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Civilisti, penalisti e azzecca-garbugli

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

15
FEB
2018

Quanti, pur di lavorare a un caso "ghiotto", accettano incarichi senza le adeguate preparazione e competenze professionali? E i Consigli dell'Ordine cosa fanno per limitare il fenomeno?

Credo che tutti, o quasi tutti, abbiano letto o studiato durante il proprio percorso formativo scolastico il celeberrimo romanzo manzoniano “I promessi sposi”, e ricordino ancora la storia d’amore tra i protagonisti,  Renzo e Lucia, e i personaggi di Don Rodrigo, Agnese, l’Innominato, Don Abbondio. Mi chiedo però quanti, invece, rimembrino il ridondante e bizzarro personaggio di “Azzecca-garbugli”, leguleio settecentesco così soprannominato dal volgo per la sua capacità di indovinare (azzeccare) cose, anche non propriamente  giuste (garbuglio), ossia, la capacità di sottrarre dai guai non onestamente. Questi, in apparenza, uomo di legge molto erudito, è, in realtà, indotto, gretto, ridotto in miseria e dedito al vizio dell’alcol. Nel suo studio, infatti, è presente una ingente quantità di libri assecondanti tutti, però, esigenze estetico-decorative  piuttosto che didattiche. La sua scrivania è inoltre cosparsa da una miriade di carte e fogli al solo fine di impressionare i clienti. Eppure, indipendentemente dal gradiente mnemonico individuale, tale appellativo è stato comunque recepito e sussunto nel linguaggio comune tanto da divenire simulacro identificativo e tipizzante  di quel novero di avvocati non propriamente “vocati” per la professione. Il ricorso e il raffronto a consimile evocazione letteraria, infatti, vien fatto ogni qualvolta, si suole operare una deminutio, deprecando e sminuendo le capacità professionali di un avvocato, il di lui operato, ovvero, la sua persona e/o reputazione. Ebbene, gli azzeca-garbugli, oggi, ancor più di ieri, sono quindi una vivida e attuale realtà e non l’opera creativa del fervido ingegno di uno scrittore.  Infatti, sempre più frequentemente, nelle alule penali di giustizia, capita di imbattersi in colleghi civilisti muniti di nomina fiduciaria, piuttosto che designati difensori d’ufficio, alle prese, con il patrocinio di reati anche piuttosto gravi. In udienza, si può scorgere il loro goffo e impacciato portamento, avulso alla solennità delle forme del rito penale, e riconoscerli. Leggere nei loro occhi disorientamento, indecisione e inadeguatezza strategica e processuale, pur di lavorare. Invocare miserabilmente il soccorso di qualunque caritatevole collega, annaspando nella ignoranza procedurale. Intravedere sulle loro gote il disagio per una eccezione inaspettatamente addotta dal collega antagonista (perché nel processo penale, a differenza di quello civile, esiste l’improvvisazione - “il massimo della preparazione per il massimo dell’improvvisazione” sosteneva il Maestro Calamandrei. Vigono, infatti, i principi dell’oralità ed immediatezza, entrambi, sconosciuti ed estranei al rito civile); e, nonostante tutto, sopportarli anche asserire tracotantemente che “i civilisti possono essere anche bravi penalisti, mentre, è impensabile il contrario”.  Metaforicamente, per intenderci, è come se un ortopedico avesse la presunzione e l’ardire di sostituirsi a un cardiologo in un trapianto di cuore. Credo, invece, che ognuno debba limitarsi, nella vita come in Tribunale, a fare il proprio al meglio, non invadendo campi disciplinari e settoriali di altrui competenza. Tali episodi, per vero, mi hanno fatto tanto riflettere sulla qualità tecnica della difesa, piuttosto che sulla slealtà intellettuale di taluni sedicenti colleghi in merito alla propria preparazione ed ai propri limiti professionali; nonché, sul senso di incuranza ed irresponsabilità di tali professionisti avverso ignari clienti, per costoro, spesso e volentieri, semplici nomi impressi sul decreto di citazione a giudizio, destinati a scivolare nell’oblio, a rimanere entità incorporee senza né voce né volto. A mio avviso, tali condotte ben potrebbero integrare ipotesi di illecito disciplinare, in quanto irrispettose del dovere di competenza (evitare di accettare incarichi senza le adeguate preparazione e competenze professionali, di cui all’art. 14 Codice Deontologico Forense) e di quello di diligenza (esperimento di una difesa preparata, diligente ed esperta, art. 12, precitato codice) esponendo i legali a censure deontologiche e, viepiù, a non improbabili responsabilità professionali. Credo che i Consigli degli Ordini, correi involontari di tali violazioni, non dovrebbero sottovalutarne la