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Ilva: atto terzo, scena quarta

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

11
GEN
2018

A ridosso delle elezioni si risvegliano interessi sopiti. La Provincia di Taranto, attraverso il suo presidente Martino Tamburrano di Forza Italia, ha trasmesso un ricorso contro quello presentato da Comune di Taranto e Regione Puglia, schierandosi, di fatto, a favore del Governo

Scrivere, parlare, raccontare dell’Ilva nel Mezzoggiorno può sembrare un interesse territoriale specie se la testata giornalistica che lo fa ha le sue radici proprio nell’area ionica dove sorge lo stabilimento siderurgico. Può apparire quasi tedioso e perfino dannoso parlare di Taranto e della sua provincia ricordando l’Ilva. Perché Taranto è molto di più: è l’Ilva fuori contesto, non il contrario. Su Extra abbiamo parlato di Ilva molte volte, anche se non avremmo voluto farlo. Ci sarebbe piaciuto parlare al passato eppure siamo costretti a farlo, ancora, al presente per quella che è la realtà, perché è impossibile ignorare i rischi ambientali, le emergenze sanitarie, il problema occupazionale e l’alea di licenziamento del personale impiegato in quella che abbiamo già definito “Fabbrica di voti, fabbrica di morte”. I suoi fumi, i suoi miasmi aleggiano come uno spettro fluttuante che prende vita alimentandosi da quella altrui, tanto da essere impossibile ignorarlo per quanto sia invadente e opprimente. Come uno spirito maligno, l’Ilva ha il suo esercito di schiavi che ha soggiogato con il miraggio del lavoro, con la corruzione, la malapolitica, con il bisogno. Per quanto si cerchi di non pensare all’Ilva, tanto più c’è un evento saliente legato allo stabilimento che la riporti alla ribalta imponendo un nuovo carico di speranze o timori. Nonostante Taranto e la sua provincia siano abitate da popoli forti, combattivi e pronti a rinascere, da genti che lottano per far riemergere le infinite bellezze di questi territori, il suo glorioso passato e l’unicità delle sue tradizioni culturali, l’Ilva si contrappone attraverso i suoi burattinai che, caparbiamente, lasciano prevalere gli interessi privati, l’egemonia e il peggior capitalismo contro l’interesse della comunità. Il caso Ilva è l’emblema della condizione sociale del Paese: pochi uomini che, tramite un contorto sistema elettorale, nella veste di rappresentanti del popolo, ne decidono le sorti, puntualmente però, contrarie all’interesse comune e favorevole a quello di pochi. Italsider prima e Ilva poi hanno sempre avuto potenti alleati nella politica, quella fatta di numeri, di successi personali, di ambizioni di potere più che di uomini. Quando sembra che le coscienze politiche siano scosse dalla triste realtà che lo stabilimento siderurgico ha generato, un nuovo evento dimostra il contrario. Così è stato per il ricorso al TAR, promosso dal Presidente della Regione, Michele Emiliano e dal Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci e finalizzato a impugnare il Dpcm del 29 settembre 2017 con il quale si modifica il piano ambientale del siderurgico di Taranto. Ciò che appariva un’azione mirata agli interessi dei tarantini, che sembrava avesse dato maggiore potere contrattuale agli amministratori locali nei confronti del governo centrale, si sta rivelando uno scontro meramente politico con finalità molto distanti dai bisogni dei cittadini di Taranto e della sua provincia che vorrebbero la soppressione delle fonti inquinanti, il recupero del territorio e la tutela dei posti di lavoro. Per quanto si ricerchino soluzioni, l’unica ipotesi compatibile è la chiusura dell’Ilva e l’impiego della manodopera per il risanamento dell’ambiente inquinato, sino all’età pensionabile. Un prezzo molto alto ma proporzionato al crimine ambientale commesso. Quando la sospensiva non era più un miraggio e il 9 gennaio lo stabilimento sarebbe stato spento, il sindaco Melucci ha proposto di ritirare il ricorso al Tar di Lecce in accoglimento della richiesta del Presidente del Consiglio, Gentiloni e del Ministro Calenda, mentre il presidente Emiliano permarrà nel suo intento anche in eventuale disaccordo con il parere del Consiglio Regionale. Che sia una scelta sensata o meno ne avremo compiuta cognizione soltanto dopo gli incontri mirati alla definizione di un accordo di programma simile a quello già impiegato per lo stabilimento di Genova che, purtroppo, verte sempre sulla contrattazione dei posti di lavoro. Il ricatto occupazionale in prossimità delle elezioni politiche induce il sospetto che, per l’ennesima volta, prevalgano interessi