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AMMINISTRATIVE: COMUNQUE VADA NON SARA´ UN SUCCESSO

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

18
MAG
2017

La corsa a Palazzo di città sembra affollata come un suk all’ora di punta ma la strategia è abbastanza chiara: puntare sulla quantità per sopperire alle carenze qualitative dei candidati. Una cosa è certa, si andrà al ballottaggio

Trentadue seggi a disposizione per poco meno di  milletrecento aspiranti consiglieri distribuiti su trentanove liste che fanno capo a dieci candidati alla carica di Sindaco di Taranto.
Una cosa abnorme che lascerebbe di stucco anche se si trattasse di New York ma che assume tratti tragicomici se accostata ad una realtà come Taranto che non arriva a duecentomila abitanti.
La corsa, seppur affollata di contendenti, è tristemente chiara:  da una parte c’è una sinistra frammentata in almeno quattro tronconi  e dall’altra c’è il centrodestra che gioca a fare del civismo un po’ retrò (imbarcando senza vergogna anche qualche pezzo progressista).
Nel mezzo c’è qualche carampana ambientalista  oltre ai due partiti che potrebbero rovinare la festa a più di qualcuno e cioè AT6 e Movimento Cinquestelle.
Gli altri partecipanti alla corsa sono “agglomerati di testimonianza” , termine gentile che sta ad indicare tutte quelle liste organizzate da qualche trombato  che ambisce a togliere voti al proprio partito di riferimento e, magari, entrare in consiglio comunale per il rotto della cuffia facendo il gesto dell’ombrello ai suoi ex compagni.
Stendiamo dunque un velo pietoso sui folgorati dell’ultima ora, i quali hanno ricevuto direttamente dalla Madonna di Fatima  l’invito ad aderire  al cartello di Rinaldo Melucci mentre prima mostravano di voler spaccare il mondo, ed occupiamoci di cose  quasi serie.
Cosa emerge da questo quadro grottesco?
In primo luogo il ricorso ad una quantità così importante di liste è indice di grande paura da parte dei partiti tradizionali i quali cercano il maggior numero possibile di portatori di voti, temendo una  inevitabile crisi di consensi dovuti al pessimo spettacolo che la politica ha dato in questi anni in riva allo Ionio.
Se i partiti l’hanno buttata sull’aspetto quantitativo è chiaro che devono essersi sentiti carenti sotto il profilo qualitativo e devono parimenti aver compreso l’evidente fallimento nella ricerca di candidati di spessore alla carica di Primo Cittadino. Un candidato sindaco autorevole non ha bisogno di sette liste a sostegno perché i voti se li porta da solo.  In effetti non è che ci vuole la buonanima di Sartori per capire che, della rosa di candidati,  moltissimi sono mezze tacche e qualcuno è quasi presentabile.
Ma d’altronde il destino di Taranto è questo: a grandi problemi corrispondono piccoli problem solver che finiscono col diventare problem maker per manifesta inadeguatezza.
In secondo luogo, soprattutto a sinistra, la frammentazione ha messo in luce quanto la conquista di Palazzo di Città venga vista come una questione unicamente di potere in barba a tutte le pippe che ci propinano in questi giorni sul bene della Città e sull’amore per i tarantini.
Ma il vero banco di prova sarà costituito dai cosiddetti cartelli a trazione ambientale (ci riferiamo principalmente  a Fornaro e Sebastio) i quali, fino ad oggi, non sembrano aver scaldato gli animi dei tarantini a testimonianza del fatto che la moda ambientalista pare stia scemando a poco a poco e cioè da quando le trasmissioni televisive non organizzano più collegamenti dal quartiere Tamburi.
E’ un’impressione sbagliata? La sensibilità ambientale dei tarantini non era un fuoco fatuo? Malizia del redattore disinformato? Staremo a vedere nelle urne e ne daremo conto, se del caso, porgendo le nostre più sentite scuse.
Dal punto di vista degli aspiranti consiglieri, pare che la candidatura sia diventata per più di qualcuno una buona alternativa al bar, allo struscio o alla disoccupazione:  avere un candidato ogni centocinquanta abitanti significa o che l’qÉcole nationale d'administration (quella che ha lanciato i grandi della politica europea) si è trasferita a Taranto oppure che i tarantini non hanno ben capito cosa significhi prendere voti per poi amministrare una enorme polveriera come la città bimare.
Sullo sfondo resta AT6 - la quale, nonostante Mario Cito, tutte le volte che viene data per decotta finisce al ballottaggio - ma soprattutto l’incognita a cinquestelle.
Sarà molto interessante comprendere quanto il virus grillino abbia contagiato Taranto e quanto il voto di opinione che caratterizza il consenso pentastellato abbia pervaso una società molto autocentrata (leggasi provinciale) come quella tarantina.
Ma il grillismo è questo: prendi uno qualunque, lo candidi ad una specie di televoto online cui partecipano pochi intimi denominato “comunarie” e, con 107 voti, si rischia di fare il candidato sindaco o perfino di vincere le elezioni.
E’ successo a Roma con Virginia Raggi - il prototipo di perfetta sconosciuta che diventa Sindaco di una tra le più grandi città italiane senza averne le competenze  oltre che l’esperienza necessaria - e potrebbe succedere anche a Taranto.
Ha proprio ragione Carlo Freccero quando dice che il Movimento Cinquestelle si muove nella post- democrazia post- ideologica più emotiva che razionale e che non esiste più la politica ma è la comunicazione a plasmare la vita amministrativa del Paese.
Qualcuno li ha definiti “barbari chattanti” calati nei palazzi seguendo l’utopia del clic ma, belle definizioni a parte,  l’elogio dell’uomo qualunque che crede di essere migliore degli altri solo perché si riempie la bocca blaterando di onestà non ci ha mai incantato perché poi ci sono le buche da tappare ed i problemi da risolvere. A quel punto se hai le competenze amministri e se sei un bimbominkia dai la colpa agli altri.
Ma tant’è, l’unica cosa certa è che i ludi elettorali si concluderanno con un sicuro ballottaggio e non potrebbe essere altrimenti dato che la corsa a Palazzo di Città assomiglia ad un Suk all’ora di punta o, se volete, ad una maratona ai nastri di partenza.
Comunque vada, non sarà un successo.



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