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Vita da avvocato/ IL PENALISTA: SACERDOTE NEL TEMPIO DELLA GIUSTIZIA

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

25
GEN
2018

Una interessante metafora che racconta la mission di una professione attualmente fra le più bistrattate. Lontano ormai il prestigio sociale dei tempi di Calamandrei, rimane però sempre la vocazione: ecco come la toga, con le dovute differenze, diventa così un abito talare


Sempre più sovente,  mi viene chiesta la differenza intercorrente tra l’avvocato penalista e quello civilista. La risposta solita fornita è che l’avvocato civilista appresta la tutela agli interessi patrimoniali di un soggetto, mentre il penalista, una tutela di questi della sfera de libertate. In vero, compiendo una più profonda disamina, mi sentirei di affermare che il civilista guarda all’aspetto più materico dell’individuo, mentre il penalista a quello animistico. Credetemi, tale affermazione non è iperbolica come potrebbe apparire ictu oculi. Probabilmente non tutti sanno, e coloro i quali lo ignorano è perché non sono addetti ai lavori e/o non hanno mai avuto, almeno una volta, una esperienza di penale rilievo, è che  l’avvocato penalista, pur mantenendo il necessario e professionale distacco emotivo, instaura comunque un canale empatico col cliente. Ne scandaglia il cuore e animo nell’intrinseco spettro cromatico. “Assume su di sé i loro dolori e sente come sue le loro ambasce”. Raccoglie, proprio come un confessore, confidenze, a volte anche intime, cercando, in afasia di giudizio, con la propria professionale comprensione, di infondere speranza e conforto, lenirne afflizioni, preoccupazioni, dolore e/o rimorso; essendo lì per ascoltare, difendere, assistere e aiutare, e, non già per giudicare, funzione questa del Giudice naturale precostituito.  Dietro al compimento d’ogni reato si celano, infatti,  infinite motivazioni e inimmaginabili turbinii emozionali.  Dietro ogni azione criminosa vi è un uomo, con la propria fragilità e vissuto, con la propria storia, con i propri drammi esistenziali, con le proprie miserie umane. Tali riflessioni, pertanto, mi hanno indotta a interrogarmi se dietro al ministero dell’avvocato, proprio come per quello religioso, non si celi una atavica sacralità. La toga, infatti, come la tunica, o l’abito talare, viene indossata in assecondamento a un precipuo e solenne rituale, in Tribunale, Tempio consacrato alla Giustizia. Ove, la dialettica hegheliana,  caratterizzata  da tesi, antitesi e sintesi, incontra la sacrale esaltazione della triade proprio nell’iterazione tra Pubblico Ministero (tesi accusativa), Avvocato Difensore (tesi difensiva) e Giudice (sintesi processuale, ovvero, decisione). Nel tempio del “Diritto”, l’avvocato,  come fosse un sommo sacerdote, frapposto fra il peccatore e Dio, diviene, pertanto, il tramite tra l’imputato e il Giudice. La sentenza, quindi, come la pronuncia divina, è in grado di assolvere  o condannare, dal reato come dal  peccato, infliggendone una punizione o castigo divino. Ecco, quindi, che la dimensione dell’aula d’udienza diviene  la stessa di un tempio, esoterica, in cui lo spazio e il tempo si annullano durante il giudizio e l’imputato, in mesta sospensione, inerme e impotente, attende il  dispiegarsi del proprio fato da cui dipenderà il suo futuro e la sua vita.  L’aspirante avvocato, strappato al mondo profano dell’uomo della strada, inizia il suo cammino iniziatico da praticante  presso lo studio di un dominus, il proprio maestro professionale,  e attraverso la sottoposizione  alla prima prova iniziatica del patrocinio, durante  la rituale cerimonia, tegolato, presterà giuramento e potrà finalmente patrocinare dinanzi al giudice di pace piuttosto che al tribunale monocratico per tutti i reati a citazione diretta che, pertanto, non passano dalla udienza preliminare. Ma il suo cammino iniziatico, degno dei migliori cammini misterici,  è  destinato a continuare  con una seconda e più difficoltosa prova che lo porterà a sostenere l’esame d’abilitazione. Solo allora, al cui superamento, potrà definirsi iniziato e, da neofita, patrocinare, ogni tipo di reato dinanzi a ogni giurisdizione, a eccezione della Cassazione. Egli,  potrà e dovrà indossare la toga in udienza, le cui cordoniere saranno di colore argento, per distinguersi dal Giudice e dall’avvocato cassazionista, le cui cordoniere sono di color oro, perché ormai illuminati dalla luce dell’esperienza e della sapienza professionale.  Per indossare le cordoniere oro, questi dovrà attendere ancora del tempo e sostenere l’ultima e più importante prova, quella dell’esame da cassazionista, il cui passaggio, in passato, avveniva solo per anzianità professionale, mentre, attualmente, con il superamento di un esame ad hoc.  E finalmente, superate tutte le prove, diventare avvocato Cassazionista, Gran Maestro, ovvero, sommo sacerdote. Ma, sebbene terminato il suo cammino, egli rimarrà, comunque, apprendista per la vita, dovendo aggiornarsi continuamente, perché la “dottrina” giuridica è un sapere in perenne divenire. L’avvocato, in udienza, potrà consultare i codici e le leggi speciali (i testi sacri), e le sentenze giuridiche (i comandamenti degli Dei). Dovrà, attraverso l’arringa, parlare l’unico  linguaggio intellegibile a costoro, cercando di non oltraggiarli per toni, tesi e convinzioni, onde scatenare la loro funesta ira. Per vero, per quanto un avvocato possa essere, bravo, attento e/o preparato, “potrà comprendere – anche – gli uomini e farli vivere in sé”,   saranno  sempre e comunque i Giudici, proprio come gli dei, a detenere,  lo ius vitae necisque,  su ciascun imputato.  Talune volte,  assolvendo, con  inaspettati atti di clemenza probabili colpevoli dal reato loro ascritto, tali altre, esigendone, quali  sacrifici umani, condanne di innocenti. “Beati coloro che soffrono per causa di giustizia ma guai a coloro che fanno soffrire per cause di ingiustizia!”. Citazione del Maestro, Avv. Piero Calamandrei (1889-1956), dalla cui magistrale dottrina, possiamo coglierne un proverbiale ammaestramento, ossia, che, sino a quando ci sarà l’avvocato nel Tempio della Legge a ravvivare nei cuori della gente la fede nel diritto e ad  indossare la toga,  vigile segno di speranza per gli afflitti, ancora lacrime verranno asciugate e fronti risollevate e, forse, qualche soppruso represso.  Ma, soprattutto, gli uomini potranno ancora continuare a credere nel “Valore” della Giustizia!   



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