portata, apprestando, quanto prima, una precipua tutela onde attenuare l’ormai dilagante fenomeno ed evitare così che avvocati civilisti si cimentino in cause penali, in indegne, vergognose e grottesche difese d’ufficio. Credo che costoro non posseggano l’adeguata preparazione né tantomeno la forma mentis per esperire una consimile attività difensiva. È impensabile ritenere, in effetti, che basti la frequenza di un corso  di poche ore per divenire difensori d’ufficio, tramutando, d’amblè, un civilista in un penalista. A riguardo, forse, il caso, più emblematico ed eclatante da evocare, è quello del processo per l’omicidio di Sara Scazzi. Di fatti, nel delicatissimo caso di omicidio della giovane avetranese, la difesa di taluno degli imputati venne affidata a diversi difensori d’ufficio avvicendatisi, tutti notoriamente civilisti e perciò non esperti in materia penale, ancorché poi di difesa omicidiaria. Costoro, irresponsabilmente, al sol fine di essere sotto i riflettori e le luci della ribalta, pensando di cavalcare l’onda del successo, posero in serio rischio e pericolo la credibilità e professionalità degli imbarazzati colleghi penalisti. Diversi di loro, purtroppo, furono anche sottoposti a procedimento disciplinare. Orbene, nonostante in quest’ultimo periodo in molti parlino della necessità della differenziazione delle carriere dei magistrati, tuttavia, sono sempre meno a parlare e a sostenerne  la necessità di introdurre analoga differenziazione, sebbene in termini diversi, in ambito forense. Mi riferisco, a riguardo, alle specializzazioni forensi. Non molto tempo fa, per vero, in subiecta materia, si era cercato, di apprestare un primo intervento legislativo con il D.M. del 12 agosto 2015 n. 144. Ebbene, dopo la bocciatura operata dal TAR  Lazio, poco più di un anno e mezzo fa (con sentenza n. 4424 del 14 aprile 2016), il Consiglio di Stato, con pronuncia depositata in data  28 novembre 2017, n. 5575, sez. IV, pur esprimendosi favorevolmente in ordine alle specializzazioni forensi, ribadendone la legittimità e l’importanza delle stesse ai fini della qualificazione professionale, tuttavia, ne confermava la illegittimità del regolamento sulle specializzazioni legali. I punti di criticità del prefato regolamento riguardano, specificamente, la suddivisione dei settori, in quanto generica ed arbitraria, nonché, la mancata specificazione del contenuto e delle modalità di svolgimento del previsto colloquio dinanzi al Consiglio Nazionale Forense. A mio avviso, in un ottica di propositiva e mutua collaborazione generale, bisognerebbe ripartire proprio dall’impugnato provvedimento, valorizzandone i punti di forza, ed introducendo correttivi per quelli deboli, magari, anche ampliando il novero di enti, scuole, organi ed organismi promotori dell’alta formazione, allo stato, convergenti unicamente in capo al Consiglio Nazionale Forense, piuttosto che a singoli Ordini. Ripartendo, quindi, da una idea seria di specializzazione quale strumento di potenziamento prestazionale e professionale, onde garantire, qualitativamente, preparazione e tecnicismo. Obiettivamente, non è più il tempo della “tuttologia”. Il sapere enciclopedico illuministico, neoumanistico,  è ormai appannaggio del lontano passato, specie poi nella nostra professione, in perenne e continuo divenire. Avere la presunzione di sapere tutto, equivale, oggigiorno, a sapere niente! Ecco, dunque, la necessità di formarsi e specializzarsi, di propugnare una nuova figura di legale, l’avvocato specialista; specie poi in questo particolare momento storico di transizione e mutamento forense, che vede sempre più sfumata la figura del neo-umanista rinascimentale, mutuata dall’umanesimo ellenistico-latino, come, peraltro, di quella contemporanea e modernistica post-umanista. Concludo richiamando e parafrasando il pensiero di Heisemberg, fisico tedesco, premio nobel per la fisica (1932):  Un professionista è un esperto che può fare bene il suo lavoro anche quando non si sente in vena di farlo, che conosce alcuni dei peggiori errori che può compiere nel suo campo e come evitarli. Un dilettante è uno che non può fare bene il proprio lavoro neppure quando si sente in vena di farlo!... Sulla scorta di tali incisive ed esaustive parole, ad un passo dalla naturale e futura deriva trans-umanistica, per il futuro e la sopravvivenza dell’Avvocatura, è appena il caso di auspicare,  pertanto,  l’affermazione di meno avvocati “azzecca-garbugli” e più professionisti seri, competenti e specializzati! Questa la prossima sfida di oggi per il domani!



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