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Scuola, ricominciamo dall'inizio

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

21
GIU
2018

Siamo in un Paese dove si legge poco, si scrive male, si cercano scorciatoie al sapere e dove sempre più spesso studenti e genitori manifestano il dissenso con azioni violente. Ma come siamo arrivati a questo punto?

Da pochi giorni è terminato l’anno scolastico 2017-2018 e, al termine degli esami della scuola secondaria di primo e secondo grado, sarà possibile trarre le debite considerazioni sull’andamento della pubblica istruzione italiana. In realtà, questo si può fare in un qualsiasi momento poiché le evidenze e le emergenze del settore scuola sono presenti durante tutto il periodo d’istruzione e così da molti anni. Per comprendere quali siano i pro e i contro della scuola intesa come pubblica istituzione, è necessario percorrerne la sua storia che, anche se breve, inizia nel 1859 con la “Legge Casati” durante il Regno Sabaudo. L’obiettivo che si prefiggeva il ministro Gabrio Casati era di permettere a tutti i bambini di scrivere, leggere ed eseguire calcoli. La stessa legge sanciva l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione elementare per il corso inferiore, impartita dallo Stato per mezzo dei comuni, ai quali spettava anche il compito di assumere i maestri. La scuola elementare era divisa in due bienni e un successivo percorso formativo tecnico e ginnasiale con un’ottica laica, che ambiva a sottrarre l’esclusivo dominio educativo della Chiesa. L’istruzione elementare era demandata ai comuni che, però, sceglievano docenti non sempre qualificati, condizione che determinò ulteriore disparità fra le classi sociali. Le famiglie più agiate, infatti, affidavano l’istruzione dei propri figli a precettori domestici o a istituti privati mentre la popolazione meno abbiente sottraeva i propri figli all’istruzione avviandoli al lavoro o al praticantato. Per le stesse ragioni il fenomeno si ripeté, anche se in misura minore, negli anni ’50 e ‘60 del secondo dopoguerra. In concreto, alla fine dell’800, l’analfabetismo in Italia interessava il 74% degli uomini e l’84% delle donne. Con il Governo Depretis, nel 1877, furono inserite l’obbligatorietà della scuola elementare e le sanzioni per l’evasione scolastica. Agli inizi del ‘900, durante il Governo Giolitti, il tema della scuola fu oggetto di accesi scontri politici confluiti nell’emanazione della Legge Daneo-Credaro del 1911. La scuola elementare mutò, così, in istituzione statale e i maestri divennero impiegati dello Stato. Tale trasformazione mirava a una maggiore vigilanza della frequenza scolastica e a una più efficace lotta all’analfabetismo nazionalizzando, nello stesso tempo, il sistema scolastico al fine di abbattere la grande disparità culturale fra città e città, fra periferie e centri e fra il Nord e Sud del Paese. Nel 1923 la riforma Gentile, che Benito Mussolini definì “la più fascista delle riforme” emanò un insieme di decreti, senza alcuna discussione parlamentare, basati sull’avulsione della psicologia e l’etica dalla pedagogia, rendendo la scuola più autoritaria e gerarchizzata. A base dell’educazione fu posta la religione cattolica quale fondamento della moralità del fanciullo che, così formato, sarebbe stato esempio per le generazioni future. Dopo l’avvento della Repubblica, ma soltanto nel 1962, il Parlamento italiano diede vita alla scuola media unificata, dove l’insegnante poteva usare tutti i mezzi che riteneva più opportuni per l’insegnamento, in relazione alla cultura e alla tradizione popolare del luogo in cui prestava il suo servizio. Fu introdotto nella didattica un nuovo metodo che voleva l’accostamento fra la cultura scritta e quella popolare, anche attraverso l’uso dei dialetti. L’obbligo scolastico fu innalzato al quattordicesimo anno di età e, dopo i primi cinque anni di scuola elementare uguali per tutti, l’alunno poteva scegliere