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Noi non siamo come lui

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
GIU
2017

Pur malato terminale, Totò Riina è perfettamente vigile sulla sua sedia a rotelle, parla e interloquisce con i suoi legali. Mentre si discute se concedergli una morte "dignitosa" fuori dal regime del 41 bis, nel napoletano una paziente è stata trovata nel letto sedata e invasa dalle formiche. Chi ha bisogno di maggiori riguardi, il boss sanguinario o tutta l'umanità anonima e dolente vicina a noi?

Û curtu. Così è conosciuto Salvatore Riina negli ambienti malavitosi nei quali è noto per essere il capo supremo di Cosa nostra, la più potente organizzazione mafiosa italiana. Dal 15 gennaio 1993 è detenuto con il regime del carcere duro “41-bis” a meno di una temporanea revoca che gli permise di esercitare il suo potere mafioso anche all’interno del carcere. Totò Riina è responsabile a vario titolo di una moltitudine di crimini sempre conclusisi con un numero elevato di atroci omicidi. Lui e i suoi fiancheggiatori hanno smesso di essere esseri umani da molto tempo tanto sono efferate le azioni da loro esercitate per la maggior parte della vita. Loro sono quello che nessuno dovrebbe mai divenire. Oltre la giustizia terrena c’è una sola cosa che può porre termine alla loro scellerata condotta: la morte inesorabile. Ma la conclusione della vita non è competenza dell’uomo e come riteniamo che Riina non avesse diritto di porre fine all’esistenza delle sue vittime, non possiamo desiderare o procurare la sua morte come quella dei suoi simili.
L’omicidio è il più orrendo dei delitti e salvo l’involontarietà o la tutela per l’incolumità, non può trovare giustificazioni.
Chi vive o pensa anche parzialmente come Riina è un errore della natura e, per i credenti cristiani, è molto vicino alla personificazione dell’anticristo e del male. Ciò che rende un essere umano “La Belva”, così com’è anche conosciuto Riina, non può essere il solo desiderio di potere e ricchezza. È realmente incomprensibile come la mente umana, sua e di criminali suoi equipollenti, possa raggiungere un tale livello di crudezza e atrocità se non per una profonda turpe e distorsione mentale. Purtroppo Riina è solo uno dei tanti criminali sanguinari che gestiscono il malaffare e la mala politica della nostra nazione. Non racconteremo la sua storia per non evocarlo ancora e rispettare la memoria delle sue vittime. Non riteniamo, nemmeno, giusto commemorarle nelle stesse pagine dove lo nominiamo. Lo abbiamo fatto e lo faremo in altri momenti e modi differenti.
Per quanto il capo di Cosa Nostra potesse sentirsi inviolabile e immortale, il tempo ha segnato anche la sua esistenza e dopo una vita ignobile e 24 anni di carcerazione Totò Riina, all’età di 87 anni è gravemente malato e volge verso la fine. Così come può succedere a chiunque perché nessuno di noi è invulnerabile e la nostra vita è nulla rispetto all’infinito.
L’avvocato del Boss di Cosa Nostra, invocando i benefici di legge, ha presentato al Tribunale di Sorveglianza di Bologna, istanza di scarcerazione per il suo assistito o, in subordine, gli arresti domiciliari affinché possa “morire dignitosamente” come riporta la richiesta. Dopo il respingimento dei giudici, la Prima Sezione Penale della Cassazione ha annullato la sentenza per carenze e contraddizioni. Il Tribunale, quindi, dovrà esprimersi in modo più compiuto e convincente al fine di negare la libertà, totale o parziale, per Salvatore Riina.
Per proseguire la descrizione di questa vicenda giudiziaria, forse l’ultima a carico di questo criminale, è necessario anteporre alcune considerazioni. L’essere umano per indole naturale, ha una maggiore propensione al male piuttosto che al bene avendo ancora insiti istinti primordiali. La storia dell’umanità racconta che il male permette di raggiungere rapidamente gli obiettivi e solo l’etica, l’educazione e il rispetto per i propri simili agiscono sulla capacità di discernimento che conduce o meno a vivere la vita nel bene. Evitando disamine complesse quanto improbabili sulla netta distinzione fra il bene e il male, si può ricorrere a un esempio macroscopico: Riina, chi ha scelto di vivere come lui, chi tace assistendo all’operato dei criminali rendendosene complice, chi bacia le mani ai mafiosi, ha scelto il male. Chi rifugge da questo modo di vivere nella società è indirizzato verso il bene. I secondi sono certamente superiori ai primi perché il percorso che porta alla composizione di una società civile è impervio, disseminato di difficoltà e non offre la certezza del risultato. Proprio per questo, chi sceglie il bene deve essere fiero di poter esprimere il suo stato e la sua contrapposizione a quello che è il cancro dell’umanità.
C’è un’altra considerazione che insiste sulle scelte dell’individuo: l’esistenza di esseri come Riina, le attività criminali da loro esercitate per tempo e spazio illimitati, la possibilità di protrarle oltre la carcerazione, si possono considerare un fallimento sociale perché è evidente che ci sia una tara profonda nella capacità di reprimere l’azione criminale e la sua diffusione. Evidentemente, anche la propagazione del bene non è ancora efficace e sufficiente a cambiare gli uomini. Oltre ogni pensiero religioso, etico, politico, è facile comprendere come l’operato mafioso sia sbagliato e la lotta per contrastarlo sia giusta.
L’essere umano sano, però, deve palesare la sua superiorità proprio nei momenti in cui l’istinto vorrebbe prevalere, dimostrando con i fatti, le reali differenze.
Riina non si è mai pentito per l’infinità di reati commessi nella sua vita scellerata e anche nello stato in cui versa, è socialmente pericoloso. Lui è convinto di essere il vertice di un regno governato attraverso la prevaricazione e la violenza ispirandosi, perfino, agli imperatori romani. Nonostante il suo folle pensiero criminale, û curtu sta morendo e la sua vera condanna avrà inizio a breve. Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, afferma che “...un boss come Riina comanda anche solo con gli occhi” e pertanto non deve beneficiare della libertà. La sua opinione è comprensibile perché lui conosce bene il prezzo pagato e da pagare per condurre la lotta alla mafia.
Ma non è competenza dell’uomo decidere della vita o della morte dei suoi simili e, per questo, nessuno può morire recluso. Gli ultimi istanti di vita sono un rapporto intimo fra l’uomo e la sua coscienza perché, dopo poco, sarà il nulla. Riina e i suoi simili sono un errore e se sono divenuti tali è perché la società ha permesso e permette il loro operato. C’è una sola certezza che deve essere sancita: se Riina morirà fuori dal carcere, sarà giusto che sia così per tutti gli ergastolani e con questo s’intende che il lasso di tempo intercorrente fra la scarcerazione o la reclusione domiciliare e la morte, deve essere commisurato in base alla gravità dei reati commessi e la reale pericolosità del soggetto.
È difficile accettare che Totò Riina muoia libero ma la superiorità della parte sana della società, quella civile, si dimostra proprio attraverso queste azioni di distinzione da chi vive del sangue altrui.
Perché noi non siamo come lui.
 



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