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La sinistra che non c'è

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

1
FEB
2018

Per la vicenda Ilva abbiamo visto in Puglia un governo strafottente ed impaziente di vendere agli indiani: la verità è che la sinistra non crede più a nulla e si vede da come mercifica i propri ideali

La sinistra non esiste o forse non è mai esistita: mentre nel dopoguerra era tutto un pullulare di cattivi maestri delusi dal fatto che la guerra partigiana non avesse portato alla dittatura del proletariato (sentimento che ispirò anche le Brigate Rosse), a cavallo tra il sessanta ed il settanta assistemmo a un tripudio di stravaganti ideologi (per lo più ricchi e viziati) i quali volevano farci credere che la proprietà fosse un furto e la ricchezza qualcosa di cui vergognarsi invece che una meta a cui ambire con sana voglia di emergere.
Costoro, molto spesso senza aver mai provato una giornata di fatica e senza conoscere la realtà su cui pontificavano, pretendevano di guidare gli operai e di insegnare loro come dovevano campare attraverso una serie di rivendicazioni che generarono ben presto debito pubblico al pari di quanto fece il pentapartito per competere con un movimento operaio che veniva strumentalizzato e chiedeva la luna.
La cosa peggiore fu che le fabbriche si fecero incantare da questi pifferai vogliosi di vincere la noia e con in testa un mondo sbagliato a tal punto da costringere la storia a dimostrarglielo facendolo implodere nel 1989 (visto che parliamo di muro di Berlino forse dovremmo usare il verbo “crollare”).
Dopo tale fatidica data costoro si trascinarono stancamente nella nuova era non capendo che il mondo stava cambiando, che non era più la classe operaia quella da tutelare (le nuove tute blu avevano spesso il colletto bianco ed il cococo) e che l’autocritica sul passato, sovente chiesta a gran voce agli altri, forse cominciava a diventare determinante anche a casa propria. Ma ovviamente la presa d’atto non ci fu.
Cominciarono a cercare nuovi miti, nuove bandiere come ad esempio Che Guevara (una sanguinario come tanti) e a cambiare nomi come fossero pedalini (PCI, PDS, DS, PD, Liberi e Uguali, Rifondazione, Comunisti Italiani, SEL …) ma almeno rimasero fedeli alle loro non soluzioni, al loro non modello di sviluppo, alla loro falsificazione costante della storia patria e della realtà, provando a fare anche i moderati di centrosinistra.
Negli ultimi anni siamo passati dal comunismo al luogocomunismo con un arcipelago di sigle più o meno rappresentative pronte a dire nulla ma con stile o talvolta utilizzando in maniera strumentale e ipocrita i valori che essi stessi riconoscono come fondanti.
La verità è che la sinistra non crede più a nulla e si vede da come mercifica i propri ideali manco fossero diventati un banner pubblicitario, un pretesto da agitare alla bisogna, un prodotto di merchandising.
Siamo reduci da qualche anno di Governo PD sia a Palazzo Chigi che in Regione Puglia e, ad esempio sulla vicenda Ilva, abbiamo visto una sinistra di governo strafottente ed impaziente di vendere agli indiani senza occuparsi d’altro, messa a sistema con un Governatore che interviene a gamba tesa sulla vicenda per il solo gusto di sparigliare le carte.
Ed i temi di sinistra? Morti e sepolti nella guerra tra correnti, messi sott’olio (apiroloio) e tirati fuori solo quando c’è bisogno di darli in pasto al popolo bue che da sempre si illude che esista un movimento di pueblo che se resta unito non sarà mai sconfitto (campa cavallo).
Quanto alla sinistra sinistra, beh non pervenuta e inerme di fronte alla sanità pubblica che veniva deturpata, all’ambiente che veniva svenduto ed al tessuto industriale che finiva in tribunale perché la politica non lo aveva saputo vigilare, indirizzare, governare.
Adesso fanno i campanilisti inscenando la farsa dell’occupazione della sede provinciale del PD per protestare contro chi ha calato dall’alto le candidature alla Camera ed al Senato (a Taranto saranno eletti candidati baresi of course).
