino, edificato negli alvi dei canaloni che congiungevano le Murge al mare di Bari.  
L’unico deterrente sono i vincoli a tutela del territorio, in perenne mutazione e disseminati frettolosamente come a voler porre un argine tardivo. Ma ai vincoli non seguono attuazioni concrete e, attraverso carenze normative o confuse modalità applicative, lasciano spiragli tanto validi ai costruttori edili quanto deleteri per ambiente e territorio. Non sono considerati delle misure di difesa ma degli ostacoli da raggirare o ingiuste imposizioni da eludere.
Ogni anno si ripropongono le stesse emergenze: città allagate dove le strade si trasformano in fiumi in piena che trasportano case, mezzi di trasporto, uomini, animali, nel loro inarrestabile decorso. Un prezzo troppo alto cui è difficilissimo porre un concreto rimedio. L’acqua che smette di essere un elemento indispensabile alla vita e diviene imputata di disastri e morte. Come se fosse animata da una vita propria. Eppure l’acqua è sempre la stessa, da millenni.
Solo una profonda e comune presa d’atto, accompagnata da decisioni forti e impopolari, possono porre rimedio a questa grave emergenza. Prima che gli immobili acquisiscano un significato storico, laddove siano ubicati senza pianificazione o siano dannosi all’ambiente e al territorio, devono essere progressivamente rimossi secondo un preciso programma pluridecennale di riassetto. A questo sarebbe giusto accoppiare il totale fermo a tempo indeterminato, della nuova edificazione e il recupero del patrimonio valido esistente.
Nella sfida fra Uomo e Natura vince la Natura. Sempre.


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