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Gli assessori e il topolino della partitocrazia

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

27
LUG
2017

Il PD sta urinando in testa alla città di Taranto ma vuole ostinatamente convincerla che si tratti di pioggia.
E lo fa con la solita naturalezza che contraddistingue la narrazione democratica, con la solita capacità di mentire con stile, adducendo motivazioni nobili dietro cui si celano interessi di bottega che di alto hanno poco e niente


Prendete ad esempio il Sindaco Melucci, quello che in campagna elettorale giocava a fare il civico, l’imprenditore “d’area” prestato alla politica, il manager che si interessava alla cosa pubblica quasi spinto da una missione: a campagna elettorale rigorosamente finita – e ovviamente dopo una riflessione travagliata (ma certo) -  ha pensato bene di fare outing dichiarandosi non solo del Partito Democratico ma per giunta organico al gruppo facente capo a Michele Emiliano. Tempismo sospetto? Ma no, ma no, siamo i soliti maliziosi.
Poi venne il turno della squadra da portare a Palazzo di Città ed il nostro “intellettuale della Magna Grecia”, specialista in elucubrazioni metafisiche, lasciò intendere che gli assessori sarebbero stati scelti guardando alle competenze -  perché un Sindaco che si rispetti ha bisogno di specialisti, diceva - quasi a volersi ammantare di un’aura di professionalità a metà tra il capitano d’azienda e lo scienziato della politica che trova volgare l’utilizzo del Manuale Cencelli.
Tutti però sanno ciò che accade quando si squaglia la neve: puntualmente, a  dimostrazione del fatto che gli antichi adagi non sbagliano mai, i Tarantini hanno dovuto fare la tragica scoperta sul sentiero che porta al civico 1 di Piazza Municipio.
Rinaldo Melucci ha dunque sciolto (giusto per restare in tema) alcuni nodi relativi alla sua Giunta indicando 6 assessori su un totale di 9: si tratta di Massimiliano Motolese, collaboratore di Michele Pelillo oltre che figlio di una neo eletta consigliere comunale Pd, di Sergio Scarcia, già segretario cittadino del Pd, di Rocco De Franchi barese e già assessore comunale nel Capoluogo di Regione con Emiliano, di Anna Maria Franchitto, già segretario generale del Comune di Taranto retto da Stefàno e di Aurelio Di Paola (figlio di Domenico, ex amministratore unico di Aeroporti di Puglia), barese che da febbraio di quest'anno è delegato del presidente della Regione Michele Emiliano nel comitato di gestione dell'autorità portuale del mar Ionio. C’è anche la nomina di Valentina Tilgher della quale si sa molto poco, ragion per cui ci sembra opportuno sospendere ogni giudizio.
Si fanno strada in queste ore altre nomine: si tratterebbe di  Simona Scarpati, terza dei non eletti nella lista del Pd (in quota Fabrizio Nardoni) e di Elena Modio la quale è una operatrice impegnata nel sociale.
La montagna del professionismo ha insomma partorito il topolino della partitocrazia sotto le mentite spoglie di nomi non noti ai più.
Premettiamo che la polemica sulla folta delegazione barese in seno alla Giunta Melucci ci appassiona poco anche perché di incompetenti autoctoni il comune di Taranto ne ha avuti a mazzi nelle passate consiliature.
Se fossero dei geni, preferiremmo delle menti illuminate di importazione piuttosto che dei minus habens nati in riva allo Ionio ma il problema non è questo: il problema è far passare per tecniche delle nomine politiche riconducibili in gran parte al duo Emiliano – Pelillo e, residualmente, ad altre correnti politiche.
Che poi non c’è niente di male in una nomina politica visto che al decisore non deve mancare la visione prospettica e che per le consulenze tecniche esistono gli uffici comunali preposti. Con questo non vogliamo dire che i nominati da Rinaldo Melucci non siano degli esperti (lo vedremo) ma soltanto che la provenienza di costoro è da rinvenirsi nelle sedi di Partito e non nella società civile.
Basta parlare chiaro ed ammettere che queste rientrano tra le cambiali pagate dal Sindaco a gruppi politici ben precisi, che Taranto è egemonizzata politicamente da Pelillo ed Emiliano e che i vari Bitetti, Sebastio, Brandimarte - saltati sul carro del vincitore credendo di fare la furbata -  prenderanno le briciole e forse nemmeno quelle.
La cosa drammatica non è quindi il luogo di nascita degli assessori ma piuttosto la triste constatazione che Taranto non ha smesso di essere una succursale di Bari perché nemmeno le nomine locali sono scevre da influenze baresi.
Ergo la polemica sui giovani tarantini – quelli che Melucci avrebbe dovuto valorizzare in luogo dei personaggi provenienti dal capoluogo di regione - è del tutto sterile perché il problema è di una gravità molto più vasta del campanilismo un tanto al chilo.
E che alcune nomine assessorili servano anche a liberare degli incarichi a livello regionale (al porto di Taranto ed all’agenzia regionale per il servizio dei rifiuti) strumentali agli equilibri politici che Emiliano si trova a dover garantire è un fatto del tutto lampante che relega Taranto a pied-à-terre di nominati che devono fare spazio.
Sotto la giacca a quadri il nulla, insomma, solo tante belle parole di autocompiacimento ed esercizi di stile di un Sindaco che crede di essere Napoleone e invece è il cavallo bianco. Sta di fatto che Taranto resta debole ed inerme colonia del primo che capita, come se il tempo si fosse fermato e le incapacità della vecchia giunta aleggiassero sotto forma di fantasmi per i corridoi di Palazzo di Città.



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