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Non sarà mica troppo tutto questo buonismo?

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

4
GEN
2018

Sono anni ormai che, con continui comizi che non stanno né in cielo né in terra, la Chiesa ed il suo obamiano “Principale” ficcano il naso nelle vicende sociali e politiche nostrane pretendendo di insegnarci come si campa (e anche come si muore)

Partiamo dagli auguri di Mons. Filippo Santoro ai Tarantini: «desidero far giungere a ciascuno il mio messaggio augurale di buon anno. Mi piace farlo mentre mi accingo a raggiungere Sotto il Monte, in provincia di Bergamo, paese natale di Papa Giovanni XXIII, santo dei nostri giorni, per partecipare alla 50esima Marcia per la Pace, mentre il 1 gennaio celebreremo la 51esima Giornata Mondiale della Pace sul tema "Migranti e Rifugiati: uomini e donne in cerca di pace".
Vorrei che sentiste tutti il grande respiro della Chiesa, che nella misericordia, come dice Papa Francesco nel suo messaggio, cerca di abbracciare ogni uomo, specie quelli che soffrono e che fuggono da persecuzione, guerra, fame e morte.
Ci auguriamo una pace che accoglie e che abbraccia: “chi è animato da questo sguardo – dice il papa - sarà in grado di riconoscere i germogli di pace che già stanno spuntando e si prenderà cura della loro crescita. Trasformerà così in cantieri di pace le nostre città, spesso divise e polarizzate da conflitti”».
Con il rispetto che si deve al Monsignore, segnaliamo subito ai lettori che l’incipit del messaggio augurale lanciato dall’Arcivescovo di Taranto non è farina del suo sacco ma appartiene alla martellante strategia comunicazionale inaugurata dal suo principale (non Cristo ma il Suo Vicario).
Sono anni ormai che, con continui comizi che non stanno né in cielo né in terra, la Chiesa ed il suo obamiano “Principale” ficcano il naso nelle vicende sociali e politiche nostrane pretendendo di insegnarci come si campa (e anche come si muore) e pretendendo di imporci il mito di una sbracata accoglienza come modello di civiltà. Ma la cosa simpatica è che quegli stessi intransigenti martellatori in abito talare ben si guardano dall’essere così categorici sul tema quando si rivolgono ad altre Nazioni Europee, come se i destini dell’Africa fossero solo affar nostro, problema esclusivamente tricolore.
Chi si sottrae a questo pensiero unico è un razzista, non è caritatevole, è un cattivo Cristiano, non è una bella persona.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma cosa vuoi che dica un uomo di Chiesa? Nessuno pretende che la Chiesa sia ridotta al silenzio. Ci piacerebbe anzi che Essa parlasse con maggior forza dei Cristiani perseguitati nel mondo, della crudeltà Islamica verso i seguaci di Gesù Cristo, dell’indisponibilità dei Maomettani  – caritatevolmente ospitati – ad integrarsi, dell’integralismo islamico che in Europa - nella migliore delle ipotesi – si trasforma in malumore se non proprio in atti di terrorismo traboccanti odio e desiderio di piegare chi si dimostra disposto ad accogliere.
Invece no, ci tocca sentire a reti unificate le prediche di chi vorrebbe farci accettare il concetto in base al quale spalancare le porte e fare entrare centinaia di migliaia di migranti sia non solo un atto di umanità ma anche una gran figata per la nostra società.
Ciò mentre l’Italia tocca il minimo storico delle nascite, la povertà aumenta e le risorse (nostre) destinate ai migranti per far stare tranquillo Bergoglio crescono vertiginosamente.
Sembra di sentir parlare Tito Boeri (“gli immigrati ci pagano le pensioni”) e non il Santo Padre ed i suoi vicari o la Boldrini con la sua pecoreccia teoria del meticciato la quale non tiene conto del fatto che una simile invasione non è sinonimo di scambio tra culture differenti ma immissione di culture resistenti che rischiano di cambiare definitivamente la morfologia della nostra società.
E invece no, a noi tocca sentire i predicozzi semplicistici alla “Don Gallo” di “Che Bergoglio” e dei suoi compañeros proprio nel mentre nella civile mittel europa è ormai chiaro che il sogno multiculturale è fallito miseramente al grido di “Allah akbar”.
Il tutto con un buonismo talmente sbrigativo da non distinguere tra migranti economici e rifugiati, tra chi scappa da guerre e chi viene in Italia a cercare l’America, tra chi si sottrae alla persecuzione e chi viene a fare il “Principe di Bel Air” alle spalle dell’opulento Occidente, tra chi è animato da buone intenzioni e chi vuole soldi facili attraverso lo spaccio e poi magari si diverte a violentare turiste polacche sulle spiagge di Rimini.
La caritatevole Chiesa sembra aver dimenticato di parlare dei quartieri, dei campanili, della vecchina della porta accanto, del bisognoso italiano, dei tanti connazionali senza lavoro, dei bambini costretti a vivere nei quartieri difficili del sud, della gente dei Tamburi. La carità di prossimità sacrificata sull’altare dell’ideologia immigrazionista insomma.
Esageriamo? Forse, ma Bergoglio ed i suoi subagenti sul territorio non sono da meno visto che, per dimostrare il teorema dei teoremi, nell’omelia di Natale ci è toccato sentire il Santo Padre (un catechista per bambini) dire che Gesù è «Colui che viene a dare a tutti noi il documento di cittadinanza» o azzardare un paragone tra la Famiglia di Betlemme e l’esodo dei migranti sui barconi: «nei passi di Giuseppe e Maria vediamo le orme di milioni di persone che non scelgono di andarsene ma sono obbligate a separarsi dai loro cari, espulsi dalla loro terra». Peccato che Giuseppe non stava portando la sua famiglia in un Paese straniero ma nella sua terra di origine (Betlemme) per il censimento.



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