tra liceo scientifico, ginnasio e scuola di avviamento al lavoro. Per la prima volta nella storia scolastica, fu prestata attenzione agli alunni portatori di handicap con l’istituzione di scuole speciali. Uniche eccezioni dal secolo precedente erano state l’insegnamento verso gli alunni con difficoltà e quello del senso civico e della correttezza nei confronti del prossimo. Ai maestri era, inoltre, demandato il compito d’insegnare il rispetto e la tutela per la natura e verso gli animali. Dal 1962 a oggi si sono succedute diverse riforme scolastiche che non hanno variato di molto le condizioni precedenti del settore. L’ultima, ancora vigente, è quella denominata “Buona scuola” varata dal Governo Renzi nel 2016. In concreto, l’incremento di potere dei presidi, la valutazione individuale degli insegnanti, l’aumento di autonomia dei vari istituti educativi, le agevolazioni fiscali per le scuole paritarie, l’aggiunta di offerte formative e l’introduzione dell’alternanza scuola-lavoro non soddisfano docenti, famiglie e, fondamentalmente gli alunni. Le proposte didattiche comprendono tanto di tutto, impegnando enormemente presidi, docenti e alunni, alimentando ulteriormente le disparità sociali e non fornendo risultati concreti e duraturi sotto il profilo educativo e didattico. La scuola, salvo casi eccezionali, non è un’istituzione gradita sia dal personale impiegato, che non vede degnamente riconosciuto il proprio ruolo, sia dai fruitori che la vivono come un obbligo e non come un privilegio, il che si traduce in una popolazione italiana che legge poco, scrive male, cerca scorciatoie al sapere e che, ancora peggio, manifesta il suo dissenso con azioni violente fra le figure impegnate. Per una nazione come l’Italia, crogiolo millenario di culture, coltivare il nozionismo smodato ma superficiale tralasciando il piacere per la cultura e la bellezza, genera due grossi handicap: la mancanza di raggiungimento dello scopo e la perdita delle qualità dell’uomo quale essere dal cervello sviluppato, il linguaggio articolato e la capacità di esprimere e tramandare esperienze. Le cause risalgono nel limitato impegno economico verso la pubblica istruzione che cede il passo ad altri capitoli della spesa pubblica, non destinati a necessità primarie, a volte voluttuarie. Ciò che però è sempre sfuggito ai governanti italiani è che il popolo deve avere massimo accesso a cultura e bellezza per avere il giusto stimolo alla crescita del Paese. Pensare di mantenere volutamente gli italiani nell’ignoranza non giova neppure a chi anela al suo controllo. Ora siamo al cospetto di un nuovo governo e attendiamo di capire come intenda ovviare alle difficoltà che presenta la pubblica istruzione. Il neo ministro, Marco Busetti, è un tecnico e conosce la scuola. Possiamo solo auspicarci che lasci prevalere la sua preparazione e l’oggettività alla sua fede politica leghista che potrebbe, al contrario, condizionarlo verso derive autoritarie e nostalgiche adozioni di metodi passati che, seppure abbiano inserito la cultura nella società, si sono rivelati inadeguati e inefficaci, più o meno, come quelli attuali. Se è vero che la crescita culturale segue quella economica è pur vero che esistono popolazioni povere con un livello di conoscenza elevato e distribuito equamente. Henry Ford ci ha lasciato alcuni aforismi calzanti anche per il mondo della scuola, fra i quali: “Se il denaro è la tua speranza per l'indipendenza, non ne avrai mai. La sola vera sicurezza che un uomo può avere a questo mondo è una scorta di conoscenza, esperienza e capacità.”, insieme a: “Chiunque smetta d’imparare è vecchio, che abbia venti o ottant'anni. Chiunque continui ad imparare resta giovane. La più grande cosa nella vita è mantenere la propria mente giovane”, oltre la più famosa: “C'è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti”, sicuramente espandibile anche alla cultura.



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