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Giustizia sommaria di Stato

Pubblicato da: Categoria: ATTUALITA'

17
AGO
2018

Il 14 agosto 2018 l’Italia vive una tragedia che scuote il paese: a Genova crolla il Ponte Morandi, uno dei simboli del nostro boom economico. Il crollo inghiotte decine di vittime, ignare ed incolpevoli ed un minuto dopo la folla comincia ad invocare qualcosa. Volutamente scrivo “qualcosa”, perché ciò che a gran voce diventa il tema dominante delle urla si può definire solo così: qualcosa. Un tempo, in un altro luogo dello spirito e della cultura di questo paese, avremmo detto che il popolo, la gente, invocava giustizia. In questi tempi e in questo luogo non possiamo dirlo. No, non è la giustizia quella che si invoca, perché in questo paese la giustizia è morta, fallita, seppellita dall’ignavia e dalla barbarie che l’hanno travolta, resa poco più che una pantomima, una gigantesca e drammatica recita, che umilia il diritto dei cittadini ad ottenere tutela effettiva e celere dei diritti e degli interessi.
La certificazione di questo fallimento, di uno Stato di diritto che non c’è più, è data dalle parole pronunciate a caldo dal nostro Presidente del Consiglio, l’Avvocato Giuseppe Conte, che in merito alle responsabilità della tragedia annuncia un’azione che non tenga in alcun conto la giustizia: “non possiamo attendere i tempi della giustizia penale”. Questa frase, pronunciata a poche ore dal disastro, apre un ulteriore squarcio nel tessuto sociale del paese, scatenando polemiche roventi, mentre tra le macerie si continuano a cercare dispersi, sperando siano vivi, con la consapevolezza che probabilmente si recupereranno solo corpi. Sono anche io un avvocato e di fronte alla frase del mio collega Giuseppe Conte ho un atteggiamento prudente. Secondo Conte non possiamo dunque aspettare i tempi della giustizia penale, per accertare responsabilità secondo le regole del giusto processo. Se dunque nell’ipotetico giardino di casa di Giuseppe Conte venisse trovata una donna morta, prima ancora di capire se effettivamente l’abbia uccisa lui, dovremmo agire, fare altro, andare oltre. Per Conte non possiamo attendere i tempi di una giustizia che in Italia non è più tale ed in effetti non siamo stati in grado di ridurre quei tempi, nonostante da oltre 30 anni le relazioni che accompagnano le roboanti inaugurazioni dell’anno giudiziario denuncino il collasso, procedimenti che durano 10 anni, sfiducia dei cittadini in un processo che non ha più alcuna effettività, né efficacia. Conte ne prende atto, alza bandiera bianca, ma nel farlo si rivolge ad una zona oscura, confusa, priva di regole e certezze, in cui il sospetto e l’accusa si fanno sentenza, in cui il linciaggio di popolo sostituisce i Giudici, le garanzie a tutela degli imputati diventano orpelli, lussi, che non possiamo più permetterci.
E’ questo ciò che vogliamo? Vogliamo una politica che agisca in modo rapido e sommario? Vogliamo davvero che la reazione alle infinite pastoie del mostruoso processo italiano sia la condanna del web? Possiamo permetterci di basare le scelte strategiche del paese su verità costruite in poche ore, che non accettano riflessione o contraddittorio? Certamente lo Stato di diritto in Italia ha fallito. Questo è un dato vero, indubbio e in questo senso le affermazioni dell’avvocato Conte sono oneste. Il problema è che per aggirare questo girone infernale dobbiamo costruire una giustizia rapida, effettiva, capace di dare risposte ai cittadini, non rinunciare alla giustizia, non rivolgerci al lato oscuro del nostro bisogno di giustizialismo.
Sono un avvocato e penso che il sistema processuale italiano, che prevede tre gradi di giudizio, sia antistorico e ingiusto. Ormai la successione dei processi, nei vari gradi, non è un percorso di avvicinamento progressivo ad una maggiore giustizia, ma una negazione di giustizia, un rituale ottuso e crudele, in cui si perde il senso e la funzione del diritto. Se dunque l’avvocato Conte non può attendere i tempi della giustizia penale, metta in campo immediati provvedimenti capaci di incidere su quei tempi. A mio parere occorre avere coraggio, fare anche scelte drastiche ed impopolari, saper rinunciare alla quieta ed immobile liturgia dell’italica ingiustizia, riformando in profondità un comparto ormai fuori dal tempo. Se non lo faremo, se l’Italia non lo farà, se per ovviare al dramma giuridico che viviamo ci faremo attrarre dalla barbarie, daremo il via libera ad una stagione potenzialmente ancora più cruenta del nostro stare insieme: quella delle vendette sommarie, dei linciaggi e dei martiri. Credo che l’Italia meriti di meglio e spero che abbia finalmente la forza di fare ciò che serve per ricostruire una vera giustizia, effettiva, celere, che tuteli i cittadini e non i malfattori.



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