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Qui e ora/Vittime e carnefici

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

9
FEB
2017

Una tragedia, che doveva riguardare solo poche persone, diviene rapidamente un evento mediatico su cui si pronunciano giuristi improvvisati, giustizieri e opinionisti. Tutti pronti a incitare, processare e condannare sommariamente

 
Roberta. Tanti capelli bruni e ricci, due grandi occhi scuri e un sorriso radioso che illumina il suo viso mentre le si arriccia il naso. 33 anni, felice e sposata da pochi mesi con Fabio.
Fabio. Un giovane sportivo, un calciatore. Sguardo schietto e profondo. Nella sua città è conosciuto e apprezzato. 34 anni, il calcio è ancora la sua passione ma, ormai, ci gioca solo con gli amici quando può. Lavora nella panetteria dei suoi genitori dove, lui e Roberta progettano di creare un piccolo punto di ristoro annesso, niente di molto elaborato ma sufficiente a garantire un futuro tranquillo alla loro famiglia che sta per crescere.
Italo. 21 anni, un ragazzo come tanti che affidano all’etere i propri pensieri e le proprie aspettative. Presta servizio come volontario presso la Protezione Civile della sua città. Un bravo ragazzo conosciuto da molti. Allegro e sorridente.
Il destino dei due sposi e quello del ragazzo presto s’incroceranno per non divedersi mai più. Ma il destino non esiste. E’ solo un’invenzione di poeti, scrittori e giornalisti.
E’ quasi mezzanotte del primo giorno di un luglio che si preannuncia caldo e afoso. A Vasto le strade sono ancora trafficate. E’ un venerdì come tanti e nulla è accaduto di particolare. Gli ultimi notiziari parlano dell’annullamento del ballottaggio per brogli elettorali in Austria. Anche questo può attendere il lunedì successivo.
Roberta sta rientrando a casa con il suo scooter e, dopo essersi arrestata al semaforo posto all’incrocio fra Viale Giulio Cesare e Corso Mazzini, riparte al segnale verde. Alla sua sinistra un’auto attende di poter ripartire ma, mentre la ragazza inizia il suo percorso, ne sopraggiunge un’altra che, ignorando lo stop, prosegue la sua corsa e travolge la giovane scagliandola sull’asfalto. I soccorritori trasportano Roberta al più vicino nosocomio ma per lei la vita s’interrompe quella notte di luglio, alla vigilia dell’annuncio che lei e suo marito avrebbero dato il giorno dopo, ad amici e parenti: l’arrivo di un bimbo. Lo stesso che ora la segue nel suo nuovo viaggio e con lui i suoi sogni.
Quella notte del 2016 ha tracciato il destino di Roberta, quello di Fabio, quello di Italo. Un maledetto destino. Anche se il destino è solo un’invenzione di poeti, scrittori e giornalisti.
Da quel giorno anche Fabio è morto, come a volte accade a chiunque perda la sua compagna o compagno e affidi al tempo la cura per quel dolore lancinante che cambia la vita per sempre. E il tempo è passato dal quel primo luglio ma le ferite nella mente e nel cuore di Fabio non sembrano volersi rimarginare. Ha smesso di lavorare e i giorni si susseguono scadenzati solo dalle sue visite al nuovo giaciglio di Roberta, troppo freddo, piccolo e triste per ospitare anche lui.
Italo, chiuso nella sua stanza, ha fermato il tempo a quella notte. Sa che lo sguardo vitreo di quella ragazza lo accompagnerà per tutte le notti della sua vita.
Da quel momento ha inizio la procedura che è intrapresa in tutti i sinistri stradali ove vi è una vittima: la ricostruzione, la raccolta delle testimonianze, le indagini, le immagini delle telecamere, la trasmissione degli atti alla procura. Un processo civile in corso e, a breve, uno penale per il rinvio a giudizio di Italo d’Elia, imputato di omicidio stradale.
Quella tragedia, che doveva riguardare solo poche persone, diviene rapidamente un evento mediatico tale da attirare giuristi improvvisati, giustizieri e opinionisti, a offrire la loro opinione sulle pagine dei social come per le strade e le piazze. Tutti pronti a incitare, processare e condannare sommariamente.
Dopo sette mesi di rabbia e dolore profondo, resi ancora più insopportabili dalla vista di quel ragazzo libero in attesa di giudizio e da quella scellerata spettacolarizzazione degli eventi, la sofferenza di Fabio si è trasformata in un progetto di odio e vendetta. Il pomeriggio del primo febbraio scorso, Fabio Di Lello ha raggiunto Italo d’Elisa e, dopo poche parole scambiate con il ragazzo, l’ha freddato con quattro colpi di pistola. Il marito di Roberta Smargiassi ha compiuto la sua vendetta e, dopo aver riposto l’arma in un sacchetto, è andato a depositarla sulla tomba della compagna, per poi costituirsi. Il suo dolore non si è placato con quel folle gesto e di questo medita in una cella del carcere di Vasto.
Il deus ex machina di questa tragedia è stato l’odio che, come in una macabra rappresentazione dei sentimenti, ha voluto oscurare il perdono, la pace, la comprensione. Nessun aiuto concreto, neppure l’ombra di un intervento di mediazione a sostegno dei disgraziati protagonisti chiamati a recitare, contro la loro volontà, in quella notte di luglio.
E’ molto più facile adottare sentimenti primordiali come l’odio e la vendetta piuttosto che salire la china dell’evoluzione alla ricerca di amore, condivisione e resilienza.
Il nostro sistema giudiziario è noto per la sua lentezza e non possedendo un’immediata alternativa, non possiamo che confidare nella giustizia, nella perizia degli inquirenti e nel sostegno delle istituzioni. Possiamo mutare il nostro stato solo a condizione di volerlo veramente ed essere pronti a partecipare al cambiamento. Ormai l’insoddisfazione, più che stimolare la crescita, aggrega solo attraverso l’odio e il desiderio famelico di vittime sacrificali. Come in un gesto semplice e usuale, le parole volano veloci e un uomo diviene da introverso a criminale, una donna da sorridente a consumata meretrice, uno straniero da richiedente asilo a invasore, per poi restare ad attenderne le conseguenze, frementi come gli spettatori sotto un patibolo.
Non importa quale testa rotolerà, l’importante è che rotoli. Eppure è così semplice trasformarsi da carnefici in vittime.


 



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