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VOUCHER/ ADDIO O ARRIVEDERCI

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

29
MAR
2017

Nati come strumento per retribuire piccoli lavoretti occasionali, negli ultimi anni sempre più aziende hanno scelto di ricorrere ai buoni lavoro. Ma dopo le aspre polemiche e per evitare una nuova campagna referendaria, l’attuale governo ha deciso di eliminarli del tutto generando non poca confusione in materia.   

I voucher sono stati introdotti non proprio di recente - precisamente nel 2003 con la famosa Riforma Biagi - per retribuire prestazioni di lavoro sporadiche e occasionali quali ad esempio assistenza ai bambini ed anziani, pulizie domestiche, giardinaggio o ancora ripetizioni private, difficilmente inquadrabili in forme contrattuali ben precise. In seguito, per andare incontro alla flessibilità imposta dal mercato, il Jobs Act ha aperto la strada ad un abuso sproporzionato del lavoro accessorio consentendone l’utilizzo in ogni settore produttivo del Paese e per qualunque tipo di committente privato.
Senza dubbio, l’idea originaria del prof. Marco Biagi era quella di far emergere da una zona grigia alcune tipologie particolari di lavoro, per lo più saltuario, non solo facendole rientrare nell’ambito della piena legalità ma anche tutelando gli stessi lavoratori (spesso giovani, disoccupati o pensionati) coprendoli da eventuali rischi o incidenti sul lavoro. Giacché, percependo un buono lavoro come corrispettivo per una prestazione oraria effettuata, il lavoratore poteva intascare 7,50 euro in misura netta mentre la restante parte di 2,50 euro era destinata a previdenza e contribuzione, a fronte di un costo totale di soli 10 euro per il datore di lavoro.
Tuttavia, col tempo, la sensazione che si è diffusa è stata quella di un vero e proprio abuso dell’impiego dei voucher da parte di molte aziende - tra cui, stando alla fonte Inps, si segnalano Juventus FC, McDonald’s, Sisal ma anche Adecco e Manpower - sia per la troppa convenienza economica sia perchè i voucher ben facilmente si prestano a pratiche elusive volte a regolarizzare solo apparentemente alcuni rapporti di lavoro estremamente instabili.
Certamente, questa degenerazione ha creato un diffuso allarme sociale: se è vero che da un lato si è cercato di contrastare il fenomeno del sommerso, dall’altro questo mezzo “di fortuna” rischiava di diffondere sempre più precariato per molti giovani italiani, che invece sono alla ricerca di maggiore stabilità economica.
E allora, già in gennaio la Corte Costituzionale si era espressa con parere favorevole sull’ammissibilità del referendum per l’abolizione del lavoro occasionale proposto dalla CGIL (che, per paradosso, ne ha fatto invece largo uso…). Ma un nuovo e costoso referendum avrebbe diviso ulteriormente l’opinione pubblica su un tema assai delicato come quello del lavoro, per cui solo un nuovo intervento normativo avrebbe evitato di esporre il Paese a un nuovo teatrino mediatico.
E così il governo, con decreto legge n.25 datato 17 marzo 2017, ha ben pensato di “tagliare la testa al toro” e risolvere il problema direttamente alla radice disponendo la cancellazione di quella parte di Jobs Act che prevedeva i voucher, togliendoli anche dal commercio.
Questo modus operandi brusco e repentino ha generato sicuramente non poca incertezza normativa quanto critiche e malumori da parte degli operatori economici. Nel frattempo, infatti, che si fa? A quale norma fare riferimento se quella precedente è scomparsa? Quali regole applicare per chi aveva già comprato dei buoni lavori prima della loro estinzione e può utilizzarli solo fino a dicembre 2017?
Mentre il caos regna sovrano, altri interrogativi affliggono comunque le imprese italiane. Come assumere forza lavoro in caso di esigenza di prestazioni saltuarie e ultra flessibili, se gli altri strumenti contrattuali non sono sufficienti ed adeguati? Quali alternative a disposizione: lavoro a chiamata? Part time? A progetto? E con quale aggravio di costi?
Insomma: siamo proprio sicuri si tratti di un addio e non di un arrivederci? Quello che è certo, in ogni caso, è che urgono soluzioni moderne e innovative in materia, al passo con quanto accade negli altri Paesi europei. E che bisogna fare anche presto.

 



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