specificamente politici. Mentre si attendono gli esiti delle trattative fra governi locali e centrale, tempestiva, arriva la leggendaria tegola sul capo. Se è vero che la maggioranza dei tarantini vorrebbe la chiusura definitiva dell’Ilva, è pur vero che un’altra parte ne preferirebbe la sua riconversione compatibile con l’ambiente, sperando di mantenere prestigio per la città e sicurezza occupazionale. Sostanzialmente, però, le divergenze divengono convergenze in termini di benessere ambientale, salute pubblica e occupazione. Quello che sembrerebbe un target univoco e a percorso irreversibile è stato interrotto da una voce fuori dal coro e incredibilmente stonata. La Provincia di Taranto, attraverso il suo presidente, Martino Tamburrano di Forza Italia, ha trasmesso un ricorso a opponendum contro quello presentato da Comune di Taranto e Regione Puglia, schierandosi, di fatto, a favore del Governo e del Dcpm da esso promosso. Secondo Tamburrano il nuovo decreto ambientale del governo “ha dato nuovo impulso all'attività dell'Ilva di Taranto” e, riferendosi al ricorso di Regione e Comune “venga respinto perché inammissibile, irricevibile e comunque infondato in fatto e in diritto” ritenendo che la Provincia di Taranto sia stata delegittimata dai due amministratori. Favorevole all’iniziativa di Tamburrano è Marco Bentivogli della FIM-CISL che non ritiene funzionale il ricorso dei due enti e dannoso per i lavoratori. In realtà, anch’egli si sente relegato a un ruolo minore che avrebbe voluto da protagonista. Ciò che emerge è l’interessamento di Martino Tamburrano in tempi così vicini alla data delle prossime elezioni politiche di marzo. Infatti, la Provincia di Taranto, sino ad ora, non si è mai attivata concretamente nella soluzione del problema mentre ora rivendica il suo ruolo, in tempi differiti da Comune di Taranto e Regione Puglia e dopo che Governo e Ministero competente si sono espressi. Chi, invece, continua a lottare per la definizione del Caso Ilva è il Comitato Genitori Tarantini e, nell’occasione, l’associazione a difesa dell’ambiente e dei consumatori, Codacons. Entrambi esprimono chiaro dissenso per l’operato del Presidente della Provincia di Taranto. Gli esponenti del primo, inviando una lettera a Tamburrano affermano: “nella drammatica recita che da anni va avanti sull'Ilva il suo apparire sul palcoscenico risulta come il più sospetto e pretestuoso, soprattutto per i tempi d'intervento. Eccola balzare in proscenio nella parte del paladino del potente che poco si interessa delle esigenze del popolo e più bada a rimpinguar la personale borsa, contenitore di preferenze elettorali”, mentre i rappresentanti del secondo, per mezzo di un comunicato, dichiarano: “Mentre la politica briga sulla questione Ilva utilizzando la scusa dei posti di lavoro, i cittadini di Taranto affetti da gravi malattie causate dall’inquinamento ambientale prodotto dall’azienda ed esclusi da qualsiasi indennizzo, hanno deciso di scendere in campo contro il Dpcm del 29 settembre 2017 per chiedere l’annullamento del piano ambientale.” Nulla di più chiaro e conciso contro l’attività politica che lascia trasparire secondi fini e speculazioni mirate a prospettive differenti dal problema reale. Evidentemente non è ancora chiaro agli amministratori locali e a quelli nazionali che per i cittadini di Taranto l’Ilva è il cancro e che la sua eliminazione sarebbe per i tarantini non meno significativa dell’abbattimento del Muro per gli abitanti di Berlino Est: la prima e vera opportunità per autodeterminarsi, forse commettendo errori ma facendolo da uomini liberi. Ciò che chiedono i cittadini del Bacino Ionico è di essere liberi dall’oppressione delle malattie, dal giogo del lavoro sotto ricatto, dal voto di scambio, dagli eterni compromessi e da una classe politica che non li tutela, non l’ha mai fatto e da loro trae esclusivamente vantaggi personali. È, probabilmente, questo che Gentiloni, Calenda, Emiliano, Tamburrano, Melucci fingono di non comprendere, anche se la loro recitazione non li salverà dalle conseguenze elettorali che, per rabbia o ribellione del popolo e famelico opportunismo dei governi, potrebbe consegnare il Paese a incompetenti o, peggio, a spietati emuli del passato. Ciò che, invece, non hanno compreso gli attuali proprietari dell’Ilva è che, anche avendo approntato il segreto “piano B” per sfruttare lo stabilimento siderurgico nonostante qualsiasi decisione politica o giudiziaria, non hanno comprato anche la vita e il futuro dei tarantini.

 



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