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Il suolo sul quale andremo a camminare per tutta la vita

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

20
OTT
2016
Non di quelli affetti da mali e menomazioni oppure dei bimbi di Aleppo o dei tanti malnutriti e abbandonati. Neppure di quelli mai nati. Parleremo di tutti i bambini che sono più fortunati, quelli per cui la vita non è una scommessa. Perché a loro appartiene il futuro e, pertanto, a loro spetta un posto centrale nella società
 
 
Cuccioli di uomo, riflesso della vita. Fogli di carta tanto pregiata quanto delicata, su cui sono impresse poche righe colorate che attendono di trasformarsi in testo.
Inermi e totalmente dipendenti, capaci solo di poche sensazioni e di elementari bisogni: fame, sonno, calore, amore.
Bambini. Non parlerò di quelli affetti da mali e menomazioni, o di quelli per cui la vita è una favola nel cui finale vince il cattivo, oppure dei bimbi di Aleppo o dei tanti malnutriti e abbandonati. Neppure di quelli mai nati. Loro meritano molto di più. A loro spetta una parte della nostra vita. A loro spetta la vita. 
Parlerò di tutti i bambini che sono più fortunati, quelli per cui la vita non è una scommessa. Penso ai figli della cosiddetta società civile.
Eppure i bambini sono tutti uguali, quelli di Aleppo, i bambini del Terzo Mondo, i figli del Primo e Secondo Mondo. Anche il principino George. Quando nascono, sono tutti uguali e la loro condizione muta solo per volontà degli adulti.
Dalla nascita all’età evolutiva, la relazione dei bambini con l’ambiente circostante, è sostanziale per lo sviluppo psicologico e per la formazione di un individuo sano e maturo. E’ sugli adulti che grava l’enorme responsabilità di soddisfare i bisogni dei bambini, fornendo loro indirizzi. E’ il modo di dispensarli e la loro qualità, che distingue quelli benefici dai dannosi. 
Ogni genitore ritiene di sapere qual è il meglio e il giusto per generare gli uomini e le donne del futuro. Gli insegnanti si prodigano per formare bambini felici e adulti sani. Ma lo studio dei metodi educativi sull’infanzia e dell’età evolutiva sono troppo recenti perché assicurino certezze. 
La società civile guarda con orrore alla violenza fisica sui bambini, perché immediata, visibile, clamorosa, atrocemente criminale. Piccoli corpi ridotti in schiavitù, percossi, reclusi, soppressi. Creature innocenti destinate a divenire come bambole abbandonate sul ciglio della strada. 
Oltre questi crimini, però, ci sono una miriade di violenze psicologiche, subdole, silenti, difficili da individuare ma ugualmente dannose e perfino letali, che ogni giorno gli adulti esercitano sui bambini. A volte inconsapevolmente. Perfino gesti comuni, racchiudono costrizioni e forzature che possono sfociare in violenze.
L’uomo moderno non vive mai libero, neppure un attimo della sua vita, anche dal suo primo giorno. Un paradosso evidente è l’esercizio del potere espresso sui bambini dalla loro nascita sino a sei anni circa. I neonati hanno un loro ciclo biologico che si basa sui bisogni: richiedono cibo quando hanno fame, dormono se hanno sonno, esplicano le funzioni corporali a seguito di uno stimolo. Nella realtà, noi condizioniamo i nostri figli in funzione delle nostre esigenze, frutto dell’organizzazione sociale che abbiamo scelto. Quindi, imponiamo il momento di alimentarli, quello per dormire e quando imparare a servirsi dei bagni, in funzione della cadenza della nostra vita. Tutto questo perché, il loro ciclo naturale non coincide con i nostri tempi imposti dal sistema sociale. La scuola pubblica, spesso, impone autonomia a bambini, anche se non sono fisicamente pronti. I bambini, però, non maturano in sincronia e i loro corpi richiedono le giuste scadenze. 
Chiaramente, non tutto quello che può apparire violenza, determina conseguenze psicologiche e, al contrario, non tutti gli atteggiamenti benevoli e carichi di buone intenzioni sono positivi. Il permissivismo esasperato, ad esempio, appare come un segnale progressista di libertà nella crescita, ma può nascondere un rifiuto affettivo nei confronti dei bambini. Ciò può generare ripercussioni psicologiche come la difficoltà a socializzare.
Alcuni genitori e educatori adottano la colpevolizzazione e l’eccessiva responsabilizzazione dei bambini quali metodo correttivo ad azioni difformi dalle aspettative. Ci sono ancora casi in cui questo si affiancata a punizioni corporali. Il successo non deriva dalla bontà del metodo, infatti, il bambino è costretto a cedere e obbedire solo perché in lui prevale l’istinto di conservazione e teme per la sua incolumità. 
Sono sempre più frequenti le divergenze fra la scuola e la famiglia circa la scala gerarchica da occupare nell’educazione dei bambini. La scuola di stato impone le sue leggi indipendentemente dai bisogni, dalle aspirazioni e dalle peculiarità degli alunni, rappresentando la società degli adulti, dove s’impone la sottomissione e si punisce la trasgressione. Istituzionalmente, è ancora molto penalizzata l’inadeguatezza e la diversità dagli schemi. Si tende a preferire chi è già dotato a sfavore di chi non lo è. Solo lo sforzo individuale di alcuni insegnanti, preparati e coscienti, tende a valorizzare, non senza grande sforzo, le singole personalità. La famiglia, per forza maggiore, è divenuta il polo d’incontro sempre meno reputato all’educazione dei minori, limitandosi a rappresentare i lati migliori della vita. Questo, laddove uno o più familiari non dia sfogo alle proprie frustrazioni o al retaggio di una cattiva educazione, sulle componenti più fragili, appunto i bambini.
Non ci sono soluzioni alchemiche o formule empiriche utili all’educazione corretta. Possono solo prevalere il buonsenso e il rispetto per la vita. E’ necessario ricordare puntualmente che i bambini sono il futuro e, pertanto, a loro spetta un posto centrale nella società. E’ giusto coinvolgerli in qualsiasi evento della vita spiegando loro tutte le realtà, anche quelle cruente, con il giusto tatto e con semplicità. Se questo è valido per loro, è ancora più valido per gli adulti, così come penalizzare la violenza degli adulti, non può che essere una sana regola di vita per i bambini.
 


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