E dov’erano quando il nostro fuoriclasse “Ronaldo” Melucci nominava assessori e paparazzi di sottogoverno in quota Emiliano facendosi dettare la linea politica dal suo mentore? Dov’erano quando Michelone raccontava frottole sulla sanità, sulle infrastrutture, sullo sviluppo economico? Dov’erano quando da Bari ci scippavano tutto e Melucci (insieme a tutto il centrosinistra) zitto e mosca come uno scolaretto? Che Taranto sia diventata una colonia di Bari lo scoprono solo adesso?  
Ma, giusto per uscire dai confini locali, forse abbiamo dimenticato questi cinque anni di retorica boldriniana?
Forse abbiamo dimenticato che in questa legislatura di profonda crisi i problemi della sinistra istituzionale erano la Legge Fiano in assenza di fascismo, le disquisizioni sul valore del termine “Presidenta”, i cretini che - per compiacere l’ideologia dominante -  toglievano i crocefissi dalle aule o sostituivano il termine “Gesù” con “Perù” nelle canzoncine di Natale? Abbiamo forse dimenticato la vulgata secondo la quale gli immigrati andavano considerati come “risorse” da accogliere, le meglio gioventù, il futuro del nostro popolo, quelli che ci pagano la pensione, l’avanguardia culturale italica cui solo i rozzi populisti non vogliono concedere nemmeno lo ius soli?
Non abbiamo dimenticato l’inconsistenza di queste battaglie (alcune palesemente contro il sentire comune) così come non abbiamo dimenticato gli ultimi tre premier tirati fuori dal cilindro dopo la sconfitta di Bersani, quello che “non aveva vinto anche se era arrivato primo” e che si era fatto umiliare da quattro ragazzotti in diretta streaming mentre pietiva i voti dei grillini.
E non abbiamo dimenticato #labuonascuola, #lavoltabuona, #lasvoltabuona, #unariformaalmese, Enrico #staisereno e tutti gli slogan che sono stati il preludio al niente.
E le riforme? A partire da quella costituzionale bocciata perché in sostanza non riformava nulla o quella della PA parzialmente naufragata sotto il parere della Corte Costituzionale piuttosto che quella del lavoro che comincia a sgonfiarsi con la fine degli incentivi.
Chi può dimenticare le mancette da ottanta euro che dovevano far ripartire l’economia (a colpi di debito pubblico) o le casette dei terremotati che sembrano la tela di Penelope e che non hanno scandalizzato minimamente quella stampa di inchiesta dura e pura che di casette si è interessata solo per vedere la pagliuzza negli occhi di Bertolaso ai tempi di L’Aquila.
E chi scorda le dichiarazioni di entusiasmo a trimestri alterni sui presunti dati macroeconomici che mostravano segni di ripresa o le bottiglie stappate con l’aiuto di qualche giornalista compiacente per festeggiare un timido zerovirgola più dovuto al ciclo economico globale che alle mancette del PD.
E chi può minimamente non ridere di fronte alla famosa “sinistra bancaria”, quella falce e sportello, quella di Banca Etruria e delle telenovelas familiari con annessa commissione di inchiesta messa in piedi per non fare inchieste.
La commissione presieduta da Pier Ferdinando Casini, il famoso compagno Casini, quello candidato dal PD in Emilia ovviamente per il lungo ed autorevole curriculum di sinistra.
Questa è la sinistra italiana e nessuno si scandalizzi se la gente non ci crede più.
La cosa strana è che qualcuno fino a oggi ci abbia creduto facendosi imporre una visione precostituita della società sconfinando dalla quale si è automaticamente tacciati di populismo, razzismo e scarsa cultura.
La presunzione al potere, la fede granitica di chi ritiene di avere la verità in tasca, la tracotanza del pensiero unico, la superiorità morale ed antropologica che non ammette dubbi, la logica dei migliori con la puzza sotto il naso.
Cosa c’è di più naturale del disincanto diffuso verso un modello di pensiero che non è mai caduto sotto i colpi di una guerra riuscendo miracolosamente ad ammazzarsi sempre da solo per poi risorgere con immutata arroganza e ostinazione anacronistica.



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